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Unità: Aborto, son tornati gli anatemi

La politica è diventata meno autonoma e ha lasciato spazio all’interferenza di altri poteri, in primis la Chiesa che intende imporsi come unica detentrice di valori positivi

05/01/2008
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l'Unità

Vittoria Franco

Con una periodicità costante, ormai, c’è qualcuno che lancia anatemi contro la legge 194. È da quando è stata approvata, nel 1978, che ciò accade. Il referendum, che ha l’ha confermata con una stragrande maggioranza dei consensi, è stato il primo atto. Ricordo nei trent’anni successivi numerosi cortei e manifestazioni in sua difesa. Eppure resiste, e bene. Resiste perché è una legge saggia e lungimirante, che ha rappresentato una conquista di civiltà, ha superato l’aborto clandestino, di cui erano vittime molte delle donne costrette a farvi ricorso, ha fatto dimezzare il numero delle interruzioni di gravidanza, dal momento che punta principalmente sulla prevenzione, ma, soprattutto, mette al centro la maternità libera e responsabile. Un principio importante che andava in quegli anni a costituire un’ulteriore dimensione dell’autodeterminazione della donna. Con la contraccezione sicura che la scienza metteva a disposizione la maternità era stata, infatti, sottratta al destino naturale e consegnata alla responsabilità e alla libera scelta. Dopo secoli di subordinazione, le donne potevano così entrare finalmente nel pianeta libertà e godere del diritto di includere anche se stesse nelle scelte etiche, senza essere accusate di egoismo o di immoralità. Possibilità e libertà di decidere non vuol dire che la scelta sia scevra da conflitti, da sofferenza, da un sentimento di sconfitta e di scacco in caso di aborto. I dilemmi morali sono sempre terribili perché ci costringono a scegliere fra valori egualmente importanti, ma ciò accade quotidianamente nella vita delle persone concrete, quando fanno esperienza di scelte fra alternative di eguale valore. Nessuno può dire, tanto meno una legge, ciò che è giusto o sbagliato in assoluto nell’ambito delle scelte personali. Almeno non può farlo uno Stato democratico e laico, chiamato a non invadere la sfera privata. Alzano sempre di più la voce, invece, coloro che vorrebbero che ciò accadesse. Dopo il fallimento del referendum sulla legge 40 a causa del non raggiungimento del quorum, su cui la Cei aveva puntato, il fronte del fondamentalismo cattolico si sente forte e autorizzato a dettare l’agenda della politica. È accaduto in termini perentori coi Dico, col testamento biologico, con la legge 40, con tutte le questioni che abbiano non solo implicazioni etiche, ma anche di tutela dei diritti individuali; accade in queste ore sulla 194, con toni e linguaggio da crociata, in cui l’interruzione di gravidanza viene assimilata addirittura alla pena di morte. È raccapricciante che lo si possa anche solo pensare e servirsene - coma fa Giuliano Ferrara e sottoscrive mons. Bagnasco - per dileggiare e umiliare la dignità e la responsabilità delle donne; è segno di spregiudicatezza morale che le si usi come strumento di lotta politica che mira ad altro, a creare difficoltà alla maggioranza, minare alla radice la costruzione di un nuovo soggetto politico, tenere la politica in uno stato di debolezza utile a creare vuoti da colmare.
Una politica di progresso, che si pone come obiettivo la modernizzazione della società, deve reagire a questo attacco e non continuare a subirlo Stiamo costruendo un nuovo strumento della politica, che noi pensiamo più efficace e moderno, il Partito democratico. Non possiamo restare indifferenti a quello che sta accadendo nel segno di un regresso a tempi che furono e che sono stati superati da nuovi costumi e mentalità. Personalmente (ma so di avere la condivisioni dei più), mi piacerebbe una riflessione più attenta su questi temi e una chiarezza cristallina sulla fisionomia laica del nuovo Partito.
Sono convinta che, se avessimo costruito il Pd anche solo dieci anni fa, non ci saremmo trovati con quella che è diventata una vera e propria emergenza. Cosa è cambiato? Indico sommariamente due fattori. Il primo riguarda un indebolimento dell’autonomia della politica che ha lasciato spazio all’interferenza diretta di altri poteri, in primis la Chiesa che intende imporsi come unica ed esclusiva detentrice di valori positivi. Il secondo riguarda invece il fatto che i progressi della ricerca genetica e delle nuove tecnologie hanno posto in termini nuovi le questioni della vita e della morte e obbligano la politica a intervenire sul piano normativo. Nel nostro Paese per troppo tempo si è pensato che su questi argomenti potesse ancora valere il solo principio della libertà di coscienza, mentre occorre una nuova “etica del legislatore”, fondata sulla responsabilità e sulla ragionevolezza, capace di proporre mediazioni fra posizioni diverse. La coincidenza cronologica di questi due fattori ci crea i problemi che abbiamo sotto gli occhi. La risposta non è tacere o nascondere la testa nella sabbia, ma affrontarli con una discussione pubblica seria, pacata, guardando oltre le contingenze. Ho letto che qualcuno propone una riflessione sull’aborto. Facciamo una cosa più utile e lungimirante. Abbiamo il coraggio di mettere in agenda seriamente una riflessione su “politica, diritti individuali, laicità” e su “bioetica e leggi”. È un modo per cominciare a costruire un tessuto plurale e resistente nel tempo del nuovo partito, una dimensione culturale laica fondata realmente sull’autonomia della politica e su un pluralismo in grado di elaborare mediazioni. In questa direzione andrà il mio impegno nelle prossime settimane.


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