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Repubblica: Scienza, assedio delle donne

Laureate in aumento, poche ricercatrici L'Ocse: fonte di talenti non utilizzata

06/03/2008
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la Repubblica

Da un decennio l'Unesco cerca attraverso un premio creato assieme a L'Oréal Fondation, di dimostrare il valore della donna nel mondo della ricerca assegnando cinque riconoscimenti ad altrettante scienziate che hanno brillato per i loro risultati. Nessuno dubita che «l'altra metà del cielo» abbia uguali capacità a quelle del concorrenti maschi. Ma è proprio questa concorrenza che continua a mantenere e a schiacciare le donne in un ruolo palesemente ingiustificato in una società che invece ha bisogno di esprimere, oggi più che mai, tutti i valori possibili. Per dirla con il titolo di un meeting dell'Ocse, l'organizzazione internazionale per lo sviluppo economico, le donne nella scienza sono una fonte di talenti non utilizzata. E altrettanto non riconosciuta, potremmo aggiungere, se dei 521 premi Nobel per la scienza e la medicina assegnati dal 1903 soltanto 12 sono andati a studiose. Eppure proprio Marie Curie apriva il blasonato elenco di Stoccolma nel 1903 con la medaglia per la fisica alla quale aggiungeva nel 1911 una seconda per la chimica: due Nobel alla stessa persona, una rarissima eccezione nella storia scientifica.
Dopo oltre un secolo la presenza femminile è ancora troppo contenuta. In Europa solo il 32 per cento dei ricercatori nei laboratori pubblici è donna. In quelli dell'industria privata è ancor peggio perché si arriva soltanto al 18 per cento. Ciò accade nonostante in partenza, al momento della laurea sia più elevato il numero delle donne-scienziate: 60 per cento contro il 40 dei maschi. Ma poi le strade della carriera (e della vita) portano ad una progressiva inversione sino ad arrivare ai più alti gradi di responsabilità con una schiacciante maggioranza maschile (87 per cento) lasciando all'esigua minoranza femminile ciò che rimane. Per questo la Commissione di Bruxelles si poneva un paio d'anni fa un legittimo obiettivo: arrivare almeno al 40 per cento di donne alla guida dei programmi di ricerca.
Non sarà né facile né rapido il conseguimento di questa meta. Ma incoraggia il fatto che da un decennio si registri un progressivo aumento della presenza femminile per cui è ragionevole pensare che il valore in crescita alla base favorisca pure una maggiore visibilità nella leadership. Sia in Europa che negli Stati Uniti negli anni Novanta c'è stato un calo generale di iscrizioni alle facoltà scientifiche ma dal 2003 questa tendenza si è invertita favorendo ancor di più, secondo le statistiche più recenti, la «quota rosa». In Italia dalle 4 laureate donne in scienza nel 1998 si è passati alle 8 l'anno scorso; le ricercatrici dal 26 per cento dieci anni fa sono salite al 30 per cento.
«Il cambiamento in meglio è lento ma c'è» commenta Sveva Avveduto dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, coordinatrice di un'indagine sull'argomento tra i paesi dell'Ocse. «In Italia — aggiunge — solo due rettori su 83 sono donne, le docenti ordinarie ammontano a 2.800 su un totale di 18 mila, quindi costituiscono solo il 15,9 per cento, e nessuna risulta tra i presidenti di grandi enti di ricerca». Solo di recente è stata conquistata una poltrona da vicepresidente: è accaduto all'Enea dove è stata promossa Cristina Battaglia, 34 anni.
«Per il nostro Paese se nei laboratori pubblici la situazione è incoraggiante — prosegue Sveva Avveduto — nella ricerca privata le donne sono ancora mosche bianche e la prospettiva non è per niente buona perché c'è stata una dismissione nella ricerca industriale che ha eliminato settori in cui eravamo forti, come la chimica e la farmaceutica. E ancora non si investe».
Bisogna tener conto che il panorama generale della ricerca nazionale è oltremodo depresso rispetto alle altre nazioni: a parte la cronica mancanza di risorse (si continua ad investire tra pubblico e privato solo l'1,1 per cento del prodotto nazionale lordo, cioè la metà o addirittura un terzo degli altri europei con cui vorremmo confrontarci), noi abbiamo tre ricercatori ogni mille abitanti contro i 16 della Finlandia. Ora nelle università sono attivi, sulla carta, quasi 24 mila ricercatori tra i quali poco meno della metà sono donne (10.657). Nei centri di ricerca pubblici, dal Cnr all'Istituto di astrofisica, all'Enea, il totale è intorno a 7 mila con una percentuale rosa del 37 per cento. Eppure anche in una situazione così disastrata le scienziate italiane riescono non solo a crescere ma anche ad eccellere «sia pure concentrate soprattutto nelle aree dalla biologia e delle scienze naturali — precisa Sveva Avveduto —. Nell'ingegneria, invece, continuano ad essere molto scarse ».
Tornando all'Europa, Bruxelles ha precisato che l'Unione per crescere ha bisogno di 700 mila nuovi ricercatori entro il 2010. E tutti vorrebbero che la data potesse celebrare anche la conquista della quota rosa del 40 per cento proposta e sognata non solo dalle donne.
Giovanni Caprara


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