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Repubblica-IL GRANDE ASSALTO ALLA DILIGENZA

IL GRANDE ASSALTO ALLA DILIGENZA MASSIMO GIANNINI CON un indecoroso e frettoloso mercato delle vacche da fiera di strapaese, il Senato ha dato il suo via libera alla legge di bilancio del 2...

22/12/2002
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la Repubblica

IL GRANDE ASSALTO ALLA DILIGENZA
MASSIMO GIANNINI
CON un indecoroso e frettoloso mercato delle vacche da fiera di strapaese, il Senato ha dato il suo via libera alla legge di bilancio del 2003. Quella di quest'anno, se possibile, sembra addirittura peggiore di quella fiacca e rinunciataria dell'anno scorso. Il governo Berlusconi ha un solo merito: aver mantenuto la promessa (almeno quella) di varare gli sgravi Irpef già previsti dal governo Amato, che restituiranno alle famiglie italiane 5,5 milioni di euro. Ma quanto al resto, sarà ricordata come la manovra dei dodici condoni (altrettante "tangenti di Stato", come le ha ribattezzate Di Pietro) e delle mille cartolarizzazioni (altrettante "entrate creative", come le considerano i tecnici della commissione Ue). Nessuna vera riforma, né sulla previdenza né sul mercato del lavoro; qualche balzello dal sapore antico, dalla tassa sul fumo a quella sulle city car. Questa manovra si porta dietro un prezzo politico molto alto e un costo economico molto incerto.

Il Parlamento è ridotto a un "votificio". La Finanziaria è ridotta a un colabrodo.
Il prezzo politico. La manovra è stata praticamente riscritta a Palazzo Madama. Se mai c'è stato, l'impianto originario è stato spazzato via, e sostituito da misure ancora più erratiche ed estemporanee. Se mai l'ha avuta, questa Finanziaria non ha più "anima" politica ispirata a un progetto riformatore della società italiana, ma solo un "corpo" informe riempito di mance e di prebende distribuite tra questa o quella categoria. Questo lavoro di pervicace destrutturazione ha richiesto tempo. Troppo tempo. Ora il testo, 86 articoli rappattumati alla meglio, deve tornare in seconda lettura a Montecitorio, che dovrà approvarlo in 48 ore per scongiurare il rischio dell'esercizio provvisorio, cioè il varo oltre la scadenza del 31 dicembre. I deputati avranno a mala pena il tempo di timbrare la legge, senza neanche leggerla e meno che mai modificarla. Un ricatto tacito che non ha precedenti nella storia repubblicana recente. Contano meno le grida del centrosinistra, che parla di "esproprio" e di "vergogna indigeribile", e che magari in cuor suo, spinto dal vecchio motto del "tanto peggio tanto meglio", preferirebbe far pagare al Polo proprio l'onta dell'esercizio provvisorio. Conta di più il giudizio inappellabile di un'istituzione super partes: il presidente della Camera, al quale tocca ancora una volta il compito di svelare i guasti del berlusconismo. Tra i quali c'è quello di considerare il potere legislativo come un inutile intralcio e di servirsene per "fabbricare" sigilli formali alle scelte del potere esecutivo. Il comunicato diffuso ieri da Casini mette in mora il Senato ma anche, implicitamente, il governo: la "drastica riduzione dei tempi" del dibattito prefigura il rischio di "una grave limitazione delle prerogative della Camera". Dov'era il presidente del Consiglio, mentre i giorni passavano e la scadenza di fine d'anno si avvicinava paurosamente? Dov'era il vicepremier, mentre dai testi spuntavano errori tecnici o forzature costituzionali come quella sull'amnistia mascherata? Dov'erano i ministri, mentre i senatori si davano all'allegro saccheggio della legge di bilancio?
Questa vicenda lascia sul terreno nuove lacerazioni. Dentro la maggioranza: lasciato l'interim alla Farnesina, il Cavaliere aveva promesso che avrebbe ripreso in mano le redini della coalizione, ma il caos della Finanziaria dimostra che non vuole o non riesce a farlo. Nei rapporti tra la maggioranza e il presidente della Camera: a questo punto diventa ancora più complicata la soluzione del caso Rai. Nei rapporti tra la maggioranza e l'opposizione: sarà difficile ricucire a gennaio, che secondo gli auspici di molti dovrebbe essere il mese del dialogo sulle riforme. Sarà difficile che il capo dello Stato - già preoccupato per una finanza pubblica ormai sempre più fuori controllo - apprezzi questo ennesimo "colpo" alla cultura del rispetto e della legittimazione reciproca.
Il costo economico. Chi può dire quanto peseranno gli aggravi decisi dal Senato? Da anni non si vedeva in un'aula parlamentare un suk mediorientale del genere. È davvero il momento di rendere l'onore delle armi ai Nicolazzi, ai Signorile e ai Pomicino degli anni '80: erano dilettanti, al confronto.
Qualche tentativo di arrembaggio c'è stato anche nei cinque anni di legislatura dell'Ulivo. Ma allora al Tesoro c'era proprio Carlo Azeglio Ciampi, che nelle fasi cruciali si sedeva sui banchi del governo: bastavano la sua presenza e la sua autorevolezza, a moderare i bassi istinti di collegio dei parlamentari. Oggi al suo posto c'è Giulio Tremonti, che nei momenti topici va in televisione a denunciare i buchi inesistenti di quelli che l'hanno preceduto: al Senato non si è visto praticamente mai, e i risultati sono quelli che sono.
Nel "venerdì nero" di Palazzo Madama, che è durato diciotto ore filate, fino alle 3 di notte, si è rivisto di tutto. Emendamenti come piovessero. Dal debito dei Paesi poveri ai crediti degli enti locali, ormai cartolarizzabili anche quelli. Dalle pensioni dei magistrati a quelle degli italiani all'estero, che stavano per costare le dimissioni di un altro ministro, Tremaglia. Poi crisi di nervi e insulti, spintoni tra onorevoli e sottosegretari, persino lancio di telefonini tra opposte fazioni. La sintesi più felice della maratona senatoriale si deve al presidente dell'Aula, il compassato Pera, che alle 2 e mezzo della notte perde le staffe: "C'è della follia in giro, circolano emendamenti di cui non si capisce il significato...".
Secondo il consiglio dei ministri, nonostante l'assalto alla diligenza, le grandezze complessive non sono cambiate: la Finanziaria è e resta di 20 miliardi di euro, divisi in 8 miliardi di condoni, 4 miliardi di cartolarizzazioni e 8 miliardi di tagli alla spesa. La Nota di variazione approvata dal consiglio dei ministri fa ovvie professioni di ottimismo, indicando addirittura un miglioramento di 200 milioni di euro nel saldo netto da finanziare, tra la cifra d'entrata (47,9 miliardi di euro) e quella di uscita dal Senato (47,7 miliardi di euro). Ma se si guarda al contenuto delle modifiche, se ci si avvicina qualche cifra e il nome di qualche firmatario, ogni dubbio è legittimo. Solo pochi esempi. Aumentano di 5 milioni di euro i finanziamenti alle tv private: esulta il ministro Gasparri. Si incrementano di altri 5 milioni di euro i fondi per l'autotrasporto a Roma: si esalta D'Onofrio (Udc). Arriva qualche migliaio di euro in più per le università: festeggia Eufemi (di nuovo Udc). Lievitano le risorse per le province: brinda la Lega. Si rimpinguano gli stanziamenti per gli stipendi delle forze dell'ordine: Ascierto (An) ci mette il cappello. Ingrassano persino gli indennizzi per i profughi italiani che rientrano dalla Libia: stavolta è Pedrizzi (di nuovo An) che si prende gli onori. Ognuno ha ottenuto qualcosa, per portare pace e prosperità nel suo collegio. Non si faceva così anche ai tempi della Prima Repubblica?
Ma qui il problema non è solo di coscienza, o di buon costume politico. Se non sono aumentate da qualche altra parte le tasse, e almeno in misura corrispondente, non si vede come si possa coprire questa raffica di emendamenti, ciascuno dei quali porta via risorse dal totale della manovra.
Anche perché, nella fretta del voto al Senato, quasi nessuno degli emendamenti è potuto passare al vaglio severo degli uffici tecnici: l'aula li ha approvati così com'erano, un tanto al chilo. Il passaggio alla Camera, sotto il profilo contabile, potrà riservare ulteriori sorprese. In queste condizioni, al di là del giudizio qualitativo che è francamente modesto, è a rischio l'impatto quantitativo della manovra. Ma è ragionevole ritenere che per l'Italia sarà ancora più arduo rispettare gli impegni sul rientro del deficit assunti con la Commissione di Bruxelles. Per i prossimi mesi prende corpo l'ipotesi di un nuovo intervento correttivo sui conti pubblici. In fondo anche la manovrina di primavera era una prassi consolidata della Prima Repubblica, proprio come l'assalto alla diligenza in inverno. Tollerato questo, il governo Berlusconi potrà rifare utilmente anche quella.


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