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Repubblica-Siamo cervelli in gabbia

Pisa. Mancano i fondi, non ci sono concorsi, fino a quando durerà l'entusiasmo? "Siamo cervelli in gabbia" I ricercatori del Cnr, una vita da precari "I giovani arriva...

14/02/2004
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la Repubblica

Pisa. Mancano i fondi, non ci sono concorsi, fino a quando durerà l'entusiasmo?
"Siamo cervelli in gabbia"
I ricercatori del Cnr, una vita da precari
"I giovani arrivano pieni di speranza e se ne vanno delusi in cerca di un lavoro"
MICHELA GARGIULO


PISA - "Quanti soldi per la ricerca? Eccoli, per questo laboratorio io e i miei collaboratori abbiamo la bellezza di 3mila euro". Romano Ferrara è un ricercatore dell'istituto di biofisica del Cnr di Pisa. Snocciola numeri e allarga le braccia. "Io sono stato fortunato. Ci sono colleghi che hanno avuto meno fondi di me. I soldi destinati alla ricerca sono ormai una miseria e se riusciamo ad andare avanti con i nostri progetti è grazie alla capacità e all'entusiasmo di questi giovani collaboratori". In quel piccolo laboratorio di biofisica ambientale del Cnr di Pisa a San Cataldo ci sono un fisico docente e due giovani biologhe di Empoli. Pochi soldi e ricercatori precari, "è una situazione di sofferenza endemica", dice Francesco Lenci, fisico ed ex direttore dell'Istituto di geofisica. A preoccuparlo sono quelle centinaia di giovani ricercatori, il motore di tutte le attività dell'istituto. "Fin da piccola ho sognato di fare la ricercatrice, ora non sogno più", racconta Enrica, trent'anni, biologa. "Sono qui dal '97 grazie al dottorato, alle borse di studio, agli assegni di ricerca. Per quanto potrò continuare così? A marzo non avrò alternative, se non arriva l'assegno dell'Università sarò costretta ad andare via. I concorsi? Forse fra dieci anni". Nell'area di ricerca di San Cataldo, a Pisa, lavorano più di mille persone, decine sono giovani ricercatori: contrattisti, borsisti, assegnisti. "Non siamo cervelli in fuga, ormai ci sentiamo più cervelli in gabbia. La gabbia è quella del lavoro precario, della mancanza totale di certezze sul futuro", racconta Claudia, trentaquattr'anni, ricercatrice biologa, al Cnr dal '97. Per arrivare a fine mese passa tre giorni nel laboratorio di biofisica ambientale e due a giro per la Toscana a fare l'informatore scientifico. Seduti ai tavoli della mensa del Cnr di San Cataldo ci sono i gruppi di lavoro: un docente e due o tre collaboratori, si continua a parlare progetti anche nella pausa pranzo. "Se loro smettessero di lavorare tutti insieme qui si può anche chiudere", dice Ferrara. "Lavoriamo con loro per anni poi li vediamo andar via. Arrivano pieni di speranze e se ne vanno delusi in cerca di lavoro". E trovare una nuova occupazione per i giovani ricercatori non è un'impresa facile. "Io ho fatto qualche colloquio ma è andato male", racconta Enrica. "Mi rispondono che sono troppo preparata, che hanno bisogno di figure meno specializzate. Ho provato a fare l'informatore farmaceutico. L'azienda era molto soddisfatta del mio lavoro. Mi avevano dato anche la macchina e mi pagavano la benzina. Ho resistito qualche mese e poi sono tornata ai miei progetti sulle emissioni di mercurio nell'atmosfera". In Italia ci sono 50.000 precari tra Università e istituti di ricerca, il rapporto va da 2 docenti per un collaboratore precario fino ad arrivare a 5 precari per docente. I concorsi? "Ho fatto il precario per 11 anni sacrificando famiglia e figli. Poi è arrivato il concorso, il primo dopo 15 anni", racconta Giovanni, fisico esperto in fotomovimenti. "Meno male l'ho vinto. Ho passato i quarant'anni, ricercatore esperto in biofisica della trasduzione sensoriale. Quale azienda, a 41 anni, avrebbe investito su di me?". Non è finita. Antonella è l'unica che prende il caffè con il camice bianco. Biologa, 36 anni, è la più giovane ricercatrice "ufficiale" dell'istituto di Biofisica. E' dipendente solo dal 2001 e anche per lei il calvario è durato anni. "Ho collezionato negli anni di "precariato della ricerca" contratti di collaborazione e borse di studio, due figli lasciati ai nonni senza assegno di maternità. Anni sospesa in un limbo. Si chiamano diritti: ad una persona gli va riconosciuto uno status quando lavora, per me, e per tanti altri, per anni non è stato così ".


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