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Renzi, università e ricerca: a quando l’incontro?

In un’Italia che vede l’istruzione e la scienza ignorate, quando non umiliate, sarebbe auspicabile che chi si candida con determinazione alla guida del Paese, e soprattutto a un suo cambiamento strutturale, illustrasse con chiarezza le proprie idee, possibilmente iniziando un dialogo con i protagonisti di questo mondo, sulla pelle dei quali sono state fatte nei decenni scorsi tutte le “riforme epocali”.

22/01/2014
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l'Unità

Paolo Valente

 recente accelerazione della curva di Matteo Renzi all’interno del Partito Democratico lo ha portato fino alla massima responsabilità: segretario nazionale.

Si è trattato di un percorso che è passato attraverso le primarie perse a dicembre 2012 a vantaggio di Pierluigi Bersani, dalla vittoria-non vittoria del PD alle ultime elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013, fino al tentativo fallito di formare un governo da parte di Bersani, con il conseguente esecutivo di “larghe intese” affidato a Letta, e le conseguenti dimissioni del Segretario. Quindi la reggenza, e le nuove primarie a dicembre 2013, vinte largamente da Renzi.

Come primo atto, il nuovo Segretario ha rilanciato il suo programma di riforme, a partire dalla legge elettorale, il bicameralismo perfetto, il Titolo V della Costituzione.

In questo anno, dalle primarie perse a quelle vinte, all’azione politica di Matteo Renzi, candidato e sindaco di Firenze, si è sovrapposto l’operato del Governo presieduto da Enrico Letta, sostenuto, ovviamente, dal PD, e composto, in parte, di parlamentari etichettati come “renziani”. Tra questi, il ministro dell’istruzione, università e ricerca, l’on. Carrozza.

Governo che, come spesso capita di leggere nelle analisi politiche anche meno ostili, è costretto, sia per la particolare natura della maggioranza che lo sostiene in Parlamento, sia per il respiro molto limitato del suo programma e mandato, a navigare a vista in molti dei settori in cui il nostro Paese versa in grave difficoltà: la crescita, il lavoro, le riforme istituzionali.

In materia di scuola, per esempio, abbiamo assistito ad una vicenda, quella degli scatti stipendiali degli insegnanti, che dice semplicemente che in molti settori ci si limita a gestire il lascito delle pesanti manovre economiche lungo la linea di continuità del “rigore” Tremonti-Monti-Saccomanni, cercando di correggere la rotta, appunto “a vista”, ogni qual volta si metta in evidenza un’emergenza dal punto di vista sociale, politico o comunque di consenso.

Né in tema di università e ricerca c’è stata una decisa inversione di tendenza rispetto ai passati governi. Certo, i tagli pesanti della legge 133/2008 e della manovra correttiva del maggio 2010 (D.L. 78/2010) non sono stati aggravati, e la ministra Carrozza rivendica alcune decine di milioni di Euro di incremento nel fondo ordinario dell’Università, che pure in questi anni si è ridotto da oltre 8 a circa 7 miliardi; non si può però sostenere che la logica del ridimensionamento sia stata superata. Anzi, l’impianto della riforma “Gelmini” dell’Università, tutta incentrata sulla riduzione del personale, sull’accentuato controllo sui bilanci degli atenei, e accompagnata da una selva di decreti attuativi che hanno – di fatto – bloccato l’intero sistema, non è stato minimamente messo in discussione.

Il reclutamento universitario, infatti, oltre che limitato dalla drastica riduzione del turnover, è bloccato di fatto dall’incredibile lentezza delle procedure per l’abilitazione scientifica nazionale (il requisito per poter aspirare a diventare professore): a un anno e mezzo dalla scadenza del bando (DD 222 del luglio 2012) ancora mancano all’appello i risultati di oltre metà delle commissioni.

Sorte migliore non tocca agli enti pubblici di ricerca: dispersi e soggetti al controllo multiplo e incoerente di (almeno) sette ministeri, non solo vedono i loro bilanci erosi da anni, ma annegano nel mare della burocrazia, in quanto accomunati dalla pletora di norme – spesso illogiche e punitive – che riguardano la pubblica amministrazione. A fronte di annunci di “cabine di regia” e una “nuova governance unificata”, che minacciano l’ennesima riforma a costo zero, l’ennesimo riordino in grado di aggravare i problemi dovuti ovviamente alla scarsità di risorse e personale, ma anche e soprattutto alla scarsa o nulla programmazione, non si vede quell’attenzione a un settore che in qualsiasi altro Paese d’Europa è considerato strategico: nessuna traccia del nuovo Piano Nazionale della Ricerca, finanziamenti universitari (PRIN) azzerati, programma per i giovani ricercatori annunciato ma non bandito (Futuro in ricerca), rientro dei cervelli bloccato, decreti di riparto in ritardo cronico, vertici degli enti di ricerca ancora “monchi”, problema oramai cronicizzati e per i quali sono state annunciate soluzioni ancora all’ordine del giorno (precariato, in particolare ma non solo all’INGV, accorpamenti e soppressioni di enti, blocco dei contratti e delle carriere, caos normativo, eccetera). Una lista lunga e noiosa per i non addetti ai lavori.

Sembra allora molto lontanto il Forum università, saperi e ricerca, presieduto dalla stessa Carrozza, che rivendicava prima delle primarie 2012 “immediatezza, riformismo, metodo” per “settori irrinunciabili come l’università e la ricerca, dato che l’Italia, per competere in un nuovo scenario globale, ha bisogno di più laureati e di più ricercatori”, e che avrebbe voluto “fare dell’università il luogo centrale della promozione di nuove risorse umane, in grado di diventare l’ossatura di un nuovo modello di sviluppo del nostro paese”.

Su tutto questo, che dovrebbe rappresentare l’investimento sul futuro del nostro Paese, sulle sue prospettive di crescita e rilancio della competitività, ovvero l’istruzione, la formazione, l’università e la ricerca scientifica e tecnologica, Renzi ha parlato e scritto poco, in questi mesi. Sulla scuola, dato l’enorme bacino rappresentato non solo dal quasi milione di dipendenti, ma soprattutto dai molti milioni di famiglie degli studenti di ogni ordine e grado, un passo significativo viene dal programma per le primarie:

Gli insegnanti sono stati sostanzialmente messi ai margini, anche dal nostro partito. Abbiamo permesso che si facessero riforme nella scuola, sulla scuola, con la scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni. Non si tratta solo di una autogol tattico, visto che comunque il 43% degli insegnanti vota PD. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano.

Il Pd che noi vogliamo costruire cambierà verso alla scuola italiana, partendo dagli insegnanti, togliendo alibi a chi si sente lasciato ai margini, offrendo ascolto alle buone idee, parlando di educazione nei luoghi in cui si prova a viverla tutti i giorni, non solo nelle polverose stanza delle burocrazie centrali

Molto meno, su università e ricerca, praticamente assenti dal dibattito politico. Questo se si dimenticano le lontane dichiarazioni a una trasmissione televisiva (8 e mezzo di qualche mese or sono) che sono tutt’altro che rassicuranti e – quanto meno – denotano un scarso approfondimento dei temi dell’istruzione universitaria, della ricerca e della loro valutazione e valorizzazione:

Ma come sarebbe bello se riuscissimo a fare cinque hub della ricerca, cosa vuol dire? Cinque realtà anziché avere tutte le università in mano ai baroni, tutte le università spezzettatine, dove c’è quello, il professore, poi c’ha la sede distaccata di trenta chilometri dove magari ci va l’amico a insegnare, cinque grandi centri universitari su cui investiamo… Le sembra possibile che il primo ateneo che abbiamo in Italia nella classifica mondiale sia al centoottantatreesimo posto? Io vorrei che noi portassimo i primi cinque gruppi, poli di ricerca universitari nei vertici mondiali.

In un’Italia che vede l’istruzione e la scienza ignorate, quando non umiliate, sarebbe auspicabile che chi si candida con determinazione alla guida del Paese, e soprattutto a un suo cambiamento strutturale, illustrasse con chiarezza le proprie idee, possibilmente iniziando un dialogo con i protagonisti di questo mondo, sulla pelle dei quali sono state fatte nei decenni scorsi tutte le “riforme epocali”.

Anche su questo, Matteo, cambia verso.


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