Dalla direzione della Confederazione in Puglia alla direzione nazionale della FLC -CGIL(Federazione Lavoratori della Conoscenza) a Roma, Domenico Pantaleo sapeva di ereditare da Enrico Panini un settore difficile e strategico che raccoglie scuola ricerca università e alta formazione artistica e musicale, ma oramai strutturato sotto il profilo politico, organizzativo e persino identitario. Ma non aveva, certo, preventivato di dover far fronte nell`arco di un mese a due scioperi generali, il 30 ottobre e il 14 novembre, con il settore mobilitato a tutto campo dalla scuola dell`infanzia ed elementare alla ricerca e università.
Segretario Pantaleo sembra che l`istruzione sia nel cuore della politica del governo, ma nel cuore dei tagli da effettuare in tempi di crisi. E ora la tragedia di Rivoli porta alla ribalta anche l`emergenza edilizia.
L`edilizia scolastica è un eterno problema, ce ne ricordiamo quando perdiamo giovani vite, oggi quella di Vito Scafidi, ieri i 27 bambini e la maestra di San Giuliano di Puglia, morti sotto il crollo della scuola nel terremoto del 2002. Io non credo alla fatalità, a ben vedere essa è il più delle volte figlia dell`incuria. C`è una contraddizione che ha attraversato e attraversa l`istruzione in Italia: il considerarla un costo e non un investimento che mantiene unito il Paese, assicura la mobilità sociale, contribuisce allo sviluppo e alla sua qualità. È questo il contesto in cui maturano le tragedie di Rivoli. E, mentre si diffondono dati non corretti e a mero uso politico, la verità sta nel fatto che la scuola da oltre un decennio contribuisce alla riduzione della spesa pubblica. Tra le risorse c`è anche l`edilizia scolastica.
Nonostante la normativa sulla sicurezza sia vecchia di circa un quindicennio, il numero delle scuole non a noma continua ad essere molto alto.
In Italia se dovessimo trarre le dovute conseguenze dalle norme sulla sicurezza, non solo la 626, ma quelle antincendio, antisismiche, sui servizi igienici, dovremmo chiudere circa il 50 per cento delle scuole. Ci vorrebbe un grande piano per l`edilizia scolastica, per cui l`UPI stima che sarebbero necessari 3 miliardi, mentre il sottosegretario Bertolaso ha parlato di 4 miliardi. Intanto si sta tagliando sull`edilizia scolastica, il decreto legge 137 ha ridotto dal dieci al cinque la percentuale del fondo antisismico destinata alle scuole. La Finanziaria 2009 riduce di 23 i cento milioni stanziati dal precedente governo, per finanziare il piano triennale per la sicurezza. Ora di fronte all`ennesima tragedia la ministra Gelmini è tornata a parlare, come aveva fatto il presidente Berlusconi a San Giuliano, di un intervento straordinario su cento scuole. Mettiamo il caso che si fosse già intervenuti su queste cento scuole, la tragedia di Torino non sarebbe stata evitata. Quotidianamente vengono segnalate situazioni di rischio da tutta Italia, ma bisogna aspettare le tragedie per accorgersene con il rischio di dimenticare non appena riflettori si spegneranno sull`ultimo dramma.
Cosa bisogna fare nel concreto, a parte desiderare di vivere in un`altra Italia dove queste cose non accadono?
Si può anche iniziare dalle 100 scuole, a patto che non si sbaglino le procedure e non si pretenda di decidere tutto a Roma, anche nelle materie che ben prima della modifica del Titolo V della Costituzione erano già di competenza delle Autonomie locali. Per portare avanti un piano, graduale ma progressivo, ci vuole continuità e una forte integrazione tra i governi, centrale e locali. Ma c`è un altro problema che noi abbiamo sollevato in occasione della discussione del decreto n.137 e del piano programmatico ora all`attenzione delle Camere.
Quale problema?
Attenzione, abbiamo detto, ad aumentare il numero degli alunni per classe, in questo contesto stipare fino a 32 bambini in aule piccole e in istituti a rischio sicurezza e, per giunta, tagliando il personale ATA che svolge anche compiti di sorveglianza, è pericoloso. Tutti i sindacati, non solo la FLC- CGIL, hanno posto questo tema e in questi termini.
Oltre trenta bambini per classe sono certamente troppi, ma ci sono molte classi sotto dimensionate non solo in montagna, ma anche in pianura e nelle città, dove a volte in una stessa scuola possono esserci classi con 26 bambini e altre con 12 massimo 16.
Si può discutere sul numero minimo, non sul massimo. Io, comunque, non sono affezionato ai numeri, bisogna ragionare sui dati di fatto, nelle situazioni date, ma 32 bambini in un aula mi sembra insostenibile anche dal punto di vista didattico. Ci saranno 130mila occupati in meno nella scuola, per mesi si è detto che gli insegnanti in Italia sono molti a fronte di una diminuzione dei bambini, quando da alcuni anni è vero esattamente il contrario. Si fa finta, inoltre, di ignorare che alla scuola e ai docenti sono assegnati tanti compiti di integrazione e di accoglienza: 600mila bambini immigrati, i bambini diversamente abili, per non parlare delle tante realtà in cui la scuola è l`unico presidio sociale.
Non si può negare, però che in Italia ci sia un problema di spesa pubblica e che la scuola ne rappresenta da sola un buon terzo.
Diciamo piuttosto che in Italia esiste non un problema di spesa pubblica ma un problema drammatico del debito pubblico, questo lo sappiamo e non facciamo finta di ignorarlo. Ma un governo ha anche il compito di stabilire delle priorità. Bertolaso sostiene che un piano per l`edilizia richiederebbe 4 miliardi, allora perché non stanziarne uno e cominciare davvero. In tutti gli altri Paesi si discute su come aumentare gli investimenti in istruzione e ricerca, da noi solo su come tagliare. Noi spendiamo un po` di più per la primaria ma non per gli altri gradi. Nella primaria il modello orario prevalente e quello dalle 27 alle 30 ore, attraverso i tagli e il ritorno al maestro unico si demolisce una riforma fatta, per affermare tutta un`altra idea di scuola primaria.
Nel parere di maggioranza in discussione alla Camera si parla del maestro unico solo come una delle possibili scelte offerte alle famiglie.
È per l`appunto un parere, non fa testo perché non è quanto scritto in una legge approvata, senza ascoltare nessuno.
Vuol dire che non siete disponibili a nessuna operazione di razionalizzazione della spesa?
Vuol dire che non siamo disponibili a nulla relativamente alla scuola dell`infanzia ed elementare, perché funzionano e non si distrugge quello che va bene. Siamo disponibili ad operazioni di razionalizzazione sulla secondaria di primo e secondo grado, ma con l`idea che quel che si risparmia va reinvestito nella scuola e nella sua qualità. Vede, nella scuola primaria non c`è quella gran differenza di risultati tra Nord e Sud che si riscontra nei gradi successivi, perché la qualità unisce. Non sono nemmeno favorevole a una difesa fideista del tempo scuola. I tempi non sono mai scissi dalla qualità e non è sempre vero che più tempo vuol dire maggiore qualità.
Vuole dire che il tempo prolungato nella scuola secondaria di primo grado, va difeso solo dove i rientri ci sono davvero e funzionano?
Dove si fa e dà risultati. Nella scuola, per i ragazzi, il tempo non è importante in sé, è fondamentale che lo scambio interno – esterno sia equilibrato e integrato. Sappiamo tutti che i nostri giovani e i bambini non apprendono solo o prevalentemente a scuola. Dobbiamo affrontare le questioni che non vanno e non quelle che vanno, come ad esempio la continuità tra scuola dell`infanzia e primaria frutto di una riforma condivisa e vissuta dalla scuola, da tutte le componenti. Sappiamo anche che i problemi hanno inizio quando il bambino, nel frattempo, divenuto un ragazzino entra nei gradi superiori. Ciò per la mancanza di integrazione tra i cicli.
In pratica lei sta invocando più integrazione e un sistema di valutazione?
Bisogna fare chiarezza sui cosa s`intenda per valutazione e sui parametri. Noi reagiamo quando ascoltiamo la ministra Gelmini che parla di merito e valutazione riferendosi solo agli insegnanti. La valutazione va fatta a tutto campo sulle scuole, sugli insegnanti, sul gradimento degli studenti e delle famiglie per i più piccoli. La cultura della valutazione va introdotta, considerando anche le condizioni di partenza. Mi spiego, se una scuola è fatiscente o si trova ad operare in un contesto di estremo degrado, non può essere valutata come una scuola ricca di spazi, laboratori e integrata a un territorio ricco di stimoli. Se è inserita, invece, in un contesto come Scampía a Napoli o San Paolo a Bari è più facile fare i conti con ragazzini che impugnano la pistola e con un territorio intriso di violenza. Il sindacato quando si siede a un tavolo per discutere deve parlare della scuola che c` è non di un concetto astratto di scuola. C` è bisogno, insomma, di ragionare.
Insomma la FLC-CGIL invoca dialogo e rispetto per coloro che rappresenta.
Esattamente. E voglio aggiungere che in questo Paese è prioritario uscire dagli ideologismi su questi temi e si abbandoni l`idea che le proprie certezze si debbano tradurre in atti autoritativi. Si mettano in campo le competenze e le eccellenze che ci sono in maniera diffusa, dall`alto e dal basso. Perché lo abbiamo visto, le idee calate dall`alto non hanno mai funzionato nel corpo scolastico sia quando a dettarle è stato un governo di centrosinistra sia quando è stato un governo di centrodestra. È questo il campo per eccellenza in cui senza consenso non si va da nessuna parte, se davvero si vuole mettere mano a un`operazione di riforma.
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