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Unità: Epifani: niente sconti al governo pronti allo sciopero generale

«Dalla trattativa ci attendiamo subito risposte concrete, altrimenti sarà sciopero»

06/01/2008
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l'Unità

di Oreste Pivetta / Milano

«Un fisco amico», aveva chiesto il segretario della Cgil Guglielmo Epifani. Amico di chi guadagna meno, di chi ha meno da vivere, operai e impiegati, pensionati e giovani. Lo ripete all’Unità, invitando il governo a rispondere con chiarezza se è d’accordo a inseguire questo traguardo, se è unito di fronte a questa emergenza. «L’incontro di martedì - spiega Epifani - sarà propedeutico. Poi maggioranza e governo facciano una verifica. E ci rispondano. Una voce sola. Non voglio assistere allo spettacolo di un ministro che dice una cosa e dell’altro che ne riferisce un’altra...». Se la risposta fosse un no o fosse poco promettente? Il sindacato fa il suo mestiere, usa gli strumenti di lotta che ha: «Anche lo sciopero generale».
Segretario, mi pare che si sia creata molta attesa. Ci sono in ballo questioni che la gente sente: prezzi, tariffe, stipendi. Che cosa direte?
«Tutto conferma l’urgenza di affrontare i temi posti dalla piattaforma sindacale. Oggi si può capire perchè il sindacato, chiuso il capitolo sul protocollo del welfare, ma in continuità con quella discussione, abbia voluto porre al centro un obiettivo di controllo dei prezzi e delle tariffe e la richiesta di una fiscalità che aiuti a ridistribuire la ricchezza prodotta e deprima un po’ meno le pensioni. Tenendo conto che i salari non hanno tenuto la corsa dell’inflazione, di cui non s’è visto ancora tutto. Il balzo del petrolio non avrà forse effetti immediati, ma peserà molto in un paese che dipende più di tanti altri in Europa dal petrolio per la produzione di energia e per il trasporto delle merci, con effetti a catena sulle famiglie».
C’è da attendersi il peggio?
«Per questo chiediamo al governo di intervenire con urgenza e seguendo una logica strutturale. Abbiamo sempre lavorato per ricostruire i redditi più bassi e le pensioni più basse».
Dopo anni se non decenni di moderazione salariale...
«Adesso è venuto il momento di usare anche la leva fiscale. Appunto per ridistribuire risorse. Non sono d’accordo con il ministro Padoa-Schioppa quando afferma che con il fisco non si fa redistribuzione. Le tasse si pagano in modo progressivo e questa è redistribuzione. Se il fisco sceglie la casa più che il lavoro si fa redistribuzione. Persino l’evasione redistribuisce: alla rovescia, ma redistribuisce. Chiediamo che questa volta il fisco venga usato a favore del lavoro dipendente e dei pensionati, di quei redditi che hanno più sofferto...».
Non solo per le tasse. Anche per colpa dei contratti che non si chiudono...
«Milioni di lavoratori aspettano il contratto: metalmeccanici, commercio, sanità, tessili. Anche i giornalisti. Si capisce l’importanza vitale, per il paese tutto, del tema che poniamo e ci auguriamo che il governo ne comprenda la centralità, lo condivida, mostri volontà di trovare una soluzione, garantendo percorsi e strumenti. Dopodomani capiremo come stanno le cose. I tempi sono stretti. Francamente non accetto che qualcuno mi venga a dire: prima della trimestrale di marzo non si può. Si deve, invece. Che aspettiamo? Capisco le difficoltà politiche del governo. Per questo lo invito a una verifica di maggioranza. Non accetteremo risposte evasive, dilazioni. Non accetteremo neppure risposte da una tantum, il bonus di primavera al posto del bonus di fine anno. Chiediamo interventi strutturali, essendo chiare le modalità e le risorse, essendo chiaro quello che si può dare oggi e quello che si darà domani. Quindi: volontà, condivisione, passaggio in maggioranza e risposta strutturale».
Un meccanismo ferreo per scardinare la logica delle buone intenzioni?
«Non parole, fatti. L’avrete già sentito dire. Lo ripetiamo, primo perchè non vi è chi non vede la determinante importanza della questione dei salari e dei prezzi e delle tariffe, in secondo luogo anche perchè la stessa maggioranza parlamentare ha indicato che i soldi a questo punto si spendano a sostegno del lavoro dipendente. Non solo questo. Ci sono anche contratti che non si rinnovano (e alcuni cadono sotto la responsabilità del governo)».
Materia spinosa. Il contratto nazionale è sotto tiro da tanti fronti.
«Si capisca bene che i nodi sono tanti. Il sindacato ci sta lavorando, cominciando dalle forme della contrattazione, che non consente o consente solo a fatica di recuperare potere d’acquisto: i contratti tardano di due o tre anni, non ha più senso prendere come riferimento l’inflazione programmata, bisogna dare più peso alla contrattazione nei luoghi di lavoro, senza tuttavia mettere in discussione il contratto nazionale, un’argine di fronte agli attacchi ai salari. Stiamo discutendo l’accordo del ‘93, che ebbe la firma anche del governo.Il nostro interesse è forte. Vorremmo capire anche quello dei nostri interlocutori. Le cartine di tornasole non mancano: il contratto dei metalmeccanici che vorremmo si chiudesse entro fine mese; il contratto del commercio e vorremmo che Confcommercio manifestasse qualche apertura; i contratti pubblici che attendono e che non hanno trovato posto in finanziaria, pur rappresentando situazioni di tensione... penso alla sanità».
Torniamo alle tasse e ai salari. Dopo il governatore Draghi, anche uno studio di Bankitalia mostra come un taglio delle tasse sui salari rianimerebbe Pil e consumi.
«Sì, mi pare che si colga un argomento che tocca in generale la politica economica nel nostro paese. Il Governo ha ragione quando vanta la crescita, i progressi nel risanamento, i buoni risultati dell’export soprattutto in valore e non soltanto nelle quantità a dimostrazione che l’impresa italiana può essere competitiva. Manca qualcosa e cioè la domanda interna. È evidente che all’economia del paese è indispensabile che i consumi interni non siano mortificati. E si torna ai redditi».
Alfredo Recanatesi proprio sull’Unità di giovedì scorso scriveva che la leva fiscale va bene per l’emergenza, poi serve un paese più ricco e occorrono quindi politiche pubbliche che orientino la modernizzazione del nostro sistema impresa...
«Un sistema funziona se attorno trova infrastrutture adeguate, se non manca l’energia, se si conquista una dimensione che consenta di reggere, nei campi della ricerca e della innovazione, il confronto internazionale».
Anche il Sole24ore di ieri reclamava più salari. In cambio però di maggior produttività. È la solita ricetta di Confindustria?
«Bisognerebbe spiegare che non è poi tanto moderno sostenere che per guadagnare di più bisogna lavorare di più. Sembra di tornare all’età delle ferriere e delle miniere, al capitalismo delle origini. La verità è che per produrre di più bisogna investire di più sui prodotti e che la produttività si misura in valore che produci, non nel numero dei prodotti. Alla produttività può servire anche la flessibilità. Purchè sia concordata e contrattata. Ha ragione Recanatesi: si è fatto poco perchè l’impresa italiana crescesse. L’indicazione del 3 per cento di investimenti in ricerca e innovazione contenuta nell’accordo del ‘93 è stata alla fine il punto meno rispettato».
Il giornale di Confindustria vi accusa anche di chiedere meno tasse e allo stesso tempo di voler mandare troppo presto in pensione i lavoratori. Che risponde?
«Siamo l’unico sindacato che ha firmato accordi che alzano l’età pensionabile».
C’è un caso, drammatico, sul tavolo del governo, quello di Alitalia. Condivide la scelta per Air France?
«Non sono convinto della soluzione Air France. Comunque del piano sappiamo poco o nulla. Non è mai avvenuto che di fronte al processo di alienazione di una impresa pubblica il sindacato venisse tenuto all’oscuro. Certo non ci piacerebbe che l’Italia fosse l’unico tra i grandi paesi europei a non disporre di una compagnia nazionale, non per patriottismo, ma per una ragione di interesse nazionale. Come sindacato mi preoccupano i tagli: tra Malpensa e Az Service sono diecimila posti di lavoro».
Anche l’Unità sta cambiando padrone. Che cosa si augura?
«Mi auguro che l’Unità sappia mantenere la sua linea di attenzione ai temi della democrazia e del lavoro. Ne abbiamo bisogno. Non sono molti i giornali che affrontano con serietà i temi della condizione del lavoro. Spesso si tace per interesse di parte...».
Si tace dei morti sul lavoro.
«Certo, il tema sicurezza. Vorrei ringraziare il presidente della Repubblica, che lo ha richiamato con forza. La tragica vicenda della TyssenKrupp, che è peraltro realtà quotidiana, ha trovato sull’Unità una testimonianza assolutamente insostituibile».


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