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Repubblica-Il Cavaliere e la lobby che blocca la nostra democrazia

Il Cavaliere e la lobby che blocca la nostra democrazia IL PRESIDENTE Ciampi invoca da un anno e mezzo la necessità che le opposte parti politiche dialoghino tra loro costruttivamente in Parlamen...

15/12/2002
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la Repubblica

Il Cavaliere e la lobby che blocca la nostra democrazia

IL PRESIDENTE Ciampi invoca da un anno e mezzo la necessità che le opposte parti politiche dialoghino tra loro costruttivamente in Parlamento e nel Paese; specie quando si affronti il tema delle grandi riforme istituzionali e sociali delle quali la comunità nazionale ha urgente bisogno, quel dialogo appare necessario; i valori debbono essere condivisi, il pluralismo delle opinioni deve essere assicurato; ci si può e ci si deve confrontare sui modi per meglio operare nella legislazione e nell'amministrazione della res-publica, ma non nelle finalità da raggiungere, cioè nella visione del bene comune: libertà, giustizia, efficienza, sviluppo, nel rispetto dei ruoli della maggioranza e dell'opposizione, senza forzature inutili, senza sterili prove muscolari, senza la tentazione del muro contro muro, senza pregiudiziali ideologiche.
Così il Presidente, depositario dell'identità e dell'unità nazionale e del suo ordinato approdo verso un'Europa capace di riassumere le diverse identità in un nuovo soggetto esprimendo non soltanto una politica monetaria ma anche una politica economica unitaria, una politica della sicurezza, dell'immigrazione, dei rapporti con il resto del mondo sotto l'insegna della pace e della solidarietà.
Chi non è d'accordo con queste indicazioni? Chi non aderisce a un riformismo di questa natura? I presidenti delle Camere fiancheggiano - quale più quale meno - il Capo dello Stato in questa sua quotidiana predicazione di democrazia militante. I capi dei partiti si dichiarano d'accordo. I movimenti, salvo alcune frange di antagonismo estremo, sembrano anch'essi testimoniare attaccamento alle istituzioni repubblicane. Tutti insomma, insieme alla maggior parte dei cittadini, sembrano desiderosi che si proceda in questo modo per ridare slancio e vigore ad un paese che sembra in declino di fiducia e di competitività.
Ma, nonostante tanta apparente concordia, il circuito virtuoso del dialogo o - come altri si esprime - del disgelo e della reciproca legittimazione non decollaL'intuizione politica berlusconiana fu quella di collocarsi nel punto d'intersezione tra la mortificazione e la corruzione della società italiana dopo l'intervento di Mani Pulite
I gruppi dirigenti hanno ferito il sentimento morale e il tessuto sociale In molti, disgustati, scelgono il riflusso nel cortile di casa o la forza della protesta e dell'indignazione
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
EUGENIO SCALFARI

Incontri la gente per la strada o consulti i siti di Internet che accolgono i messaggi di chi vuole liberamente esprimere le sue opinioni o rifletti solo con te stesso e con l'anima tua e non trovi che tristezza, sfiducia, disagio, disincanto. Il potere è sempre più circondato da solitudine, gira su sé stesso nella crescente indifferenza del pubblico; l'alacrità e la creatività individuale sono in ribasso; ci si risveglia soltanto a tutela dei propri egoismi oppure quando impulsi generosi travolgono i recinti del cortile di casa e suscitano intensi entusiasmi mobilitando per un poco le persone e le loro coscienze.
È singolare questa compresenza di egoismo e di solidarietà collettiva, segno che l'istinto che muove sia l'uno che l'altra è indistruttibilmente connesso alla nostra umana natura. Come tutte le creature viventi, siamo animati dall'istinto di sopravvivenza in quanto individui e in quanto membri d'una comunità e di una specie. Ed è compito dei gruppi dirigenti far sì che l'uno trionfi sull'altro anche se nessuno dei due potrà mai scomparire dalla nostra natura.
I gruppi dirigenti si preoccupano del proprio bene o del bene comune? Non con le parole con le quali arringano, ma con l'esempio dei comportamenti? La gente coglie al volo gli esempi al di là delle parole. Coglie la distanza tra gli uni e le altre. Di qui deriva quel disagio, quella tristezza, quel senso di impotenza dei quali prima parlavamo. E quel ripiegarsi, quel rientrare nel proprio cortile, quella sfiducia nel futuro.
Iddio si è ritirato dietro le nuvole disgustato e sdegnato dai comportamenti delle sue creature, ha detto il Papa. Nel linguaggio di questa terribile metafora, si vuol dire che la pulsione umana a superare il presente e a proiettare la propria vitalità, immaginazione, speranza, nell'avvenire, si è indebolita o spenta del tutto.
Perché accade tutto questo se non per una lacerazione intima, un tradimento subito, un esempio dismesso e inquinato? I gruppi dirigenti hanno profondamente ferito il sentimento morale e il tessuto sociale. Dovunque nel mondo. In Italia più che altrove. Forse Dio si è disgustato. Molti di noi, gran parte di noi, siamo disgustati e l'alternativa dunque non è il dialogo temperato ma il riflusso nel cortile di casa o la forza della protesta e dell'indignazione.
* * *
Pongo la domanda a quanti, qui, in questo paese, parlano volonterosamente di disgelo, di dialogo, di valori condivisi, insomma di normalità: perché la risposta si configura come riflusso nell'egoismo individuale o nella collettiva indignazione che rendono impossibile - l'uno e l'altra - il funzionamento di una normale dialettica democratica? Quelli che auspicano il disgelo si sono posti questa domanda e sono consapevoli delle cause che motivano quella risposta?
Non mi sembra.
Essi attribuiscono al berlusconismo un sovrappiù di leaderismo e di dilettantismo dei quali non dovrebbe essere impossibile liberarsi con un minimo di autodisciplina e di conquistata saggezza; e attribuiscono alla sinistra un residuo di antagonismo - lascito dell'antica infatuazione leninista e/o trotzkista - con il quale non si sono ancora fatti i conti.
Ripuliti - gli uni e gli altri - da queste scorie, la via del disgelo e del dialogo sarebbe finalmente aperta e su di essa ci si potrebbe comodamente e fervidamente incamminare. Se Follini fosse a Palazzo Chigi, o perfino Fini perché no, meglio ancora: se Berlusconi metabolizzasse la prudenza di Gianni Letta. E se D'Alema e Rutelli e Amato riuscissero a convogliare l'inquieto popolo del centrosinistra verso ragionevoli traguardi che sembrano impopolari ma contengono sagge prese d'atto di severe realtà; se questi mutamenti si verificassero, possibilmente nel breve giro dei prossimi dodici mesi, non saremmo finalmente diventati quel paese normale, quella ben funzionante democrazia che tutti si augurano? Questo è dunque il ragionevole risultato cui debbono tendere gli uni e gli altri. Non disperate - dicono i fautori del disgelo: esso è a portata di mano solo che non manchi la buona volontà e l'intelligenza.
* * *
Ebbene, cari amici, quel traguardo non è purtroppo a portata di mano. Voi non ne vedete la vera causa perché avete deciso di non vederla, ma essa è lì e sbarra la strada, la ostruisce come una grande frana prodotta dallo smottamento d'una intera montagna.
L'ostruzione deriva dalla natura intrinseca del potere berlusconiano.
C'entrano poco i difetti del carattere, la sua tendenza al populismo e alla demagogia: queste caratteristiche complicano il problema ma non sono il problema. Il potere berlusconiano si è configurato fin dall'inizio come una "lobby" estremamente potente, estremamente docile nelle mani del ristretto gruppo che ne aveva e ne ha il comando, estremamente decisa nell'affermazione degli interessi lobbistici di cui è stata fin dall'inizio portatrice e titolare nonché compartecipe ai vari livelli della struttura dei benefici che la conquista del potere avrebbe comportato.
Certamente una lobby non riuscirebbe a conquistare il potere in un paese democratico che decide con il libero voto la sua sorte politica e civile. E questo è stato il vero - l'unico - miracolo berlusconiano: i meriti della prima Repubblica avevano consentito al paese di crescere, i suoi vizi, esplosi a partire dagli Anni Settanta e sempre più penetrati nel profondo della società, l'avevano al tempo stesso mortificato e corrotto.
La grande intuizione politica della lobby berlusconiana fu quella di collocarsi nel punto d'intersezione tra la mortificazione e la corruzione della benestante società italiana nel momento in cui i benemeriti magistrati di Mani Pulite intervennero col bisturi della legge contro la corrotta ragnatela che aveva ricoperto le istituzioni della prima Repubblica. La risvegliarono dalla mortificazione additandole libere praterie sulle quali galoppare al seguito dei cavalieri della lobby che aprivano il corteo e indicavano la direzione di marcia.
Così fu conquistato il potere berlusconiano. Ora gli spazi si sono ristretti, l'ebbrezza della galoppata è in gran parte svanita. Rimane il potere nelle mani di un'oligarchia lobbistica, l'appassimento dei pochi valori biascicati all'inizio dell'avventura, l'amministrazione della vittoria attraverso il ben noto e collaudato metodo feudale dei benefici e dei territori assegnati ad una vasta clientela di vassalli e di valvassori, intrisa da un conflitto d'interessi permanente, crescente, diffuso nelle istituzioni, nei comportamenti, nelle coscienze.
* * *
Noi pensiamo sempre all'aspetto più rilevante di quel conflitto, che riguarda il monopolio delle reti televisive, private e pubbliche nella stessa mano, in grado di modellare non solo e non tanto le opinioni politiche, ma un modo di stare al mondo e di pensare il mondo.
Ma riflettete un momento sul conflitto d'interessi del presidente del Consiglio nella questione della Fiat: l'azienda di Torino possiede un grande giornale quotidiano ed è presente in forze in un altro; controlla una grande società di assicurazione; la banca d'affari cui si era rivolta la Fiat per trovare salvezza è a sua volta partecipata robustamente da una società d'assicurazioni controllata da Fininvest. Se prendessimo alla lettera e facessimo rigorosamente applicare le regole sul conflitto d'interessi, il presidente del Consiglio non dovrebbe occuparsi non solo della Rai ma della Fiat, di assicurazioni, di giornali, di Mediobanca.
Avviene invece ogni giorno il contrario. Ma oltre che negli affari avviene anche nel delicatissimo campo della giustizia ordinaria, della giustizia amministrativa, delle Authorities, del fisco, della legislazione sanitaria.
In queste condizioni il presidente del Consiglio non dovrebbe in realtà occuparsi di nulla. La verità è che non dovrebbe stare dove sta. Il fatto che ce l'abbia portato il voto degli italiani lo legittima democraticamente ma non per questo ripristina la sua verginità di uomo di governo e di Stato posto al di sopra degli interessi dei quali è titolare e di quelli della lobby dei suoi vassalli e valvassori.
* * *
Nell'ultimo episodio del "Padrino" i vecchi capi della "famiglia" trasferiscono il potere all'ultima generazione che hanno fatto studiare in prestigiose università. Vogliono chiudere col passato, vogliono legalizzare la loro malaricchezza, sono pronti a riconoscere i valori della legge e dello Stato.
Mi servo di un esempio che non si attaglia al caso nostro perché una "lobby" non è necessariamente mafia anche se la mafia è a sua volta una potentissima lobby.
Ma l'esempio mi è utile per porre un'altra e finale domanda: come avreste risposto alla richiesta del "Padrino" che offre la normalizzazione in cambio della legalizzazione?
Quando si ha di fronte una forza politica potenzialmente eversiva o comunque fuori dall'ordinamento politico vigente, la risposta è generalmente positiva. Cavour costituzionalizzò l'irruenza rivoluzionaria di Garibaldi, Depretis costituzionalizzò il vecchio Partito d'azione di Crispi e di Nicotera, Giolitti costituzionalizzò i socialisti e perfino i cattolici col Patto Gentiloni. Ci provò perfino con i fascisti, ma con loro non ci riuscì e sappiamo perché.
Ma si può costituzionalizzare - cioè ricondurre alla normalità democratica - una lobby che non rinuncia, non può e non vuole rinunciare ad essere tale? Non si può. Chi ci ha provato e magari tenta di riprovarci con buone intenzioni, si era già bruciato le mani e se le brucerà di nuovo perché una lobby non è credibile politicamente.
Il problema, cari amici scongelatori, non sta nell'abbassare la temperatura ma nel rimuovere l'immensa frana che ostruisce e paralizza la democrazia.
Proposte per non dire sempre di no? Certamente, fatene quante ne saprete elaborare, saranno comunque utili. Ma resta la protesta e l'indignazione; oppure la frustrazione e il ritiro nel cortile di casa propria.
Non è un difetto della sinistra massimalista: se perfino Iddio si ritira disgustato tra le nuvole, figuratevi noi, povere e peccatrici creature mortali, dotate tuttavia di ragione e di cuore.


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