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Per la Normale serve una rete

L’idea generale che sosteneva il progetto, già avanzata dall’Istituto italiano di Scienze umane, poi incorporato nella Scuola Normale (che infatti aveva una sede a Napoli, affrettatamente chiusa), non era priva di ragioni

17/12/2018
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la Repubblica

Roberto Esposito

Pisa è salva" — dichiara, giubilante, su Facebook il sindaco leghista di Pisa, Michele Conti insieme al deputato leghista Edoardo Ziello. Il marchio della Scuola Normale non va "al Sud" — come definisce la città di Napoli. Così si è concluso il tentativo, fortemente voluto dal direttore della Normale, Vincenzo Barone e dal rettore della Federico II di Napoli (e presidente della conferenza dei rettori), Gaetano Manfredi. Napoli avrà i finanziamenti promessi per la costruzione del proprio Centro di eccellenza, ma senza potere adoperare, neanche per i tre anni di avvio, il nome della Scuola pisana. Perciò, prosegue il sindaco, i napoletani devono ringraziare la Lega per i 50 milioni ricevuti dal governo. Ma Pisa è salva. Altrimenti, "prima prendevano il simbolo e poi ci facevano concorrenza" (traggo queste espressioni, di alto profilo istituzionale, da una intervista del sindaco al Mattino di Napoli).

Intendiamoci. La vicenda che si è chiusa con questo esito al Miur, al cospetto dei due rettori e del suddetto sindaco, è partita male ed è stata gestita in maniera inadeguata, sia a Pisa che a Napoli. Molte delle riserve degli studenti e di diversi professori della Scuola sono condivisibili. Oltre a una comunicazione insufficiente rispetto al rilievo del progetto, è mancata la necessaria chiarezza sulle sue modalità e sui suoi obiettivi. Restava, per esempio, piuttosto indeterminato, dopo il triennio di sperimentazione, il rapporto tra il nuovo Istituto superiore, l’Università di Napoli e la Scuola Normale. Così come sembravano davvero pochi tre anni per colmare lo scarto tra un Ateneo pur importante come la Federico II di Napoli, e una Scuola che in più di duecento anni ha acquistato un prestigio e uno standard qualitativo apprezzati in tutto il mondo. Non è dunque per nulla strano che allievi e professori della Normale chiedessero precise garanzie prima di avviare un’operazione ambiziosa, ma non priva di rischi.

Tuttavia va detto che l’idea generale che sosteneva il progetto, già avanzata dall’Istituto italiano di Scienze umane, poi incorporato nella Scuola Normale (che infatti aveva una sede a Napoli, affrettatamente chiusa), non era priva di ragioni. Si trattava di costruire una rete di Scuole di alta formazione con livello culturale e obiettivi comuni, simile a quella del sistema normalista francese. In un Paese come il nostro, da sempre privo di un luogo destinato alla formazione della classe dirigente, questa rete di competenze, collegate in una visione collettiva, avrebbe potuto svolgere un ruolo di rilievo. Oltre a contribuire, almeno sul piano culturale, a superare il gap sempre più sensibile tra il Centro-Nord e il Meridione. Certo anche l’istituzione, come quella adesso prevista a Napoli, di una Scuola superiore meridionale, ha un valore positivo. Ma non è la stessa cosa. L’idea che ogni Università si crei il proprio Centro di eccellenza perde proprio quell’orizzonte comune che dava respiro al progetto iniziale.

Naturalmente chi è entusiasta di questa frammentazione, destinata a mantenere intatto il differenziale precedente tra Nord e Sud, è la Lega, che può raddoppiare il proprio sovranismo su scala cittadina. Mettendo così fine alla commedia della propria recente conversione a partito nazionale. Tutto ciò proprio sul quel terreno della formazione su cui si potrebbe scommettere con maggior forza sulla riunificazione del Paese. Ma di questo cosa importa a Salvini e ai suoi? Non vorremmo però che, dopo aver cancellato la parola Nord dalle proprie bandiere, la Lega volesse ripristinare il linguaggio delle antiche Repubbliche marinare.


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