Ripensare la scuola riducendo la durata
di Marco Campione
Europa
In un editoriale per La Stampa del I primo novembre Passerini segnala dove bisognerebbe intervenire per far fronte al dramma della disoccupazione giovanile all'interno della più vasta emergenza occupazionale che investe il nostro paese. Tra le altre cose, afferma: «Orientare i giovani sin dalla terza media e negli ultimi anni delle superiori è un fatto di civiltà. Non basta predicare l'iscrizione agli istituti tecnici: i giovani e le famiglie lo stanno facendo (...). Quello che manca alla nostra scuola, sia agli istituti tecnici che ai licei, è il rapporto costante con il mondo del lavoro. Vanno resi stabili i dialoghi tra apprendimento e mercato del lavoro». A questo gruppo di considerazioni ne va aggiunto un secondo su come cambia il ruolo della scuola, visti i mutamenti sociali e demografici. La scuola, infatti, non è più il luogo dove si impara tutto ciò che serve e per tutta la vita. Chi oggi ha poco più di quarant'anni, ha imparato a utilizzare tecnologie che quando è andato a scuola ancora non esistevano. Una bimba che nasce oggi vivrà 100 anni e la scuola non può pretendere di mettere nel suo zainetto tutto ciò che le servirà nella vita. Dovrà piuttosto concentrarsi sui saperi essenziali (il cosiddetto core curriculum) e delegare il resto alle opzionalità del curriculum scolastico, ma soprattutto alla formazione lungo tutto farm della vita (life long learning). Ripensare (organizzazione scolastica tenendo presenti queste considerazioni significa ad esempio: incentivare la didattica laboratoriale, che non si fa solo in laboratorio (ma che senza laboratori come si pretende di farla oggi a causa dei tagli non ha senso); generalizzare forme di alternanza scuola-lavoro per tutti (anche per i liceali); personalizzare significativamente il curriculum (definito quello essenziale, il resto sarà fatto di materie opzionali e facoltative); dare maggiore spazio alle attività di orientamento e ri-orientamento (la possibilità di correggere eventuali scelte sbagliate allinizio del primo biennio di studi superiori senza dover perdere fanno), punti deboli del sistema e causa di dispersione scolastica (quasi uno studente su cinque viene oggi espulso dal sistema di istruzione, una vera emergenza nazionale!). Per fare tutto questo servono risorse. La buona notizia è che queste risorse sono già nella scuola. I nostri ragazzi, infatti, vanno a scuola per 13 anni, un anno in più dei loro coetanei europei, senza peraltro ottenere risultati significativamente migliori in termini di esiti di apprendimento e di equità. Ridurre di un anno il percorso di studi può avere senso in un disegno di riforma coerente con quanto detto sopra, che in questo modo si autofinanzierebbe. Libererebbe infatti risorse per alcuni miliardi (Gavosto, Fondazione Agnelli, nel volume a cura di Nannicini Non ci resta che crescere le quantifica in 3 miliardi ogni anno). Queste risorse (soprattutto umane) sarebbero utilizzate per realizzare il cambiamento qui sommariamente descritto. Non si tratterebbe quindi di un ulteriore, insostenibile ed inaccettabile taglio ai danni della scuola, ma di un diverso utilizzo delle risorse attualmente impiegate. In quest'ottica appare convincente la proposta avanzata ad esempio dal gruppo scuola del Pd di Milano di articolare i 12 anni di istruzione successivi al triennio di scuola dell'infanzia (da generalizzare in un'ottica di sistema integrato 0-6 anni) in 8 anni di primo ciclo e 4 anni di secondo. Questa soluzione è la ce e razionale in quanto fa tesoro degli errori del passato e tiene conto della centralità dell'istituto comprensivo nel primo ciclo. Infine, un'organizzazione così ripensata consentirebbe una maggiore valorizzazione dei docenti, visti finalmente come professionisti dell'education a tutto tondo, ai quali si potranno riconoscere e retribuire anche le funzioni non di docenza frontale: recupero degli alunni in difficoltà e potenziamento delle eccellenze, copresenze, spazi per la progettazione con i colleghi e impegno nelle attività di ricerca educativa. Non tutti i docenti in questo momento in servizio avranno le competenze e/o la disponibilità per svolgere tutte queste funzioni, ma questo consentirà di introdurre forme di differenziazione anche salariale. Quelli futuri andranno invece formati e assunti parametrandosi alla nuova figura del docentericercatore. In questo contesto, assumerebbe un senso diverso (idea di ripensare l'orario di lavoro, che per alcuni potrebbe anche essere superiore alle attuali 18 più sempliCome deve cambiare l'istruzione, visti i mutamenti sociali e demografici ore (tema comunque da affrontare in sede contrattuale). Tale proposta, a differenza di quella inaccettabile del ministro, della quale ho già detto su queste pagine, si collocherebbe alla fine di un percorso conUn anno in meno di studio sarebbe coerente con l'esigenza di liberare risorse diviso di cambiamento reale, non riguarderebbe tutti i docenti e non penalizzerebbe i precari; inoltre non sarebbe a parità di salario e si baserebbe su una differenziazione di ruoli e funzioni, quindi su criteri oggettivi. Caratteristiche che la rendono sostenibile per quella parte maggioritaria del mondo della scuola più attenta alle esigenze di innovazione.