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Quei bambini che non vediamo

La campagna «Riscriviamo il Futuro» (con manifesto) contro la povertà educativa. Aggravata dal Covid

08/06/2021
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

La storia minima dei 15 mesi di Dad annovera tra i suoi protagonisti la giovane Fiammetta, l’alunna trentina di 10 anni che, durante i mesi della chiusura della scuola, si è collegata con la sua classe niente meno che dal pascolo in mezzo alle capre di suo papà Massimiliano. Ma c’è anche la studentessa del liceo classico Caccioppoli di Scafati, in provincia di Salerno, che è stata interrogata bendata perché la prof non ha trovato di meglio per essere sicura che non sbirciasse gli appunti. Del resto secondo i dati dell’ultima ricerca dell’Istituto Toniolo con Parole O_stili, durante le lezioni da casa il 96 per cento (cioè tutti) degli studenti ha chattato, 4 su 10 hanno addirittura cucinato e 9 su 10 mangiato.

Per dirla con il demografo Alessandro Rosina durante l’ultimo anno e mezzo «c’è stato un impoverimento di tutte le dimensioni del processo formativo». Anche per chi come Giulio, dodicenne di Pomonte, vicino a Scansano (Grosseto), ogni mattina la primavera scorsa faceva un chilometro a piedi per raggiungere l’unico spiazzo dove ci fosse campo sufficiente per collegare il suo smartphone e connettersi con i suoi compagni, finché non è intervenuto il ministero dell’Istruzione per portare la linea anche a casa sua. Già da marzo 2020 il governo si era mosso per far avere a chi degli 8 milioni e mezzo di studenti ne fosse privo un pc o un tablet: 85 milioni stanziati, quasi 70 assegnati alle scuole nel giro di pochi giorni. «E quando si è saputo che arrivavano i nuovi pc e i tablet — racconta ora la preside di una scuola campana — si sono improvvisamente rifatti vivi tutti gli studenti che ci eravamo perduti nei primi giorni. Purtroppo volevano il nuovo smartphone, non certo le nostre lezioni: si sarebbe dovuto lasciare le scuole aperte».

Ne sa qualcosa Anita, la studentessa di Torino che è diventata il simbolo delle proteste contro la Dad, questa Dad, ben prima che si muovessero i comitati dei genitori per denunciare gli incredibili errori e le storture della didattica da casa. Come mostrano bene anche i dati della rilevazione di Save the Children «Riscriviamo il futuro», non basta mettere un tablet in mano ad un nativo digitale per farne uno studente digitale, men che meno un cittadino digitale. Anche chi ha avuto i mezzi, i device e il wi-fi, troppo spesso non conosce i rischi a cui va incontro navigando in rete e sui social, non sa cosa fare né come: uno studente su cinque non riesce a compiere operazioni semplici e uno su tre non sa scaricare e dunque usare un documento condiviso dall’insegnante.

E non ha neppure chi glielo può insegnare, visto che la didattica a distanza — divenuta normalità molto in fretta per i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori in tutta Italia e in alcune regioni, soprattutto nel Sud, anche per i più piccoli — è rimasta un esperimento artigianale. Senza una vera e propria formazione dei docenti che, nella maggior parte dei casi, hanno continuato a trasmettere il solito programma a distanza; senza un galateo minimo (bisogna farsi vedere in video, si può essere «in nero», come si devono/possono svolgere le interrogazioni o le verifiche in genere? Sono domande rimaste senza risposta).

Finora la «questione digitale» era stata affidata, tra gli altri argomenti, alla rinata educazione civica reintrodotta proprio quest’anno: 32 ore di lezione ritagliate dall’orario delle altre materie, dentro le quali c’è un po’ di tutto. Di fronte all’allarme di Save the Children viene da chiedersi: e ora? Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha detto che la Dad resterà, anche se non sarà alternativa alle lezioni in classe: si potrà usare in situazioni particolari, per aiutare chi a scuola non può andare per qualche motivo grave. E comunque dovrà essere diversa. Il Pnrr ha affrontato il tema comprendendolo nell’investimento complessivo di 10 miliardi per la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Per le scuole poi è prevista, oltre alla banda ultra-larga per tutti, la formazione continua per gli insegnanti e il rafforzamento delle competenze Stem degli studenti, un polo per l’educazione digitale al ministero dell’Istruzione che deve assicurare il miglioramento delle competenze didattiche digitali. Si tratta ora, per non perdere colpevolmente un’occasione che non tornerà più, di trasformare questi fondi in progetti. In fretta.


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