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Repubblica: Come valutare i docenti

Università Vittorio Sgaramella

26/01/2008
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la Repubblica

Caro direttore, denunciare la nostra crisi culturale, economica, morale e civile è diventato uno sport (inter)nazionale. Purtroppo l´(auto) commiserazione non aiuta. Abbiamo aree di enorme sofferenza: concentriamoci su quelle meno difficili da risanare e più adatte ad attivare una ripresa generale. Io punterei su istruzione superiore e ricerca avanzata. La prima è la somma degli insegnamenti dati da università e istituti post-universitari. La seconda è un´attività tesa a scoprire ciò che non si conosce, o non si sa fare: si svolge anch´essa in università, strutture pubbliche e private, nazionali e non.
All´estero fioriscono scuole internazionali gemmate da famosi centri di ricerca. In Germania gli Istituti Max Planck, coniugando istruzione superiore a ricerca avanzata, affiancano le università, che in Europa dopo la chiesa sono le strutture più antiche: ma le crepe s´approfondiscono, aumentano e esigono lavori radicali, non imbiancature.
In teoria, università più qualificate dovrebbero preparare migliori insegnanti, specie per le medie, e quindi cittadini migliori: e tutti sappiamo se ce n´è bisogno. Poi dottorati e master dovrebbero creare professionisti che attuino la ripresa. Infine una migliore ricerca dovrebbe darci scienziati e tecnici che aggiungano valore al made in Italy.
E in pratica? Si deve intervenire a livelli diversi. Buone condizioni d´accesso a insegnamento e ricerca attraggano i giovani più capaci: tra questi si selezionino i migliori e con gratificazioni adeguate si porti avanti chi mostra maggiori capacità e interesse. È qui che urgono valutazioni più severe. Gli esperti hanno la formula magica: peer review, o esame dei pari. Ma le discipline sono tante e sempre meno prevedibili, mentre i nostri pari coprono aree limitate e consolidate; e sono pochi. È inevitabile che le loro valutazioni risentano di collaborazioni, competizioni, semplici consuetudini coi candidati: la nostra crisi nasce qui. Per valutare docenti e ricercatori, ne abbiamo provate tante: Cnvsu, Civr, ora l´Anvur, Agenzia nazionale per la valutazione di università e ricerca, che prevede un potenziale di rispetto, con presidente, direttore, consiglio direttivo, funzionari, esperti, consulenti e 5 milioni di euro l´anno. Visto quanto sopra, suggerirei un cambiamento formale: sostituire Docenza a Università. E uno sostanziale: reclutare solo peers internazionali, in omaggio al loro nome. Il bacino di competenze sarà più vasto; l´indipendenza di giudizio meglio protetta; la responsabilità garantita dal prestigio dei peers e dal patrocinio accordabile loro da accademie, nostrane e non; la celerità assicurata da Internet.
È l´uovo di Colombo? Forse. La varietà delle competenze vorrebbe un ufficio presso la Presidenza del Consiglio, con partecipazioni di più ministeri (Pari opportunità, Salute, Università, Agricoltura, Sviluppo, Lavoro, etc) e consulenze di docenti e ricercatori. Dovrebbe individuare i peers più adatti, elencarli per categorie, contattarli, ottenerne l´adesione, inviargli le domande dei candidati istruite a regola; riceverne le valutazioni articolate in graduatorie ragionate e paragonabili, quindi girarle agli enti interessati, che ne curino una non insindacabile attuazione; gratificare e responsabilizzare i peers, aggiornandoli sugli sviluppi delle loro valutazioni. Oltre che ex-ante, queste vanno esercitate anche ex-post. Altrimenti è stasi, se non gerontocrazia, e le università diventano licei senza obbligo di frequenza e con opzione di fuori-corso, centri di lunga docenza, musei. Si devono favorire i giovani che abbiano voglia e stoffa per insegnare e ricercare bene a livelli avanzati: a loro s´aprano corsie preferenziali, ma se ne sorvegli accesso e percorrenza. Da noi in genere ci si limita all´accesso, regolato dai famigerati "concorsi".
Indetti dagli enti erogatori e aperti a chi ha sufficienti titoli, dovrebbero selezionare i candidati e i progetti migliori; in realtà sono chiusi al nuovo, sia per le persone sia, specie, per le aree, ove però urge anche il contributo di competenze politiche e economiche. Giustamente i paesi più progrediti preferiscono valutazioni dirette e rapide. Ma il vecchio concorso merita qualche rispetto: il giudizio di tanti è migliore di quello di pochi, anche in una repubblica aristocratica come la scienza. Non deve però prestarsi ad intrallazzi e continui rinvii.
I peers internazionali, s´obietta, sono costosi e umilianti. In realtà i loro costi sono bassi e ben giustificati dalla posta in gioco: ne bastano una decina per candidato (professore o progetto che sia), e potrebbero lavorare a casa, con calma, via Internet. Quanto all´immagine, se a suo tempo avessimo esportato la valutazione di docenti e ricercatori, oggi non esporteremmo rifiuti, con danni e beffe inaccettabili. Inoltre la globalizzazione di docenza e ricerca presto potrebbe imporre una peer review internazionale a (quasi) tutti i paesi. Potrebbe diventare norma comunitaria, magari anche grazie ad un´Italia che, pur in crisi, eccelle nella moda, nel turismo, in auto e moto, sta facendo abrogare la pena di morte dal mondo. La corretta valutazione di chi s´impegna in docenza superiore e ricerca avanzata non è la pietra filosofale che muta piombo in oro, ma è la pietra angolare di un sistema che privilegi cultura, benessere e dignità. Questo è il paese nel quale vogliamo veder crescere figli e nipoti.


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