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Repubblica-L imprinting dei Ds e la forza dei girotondi

L'imprinting dei Ds e la forza dei girotondi GIOVANNA ZINCONE Forse anche in politica esiste l'imprinting, un'impronta iniziale che uno poi si porta appresso, magari senza accorgersene, p...

15/01/2003
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la Repubblica

L'imprinting dei Ds e la forza dei girotondi

GIOVANNA ZINCONE

Forse anche in politica esiste l'imprinting, un'impronta iniziale che uno poi si porta appresso, magari senza accorgersene, perché è diventata un suo modo di essere. L'ambiente in cui il giovane politico cresce all'inizio della sua carriera lascia un segno sul suo comportamento futuro? Questo fenomeno spiegherebbe qualcosa delle attuali difficoltà della sinistra italiana. I vertici Ds di oggi si sono formati negli organismi giovanili o nel praticantato locale del vecchio Pci degli anni Settanta. Quel partito era caratterizzato da un elettorato stabile, non deteriorabile. Acquistava consensi, soprattutto tra i giovani, e, una volta conquistati, li teneva. Da questo imprinting deriva forse, oggi, una qualche imperizia o disattenzione nel conquistare voti in un mercato politico competitivo. Peraltro, il Pci era sì un partito elettoralmente solido, ma debole nelle alleanze. Soffriva di una sindrome che un brillante giornalista, Alberto Ronchey, definì fattore K: il veto posto all'andata al governo di politici affetti da kommunismus.
Anche a livello locale le chance di governare dipendevano dalla buona disposizione di altri partiti. Il Psi, dopo la vittoria interna dei riformisti, non solo era entrato a pieno titolo nel governo nazionale, coalizzandosi con i partiti di centro, ma era anche pronto ad allearsi con Dc e soci in periferia, pur di ottenere più spazio e risorse. Il principale obiettivo del Pci consisteva perciò nel farsi legittimare dagli avversari e nel trovare alleati. I suoi sforzi strategici erano dunque rivolti verso le altre componenti della classe politica. Di qui una persistente propensione a cercare una sponda tra gli avversari, di qui la speranza, per la verità non sempre delusa, di far cadere le coalizioni avverse staccando qualche alleato. Di qui un'insufficiente determinazione a sconfiggerle direttamente e apertamente sul terreno elettorale.
Questi non sono i soli elementi rischiosi dell'imprinting. Si deve aggiungere un certo complesso di superiorità nei confronti degli alleati. I socialisti erano compagni inaffidabili, ma il Pci restava comunque egemone a sinistra. Quello con il Psi veniva vissuto come un matrimonio di comodo con una moglie impoverita e di scarse virtù, un matrimonio fatto al puro scopo di ottenere cittadinanza nelle giunte locali e, in prospettiva, nel governo romano. Non era una relazione tra pari. Di qui, forse, qualche insofferenza rispetto a qualunque partner pretenda rapporti paritari all'interno del cartello elettorale ulivista.
E, sull'imprinting, non è ancora tutto. L'habitat politico in cui gli attuali dirigenti hanno fatto praticantato si differenziava dal presente anche e molto rispetto alla struttura del partito. Il Pci era una grande e potente macchina, ricca di iscritti e funzionari, una macchina che decideva la carriera dei propri quadri: poteva spedirli a fare il segretario di sezione in Sicilia, poteva farli eleggere o farli bocciare in Parlamento. Per "Il Partito" i dirigenti di oggi hanno lavorato duramente, a quel partito devono il loro successo, la loro identità sociale. E' normale che il voto congressuale dei rappresentanti degli iscritti appaia loro come un battesimo popolare, come un'elezione decisiva. Teniamo presente il fatto che, nel vecchio Pci, l'elezione del segretario non prevedeva candidature contrapposte; l'elezione a maggioranza ha rappresentato una svolta relativamente recente, ed è quindi oggi considerata un'investitura democratica più che sufficiente.
Nell'imprinting mettiamoci pure un po' di scuola di partito alle Frattocchie, un pizzico residuale di marxismo: l'idea che il valore di un prodotto, anche di un prodotto politico, dipenda dal lavoro che contiene. E certo di duro lavoro l'attuale classe dirigente ne ha accumulato tanto. Non è stato un lavoro facile perché - come sosteneva uno del mestiere - "la politica è una vita da cani, senza le buone maniere dei cani". E questo vale soprattutto per chi ha iniziato dalla gavetta. Il duro lavoro di professionalizzazione degli ex Pci ha dato anche buoni frutti. Ha fatto maturare un'élite politicamente colta, competente, con buone capacità di amministrazione e governo. Resta, però, una dirigenza introversa, troppo rivolta all'interno della politica, troppo intenta a tessere complicate reti nelle quali resta spesso intrappolata. Il grido di rabbia dei girotondi è soprattutto un richiamo a guardare fuori, ad ascoltare le richieste di fermezza e prudenza.
Il movimento chiede ai propri rappresentanti in Parlamento di giudicare l'affidabilità di Berlusconi statista con lo stesso metro con cui la giudicano loro. La mobilitazione girotondina ha svolto un salutare ruolo di correzione. È anche in seguito alla pressione di piazza che la dirigenza Ds e dell'Ulivo si è impegnata più a fondo nel tentativo di contrastare l'attacco legislativo di Berlusconi pro domo sua. Non ha vinto, né aveva i numeri per vincere, ma non ha neanche perso del tutto: ha ottenuto qualche revisione significativa. Il rischio è ora che l'impatto girotondino corregga troppo, che spinga cioè a un'opposizione frontale ma vuota. Un'opposizione incapace di distinguere tra leggi indecorose e normali proposte che possono essere discusse e modificate. Il risultato della correzione eccessiva può essere paradossale: il rifiuto di contribuire a migliorare progetti di legge o di riforma istituzionale che sembrano la fotocopia di proposte avanzate dalla sinistra in passato.
L'impiegato della Pirelli non è uomo di partito, non ha quello specifico imprinting, ma non è neanche un comune cittadino. Anche lui ha una storia politica importante. E' stato il leader del più grande sindacato italiano: è abituato a mobilitare, a fare la conta dei suoi, a contrattare con la controparte e portare a casa qualcosa. Sa accendere e cavalcare il conflitto, sa anche stare al tavolo delle trattative senza pretendere l'impossibile, pur di ottenere risultati concreti. Cosa riuscirà a conquistare sul piano personale non lo sappiamo, per ora ha evitato di cadere nella trappoletta della cooptazione: un coinvolgimento a titolo personale nella dirigenza che lo avrebbe isolato. Il Cinese sa badare a se stesso, ma per le sorti generali della sinistra, alle quali mostra di tenere, è importante che lui e i girotondini continuino sì a correggere le rappresentanze parlamentari senza però "sovracorreggerle". Il movimento dei girotondi rappresenta la parte politicamente vigile e vivace del corpo elettorale, ma quel corpo è fatto anche e soprattutto di una moltitudine di inappetenti della politica, di gente che va convinta a votare sia con l'obiettivo di far cadere il "birbante" Berlusconi, sia con l'obiettivo di far andare al governo una sinistra capace di fare buone leggi, di giovare al paese. Tutti e due i trattori servono. Il movimento ha saputo sventare i rischi di un'opposizione fiacca, che poteva apparire quasi connivente con il governo Berlusconi. Ha fatto bene. Ma è importante che adesso non spinga i gruppi parlamentari dell'Ulivo su una posizione quasi altrettanto rischiosa: un'opposizione radicale senza obiettivi che rischierebbe di apparire inconcludente. La parte sonnolenta, silenziosa, ma decisiva del corpo elettorale non capirebbe.


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