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Unità-Dall'università un grido: Moratti vattene

17.02.2004 Dall'università un grido: Moratti vattene di Edoardo Novella Erano 30 anni che non si vedevano così tanti professori in tenuta da protesta. "Direi dal '#8216;68... " butta là u...

17/02/2004
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l'Unità

17.02.2004
Dall'università un grido: Moratti vattene
di Edoardo Novella

Erano 30 anni che non si vedevano così tanti professori in tenuta da protesta. "Direi dal '#8216;68... " butta là uno. Ma un altro subito corregge: "Ma no, nel '#8216;68 erano gli studenti, noi al massimo nel '#8216;75... ". Se lo ricorda il professor Lo Iodice, giurista, quell'anno. E adesso davanti ha la platea colma dell'Aula Magna de La Sapienza, incerottata di cartelli e facce: ricercatori, dottorandi, neolaureati, semplici studenti. E poi gli ordinari, gli associati. Anche i "baroni". Insieme, in rappresentanza di 77 atenei d'Italia, Bari, Salerno, Napoli - la Federico II - Pescara, Firenze, il Piemonte, una galassia di 12 sigle. Che decidono: il 4 marzo giornata di mobilitazione in tutte le università con occupazione dei rettorati, blocco della didattica e assemblee. Lo dice il documento finale della giornata di Roma, che ribadisce come "illiberale e non emendabile" il disegno morattiano di riforma dello status giuridico dei docenti e ne chiede il ritiro. Subito. Perché il "riordino" varato dal consiglio dei ministri lo scorso 16 gennaio - e su cui si è fermato addirittura il sospetto dei tecnici del Quirinale, che hanno chiesto chiarimenti sulla copertura finanziaria del provvedimento - è l'istituzionalizzazione del precariato nell'università: incarichi con durata non superiore ai tre anni, blocco dei concorsi per ricercatori che saranno ridotti a Co.co.co., affidamento di insegnamenti per contratto a studiosi stranieri o italiani di "chiara fama", ricerca finanziata - o, come temono molti, orientata - dai privati. Per finire con i nuovi "doveri": 350 ore di lavoro l'anno, di cui 120 di attività didattica frontale, e abrogazione della distinzione tra insegnamento a tempo pieno e tempo definito. Tradotto: liberalizzazione selvaggia e disco verde a consulenze esterne all'università. Per chi può. Gli altri si arrangino.

"Quanti anni ho? 37, sono in perfetta media" spiega Alessandro, ricercatore di macchine a ingegneria, sulle scale del rettorato perchè l'Aula Magna a mezzogiorno è già troppo piena e per sicurezza l'assemblea viene "dirottata" in corteo, fuori nei vialetti e poi attorno al muro perimetrale della "città". "Non si può progettare una vita normale così. E poi è anche una questione di libertà - dice con addosso una maglia bianca e stampato su un "dodo", animaletto preistorico estinto che indica ai ricercatori quasi un destino - . La riforma vuole una ricerca finalizzata al mercato, e alle sue esigenze... Se non ci stai rimani fuori. Il tutto con un paradosso: un sistema industriale che di vera innovazione tecnologica non ne richiede... ". Già, sistema. È la parola più usata ieri all'assemblea. Sistema "paese", sistema "d'istruzione", sistema come "futuro". Passi che legano questa protesta a quella del tempo pieno della scuola, con cui è quasi "fatta" per una manifestazione unitaria a inizio aprile. Ma anche agli scioperi - solo apparentemente lontani - dei ferrotranvieri, dei medici. Insomma, diritti. "Mica tanto diversa dalla battaglia per l'articolo 18" accenna Paolo Saracco dello Snur Cgil: "Quello che viene da quest'incontro è anche un segnale politico. Concreto". Segnali da un paese che ha paura di ciò che sarà domani. Precarizzato e privatizzato. Precarizzato: "Noi professori 'a contratto' siamo 28 mila - dicono quelli del coordinamento nazionale - , non abbiamo un contratto nazionale e una rappresentanza accademica. Di fatto quasi non esistiamo, i nostri anni di insegnamento non valgono nemmeno come carriera universitaria, non fanno punteggio nei concorsi... ".

Privatizzato: "Ma che segnale è quello di dire 'bene, lavori 350 ore, ti pago meno ma fuori di qui puoi arrotondare con le consulenze?'" si chiede Franco Gallerano, ordinario di idraulica. Uno col posto "sicuro". "Ma a me importa che la ricerca sia un diritto garantito per tutti, come vuole la Costituzione. Per rimanere libera non deve essere trattata da serie B, state in università pure col cervello spento e poi scatenatevi fuori... Se affonda la ricerca affonda la didattica, affonda tutto". Insomma, è il semplice assunto per cui - come spiega il segretario Ds Fassino - "non si innova precarizzando chi lavora, sbarrando l'accesso ai giovani, comprimendo le risorse a disposizione delle università della autonomia". Si affondano quelli che saranno gli studenti, i futuri ricercatori, quelli che oggi possono ancora prendersi l'etichetta di cervelli in fuga. "Ma con questa riforma tra 10 anni non ci sarà più molto da far scappare" commenta Flaminia Saccà, responsabile università e ricerca dei Ds, mentre il corteo si snoda verso il Verano. E snocciola numeri: "Per la ricerca spendiamo lo 0,6% del prodotto interno lordo, la media europea è 2,2 con obiettivo 3%. La Svezia investe il 4,4". Altro dato, quello dell'investimento privato: solo lo 0,01. Nulla.

E torniamo a ciò che è sistema e idea del futuro. Che Italia vuole questo governo? "Basta guardarsi le 'Linee guida per la valutazione della ricerca' presentate dalla Moratti lo scorso maggio - ricordano quelli dell'associazione dottorandi e dottori di ricerca - , c'è scritto nero su bianco 'l'Italia è un paese a sviluppo intermedio'". Tradotto: non siamo un paese competitivo. E Berlusconi non vuole che lo si diventi. L'Adi aggiunge: "D'altronde non si è distanti da ciò che ripete Confindustria: 'Non è in discussione la divisione internazionale del lavoro'". Ancora tradotto: compriamo brevetti di ricerca e poi li riproduciamo, stop. Ma allora i centri di eccellenza? "Come il nuovo Istituto italiano di tecnologia di Genova? - ancora l'Adi - Con quei soldi non ci si fa un Mit (il fiore all'occhiello della ricerca Usa, ndr)". E allora c'è chi mormora: si trasformerà in una centrale di finanziamento per le ricerche "degli amici", oppure sarà un semplice contenitore di risorse, bloccate e magari pronte a venire rimesse in una finanziaria. Creativa.