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Repubblica-Il manuale dell'ipocrisia

IL MANUALE DELL'IPOCRISIA CURZIO MALTESE Il garantismo da salotto che imperversa da un decennio non si smentisce mai. Presenti in massa in Parlamento quando si tratta di garantire l'impuni...

28/12/2005
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la Repubblica

IL MANUALE DELL'IPOCRISIA
CURZIO MALTESE
Il garantismo da salotto che imperversa da un decennio non si smentisce mai.
Presenti in massa in Parlamento quando si tratta di garantire l'impunità ai ricchi, i garantisti all'italiana di destra e sinistra disertano da anni i dibattiti su amnistia e indulto destinati ai poveracci che affollano le patrie galere. Ieri si è toccato il record della vergogna.

Alla seduta straordinaria della Camera si sono presentati soltanto 93 dei 205 firmatari della richiesta, più un'altra trentina di non firmatari. Visto il deserto, il presidente Casini ha archiviato la pratica e rinviato tutto al 10 gennaio, dopo le feste.
Qualche suicidio in cella in più non guasterà le vacanze di Natale alla Vanzina degli onorevoli deputati, fra sciate, cotechini, lenticchie e botti di fine anno. E' l'ultimo capitolo di un lungo manuale dell'ipocrisia scritto in questi anni dalla politica sul tema delle carceri.
Cinque anni fa si erano levati tutti ad applaudire commossi l'appello di Giovanni Paolo II al Parlamento per alleviare la pena supplementare e barbara inflitta a migliaia di detenuti, ormai stipati in carceri di livello boliviano. Passata la festa e gabbato il Santo Padre, sono trascorsi cinque anni, con cinque Pasque, Natali, Capodanni, Epifanie e soprattutto carnevali, senza mai trovare la data giusta per approvare il provvedimento.
In compenso, fra Cirami, Cirielli, depenalizzazioni varie e riforme di giustizia ad hoc, il Parlamento ha approvato la più gigantesca amnistia di classe, come si sarebbe detto una volta, della storia della repubblica.
Una pioggia di un milione e mezzo di prescrizioni a portata di mano dei clienti più ricchi, l'impunità di fatto per chiunque possa permettersi uno o più buoni avvocati, dai mafiosi ai bancarottieri fino ai presidenti del consiglio, ministri e onorevoli presenti e passati.
Le carceri italiane nel frattempo si gonfiano di stracci e dolore.
Basterebbe un indulto e perfino quello che si chiama indultino per ristabilire condizioni di vita decenti. Oltre il 60 per cento dei detenuti, 23 mila persone, deve scontare un residuo di pena inferiore ai tre anni. In quali condizioni?
Il quadro fornito da Patrizio Gonella, presidente dell'associazione Antigone, è da denuncia ad Amnesty International: "A Verona vivono tre detenuti in celle pensate per uno; a Piacenza vive più del doppio dei detenuti che il carcere potrebbe ospitare, in una struttura con i muri crepati e dove regolarmente piove all'interno; all'Ucciardone di Palermo più di cento detenuti di troppo vivono in celle fatiscenti dove la luce del sole penetra scarsamente; a Bari abbiamo celle di 18 metri quadri che ospitano ognuna sei detenuti, quasi sempre chiusi dentro per venti ore al giorno: togliendo bagno, letti e mobili, resta circa un metro quadro a disposizione di ciascun detenuto; al Poggioreale di Napoli si sta in cella quasi tutto il giorno, gli spazi comuni sono quasi nulli, si vive fino a 18 persone insieme, dividendosi l'unico bagno e l'unico tavolo disponibili; a Rebibbia vive circa il doppio dei detenuti che il carcere potrebbe ospitare; a Le Vallette di Torino ci sono 600 detenuti in più". In teoria non vi sarebbe bisogno di ripercorrere l'inferno carcerario perché, sempre in teoria, esiste da anni in Parlamento una larga maggioranza bipartisan favorevole a risolvere la questione con gli strumenti dell'amnistia o dell'indulto, che non cancella il reato. In pratica però il garantismo da salotto continua a eclissarsi al momento di decidere.
Quello di ieri è stato l'ultimo episodio e il più avvilente. Quasi peggiore del fatto è stata poi l'inevitabile coda polemica, un altro squarcio dell'Italia dei furbetti. Un gruppo di parlamentari di sinistra, ormai liberati dall'odiosa autocritica, ha addossato la colpa del fallimento a Casini per aver convocato la seduta il mattino seguente un giorno festivo. Il presidente della Camera ha avuto buon gioco a rispondere che gli altri italiani erano già al lavoro e quindi forse potevano mettere la sveglia anche i parlamentari meglio pagati d'Europa. Il ministro Castelli si è vergognato per gli altri, com'è costume nazionale, e ha additato il cinismo dei "pifferai" prima firmatari e poi assenti. Qualcuno a questo punto dovrà vergognarsi per Castelli, che non era presente alla seduta. In fondo, oltre a essere un militante leghista, rimane pur sempre il ministro della Giustizia, per quanto si possa capire e condividere la sua stessa incredulità.
Si resta perplessi di fronte alle parole di Marco Pannella: "Alla fine i presenti non erano pochi". Torna l'antico dubbio, c'è o ci fa? Non si capisce insomma se l'anziano leader radicale ci creda ancora o usi gli strumenti del glorioso passato, dall'auto convocazione ai refendum, soltanto per sopravvivere sulla scena, senza calcolare gli effetti catastrofici che producono alla causa. Ai suoi nuovi compagni, i socialisti di Boselli, va invece riconosciuto la coerenza e l'onestà di essersi presentati al gran completo, unico gruppo con i verdi.
Il solo commento serio è venuto da dietro le sbarre di Rebibbia, dove il comitato dei detenuti ha fatto sapere di non essere deluso perché, alla lettera, "non ci aspettavamo nulla". Qualcuno ha aggiunto di non aspettarsi nulla neppure dalla convocazione di gennaio, che slitterà a febbraio, poi a marzo, aprile. Figurarsi se questa politica trova il coraggio di prendere una decisione prima delle elezioni. Il problema delle carceri è destinato ad aggiungersi alla spaventosa eredità che il governo Berlusconi lascerà al Paese. Dopo aver amorevolmente abolito le tasse sull'eredità di famiglia.