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Perché non vogliamo essere un paese per ricercatori e scienziati?

di Domenico Pantaleo.

28/01/2016
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L'Huffington Post

Un'Ansa delle 20.32 del 26 gennaio informa che la prova di simulazione di Fisica ha gettato nel panico decine di migliaia di studenti del quinto anno dei Licei scientifici. E anche i loro docenti, dal momento che, sempre secondo l'Ansa, in molte scuole la prova è stata annullata. La vicenda si spiega con la decisione del Miur di portare Fisica come seconda prova scritta alla maturità scientifica, dopo più di quarant'anni ininterrotti di Matematica. Al di là del grado di difficoltà dei quesiti proposti dal Miur - per la verità, tutti coerenti col programma di Fisica e dunque non certo "impossibili", come invece scrive l'Ansa - il polverone mediatico sollevato dalla simulazione di Fisica, soprattutto per effetto della cassa di risonanza offerta dai social network, ripropone una grande questione italiana, quasi del tutto irrisolta: quale ruolo viene attribuito al sapere scientifico, alla ricerca scientifica e ai suoi metodi, e per quale ragione la cultura scientifica, elemento fondamentale della modernità di un paese, non riesce a trovare una precisa centralità collettiva, almeno in Italia. Se una prova scritta di Fisica spaventa così tanto coloro che già tra pochi mesi dovranno affrontare scogli ben più duri all'Università, vuol dire che il problema della Scienza esiste ed è drammaticamente reale.

La questione è stata riproposta e rilanciata in un articolo sul quotidiano la Repubblica dalla professoressa Elena Cattaneo, senatrice a vita e condirettore del Centro di ricerca sulle cellule staminali dell'Università di Milano. Già dal titolo, la provocazione della professoressa Cattaneo era evidente: "Non è un paese per scienziati". Il passaggio in cui la senatrice e studiosa di fama internazionale pone la vexata quaestio della ricerca in Italia è: "E cosa dire di un Paese che persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un misero 1,2% del Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille occupati? Per inciso, le medie Ue sono circa il doppio. Ma se questo non è un Paese per scienziati, cosa facciamo noi perché torni ad esserlo? Quanta responsabilità abbiamo nell'accettare che la Scienza sia squalificata, processata, manipolata, svenduta, sotto-finanziata?".

È evidente che la domanda è rivolta a tutti: legislatori, comunità scientifica, accademie, e anche a noi sindacati. Occorre elevare un ampio dibattito pubblico sulle domande acutamente poste dalla professoressa, perché sono domande eminentemente politiche che rinviano al modello di sviluppo che vogliamo affermare nei prossimi anni e al destino del nuove generazioni. E appunto interessano centinaia di migliaia di studenti, e le loro famiglie, perché da questo dibattito pubblico e dalle scelte che verranno effettuate dalla comunità politica e di governo, dipenderà il loro futuro. Qui, naturalmente, evitiamo di cadere nella trappola della cosiddetta "doppia cultura", umanistica e scientifica, con relative gerarchie, che non ve ne sono, e parliamo di integrità del sapere, e della sua funzione critica. Anzi, sarebbe meglio abituarsi all'idea che la "conoscenza è scientificamente unitaria" e che dal punto di vista politico varrebbe la pena parlare di "pacchetto conoscenza".

Entriamo cioè in una logica esattamente opposta a quella che ha convinto il nostro premier a sottrarre importanti finanziamenti per il Fondo universitario e per il diritto allo studio. Come Flc-Cgil non solo abbiamo cercato tenacemente di contribuire alla legge di Stabilità con emendamenti mirati, elaborati assieme a ricercatori ed esperti, a "scienziati" insomma, per chiudere le tante falle presenti nell'alta istruzione del nostro Paese, ma abbiamo sollevato in maniera esplicita l'allarme sulla "emergenza università", a partire dalla drammatica situazione degli Atenei del Mezzogiorno.

Siamo dunque d'accordo con le conclusioni della professoressa Cattaneo: "Scienza, Ricerca e Accademia hanno un ruolo sociale. Formano generazioni libere, preparate e critiche. Determinano la qualità democratica. Non difendere questa libertà (integrità decisionale) non lascia alibi. Tantomeno a chi guarda dolente a un Paese in compiaciuta contemplazione delle vestigia del passato, per nascondere che non sa progettare il presente e improvvisa sul futuro". Ci limitiamo ad osservare, per completezza, che ruolo e funzione sociale del sapere critico, della scienza e delle università furono forte elemento di riflessione già in Antonio Gramsci, il quale, naturalmente, vi aggiungeva l'elemento del riscatto sociale per i poveri.

Se ciò è vero, ed è vero, occorre dunque rilanciare con forza il dibattito pubblico sulla emergenza università nel nostro Paese, calibrandolo sulla necessità di un massiccio e keynesiano piano di finanziamento pubblico. L'1,2% del PIL è davvero troppo poco per lo sviluppo strategico della ricerca. Bastano pochi dati per comprendere a che punto è stata ridotta l'istruzione e la ricerca in Italia: nel 2008, la spesa pubblica per ricerca e innovazione era di 4.092 miliardi di euro, nel 2014 si riduce a 2.818 miliardi di euro. La spesa pubblica per l'istruzione scolastica nel 2009 era di 44.184 miliardi di euro, nel 2014 si riduce a 41.293 miliardi di euro. La spesa pubblica per l'istruzione universitaria passa da 8,683 miliardi del 2008 ai 7,851 miliardi di euro del 2014. In sintesi: in sette anni i tagli all'istruzione pubblica, alla ricerca e all'università ammontano complessivamente a 5 miliardi di euro. Il "pacchetto conoscenza", infatti, è diminuito non solo in assoluto, ma anche in termini relativi: dal 3,33% al 3,19% del Pil.

Inoltre, il "pacchetto conoscenza" è quello dove i governi italiani hanno tagliato di più. In netta controtendenza rispetto ad altri paesi europei e non, dove la spesa in ricerca e formazione continua ad aumentare. Da questo punto di vista, i finanziamenti previsti dalla legge di Stabilità 2016 (davvero pochi milioni di euro) non invertono la tendenza, e non rispondono positivamente alla domanda che tutti dovremmo porci: "perché l'Italia non vuole essere un paese per scienziati e ricercatori?". Perché si disperdono tanti talenti e tante competenze?


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