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Opporsi alla deriva

di Antonio Valentino

13/09/2012
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ScuolaOggi


Ha ragione Tiriticco

L’avvio di quest’anno scolastico si prospetta come uno  tra i più travagliati di questi ultimi anni, che pure sono stati segnati da gravissimi problemi e da difficoltà enormi.

La deriva di cui parla Tiriticco nella sua ultima riflessione è ormai sotto gli occhi di tutti.

Non sto a parlare di questo pasticcio del concorsone che ha gettato nel panico i tanti insegnanti titolati - ma in una situazione di precarietà - che si sono fatte le ossa in questi anni difficili e in molti casi hanno assecondato progetti di innovazione e buon funzionamento nelle nostre scuole. Né della vergogna degli ultimi concorsi gestiti con superficialità e pressappochismo, né del disastro delle reggenze che continua e si aggrava paurosamente anche quest’anno o delle questioni irrisolte del dimensionamento.



Quest’anno per gli istituti superiori comincia la riforma del triennio: nuove linee guida per i curricoli, più centrate indicazioni metodologiche su competenze, laborialità, comitati tecnico-scientifici aperti al contributo di figure territoriali della cultura, del lavoro, dell’amministrazione pubblica.

Se chiedete in giro, anche agli insegnanti più attenti e forse anche a qualche dirigente, la risposta che vi arriva è che “ sì, se ne è parlato forse in qualche collegio. Ma non siamo in grado di partire perché non siamo preparati”.

Entrano anche in vigore le Nuove Indicazioni per il primo ciclo. Ma non si sente parlare di corsi di aggiornamento e formazione.



Di fronte a questo stato di cose (e c’è dell’altro, come richiama Tiriticco), credo che siano in tanti quelli che nelle nostre scuole cominciano a non poterne più di questo stato di cose che non li fa vivere bene e che alimenta delusione e frustrazione.

Ci rendiamo sempre più conto che il Ministero, anche nelle sue articolazioni territoriali, non è in grado di lavorare alle condizioni soltanto minime per assicurare fattibilità alle riforme che, disattese ormai per quanto riguarda gli aspetti innovativi, si stanno rivelando,  almeno per le scuole del secondo ciclo, per quello che una classe politica miope e senza  visione aveva forse messo nel conto come il vero obiettivo: tagliare risorse linearmente e ferocemente, vendendo  tagli i indiscriminati e spesso insensati come misure per risparmi doverosi e necessari.

Si sono mostrati soggetti finora inconcludenti anche le Regioni e gli Enti Locali (le eccezioni, anche in questi caso, confermano la regola). Per non parlare delle Università. Le ragioni possono essere molteplici. Comunque è mancata la volontà politica di farsi carico dei problemi e avviarli a soluzione, per quanto di competenza.

Nessun progetto, nessuna volontà evidente di pensare alla scuola come risorsa per la cittadinanza e lo sviluppo. Una ignavia diffusa e spesso disperante. Per quanto non manchino singole situazioni, come ho incidentalmente annotato, che stanno invece a dimostrare che una ripartenza è possibile.



Comunque …

Va comunque detto che la scuola è, nonostante tutto, una delle istituzioni che,  almeno nella percezione dei più, ha ancora credito. Questo ci dicono  inchieste anche recenti.

E  questo grazie soprattutto – è facile riconoscerlo – a insegnanti e  dirigenti  (non tantissimi, ma comunque  ce n’è) che, all’interno delle singole scuole, con generosità e competenza lasciano aperta la speranza per una risalita.

Continuo a pensare che sono proprio nelle scuole le risorse più importanti e su cui far leva per arginare una condizione sempre più pesante, e  lanciare messaggi del rinnovamento possibile.

Va aggiunto che altri soggetti, in questa fase, fanno sentire la propria voce, non solo per denunciare, ma anche per costruire. Penso a una risorsa che ha ben funzionato negli ultimi anni:  quella delle Associazioni professionali e non (penso alle Associazioni dei Genitori), legate al mondo della scuola.

Anche i siti ‘scolastici’ telematici sono stati in questi anni strumenti importanti di sviluppo della consapevolezza e di socializzazione di esperienze innovative.



Creare movimento per la ricostruzione, puntando sul protagonismo delle scuole

- meglio: di quanti, nelle scuole, e non sono pochi, e purtroppo neanche tanti,  lavorano con passione e professionalità, al di là dei loro doveri professionali, per il buon funzionamento del loro Istituto, cercando di coinvolgere anche gli altri): è questa forse la parola d’ordine su cui, in questa fase, sviluppare impegno e progetti e recuperare credibilità. Anche correndo il rischio di sentirsi tacciare di essere fuori dalla realtà.



Ovviamente questo impegno, vissuto con la consapevolezza della posta in gioco, non può significare rinuncia alle opportune rivendicazioni, perché si inverta nella politica e nelle scelte governative lo sfacelo dell’attuale situazione.   Il messaggio dovrebbe essere quello che la scuola non può accettare una situazione che degrada un servizio pubblico fondamentale. E per contrastare tale situazione  rilancia obiettivi di rinnovamento e miglioramento.



Qualche esemplificazione per provarci



Urgenze e sollecitazioni - da mettere al centro di questo più consapevole impegno e tra le quali selezionare - sono tante e qualificanti, come ben sanno docenti e dirigenti. A partire dagli stessi  provvedimenti e regolamenti normativi recenti, che, se continuasse questo stato di cose,  continuerebbero a restare lettera morta.

E così, dare il giusto rilievo alle Linee guida (LG), che da quest’anno cominceranno a interessare anche il triennio degli Istituti Tecnici e Professionali, potrebbe permettere di recuperare un’ottica nuova che per molti può significare un modo diverso di approcciare l’insegnamento disciplinare.

E non tanto per l’elenco, in ciascuna scheda delle LG, degli argomenti disciplinari (da assumere comunque, credo, come trama concettuale nella quale i vari argomenti avranno peso e collocazione diversi in rapporto alle finalità che si tenderà a privilegiare e alla tipologia di studenti), ma anche per le correlazioni con saperi e competenze con altre discipline della stessa area che si vorranno programmare all’interno di progetti comuni di corso o di classi parallele.

Un discorso analogo penso si possa fare con le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo.

D’altra parte, parlare di una didattica per competenze obbliga in qualche modo a fare i conti anche con le metodologie di insegnamento in cui si intrecciano operatività e riflessività e con l’idea di laboratorio come spazio dell’apprendere in autonomia, guidata attraverso il fare .



Che dire inoltre della necessità di mettere definitivamente in crisi il modello che fa dell’insegnamento frontale e trasmissivo la modalità più largamente diffusa nelle nostre aule - e finanche nei laboratori -? Potrebbe ben essere questa una parola d’ordine quasi rivoluzionaria, se ad essa si legassero pratiche sperimentali  tendenzialmente cooperative. 



Altro terreno di  impegno non più rinviabile (ovviamente lo si dice da sempre): la valutazione degli apprendimenti; certamente fondamentale se venisse  assunto – come dovrebbe essere - come strumento per conoscere, stimolare, gratificare; e perdesse definitivamente la natura,  ancora prevalente, di strumento di potere e sanzionatorio che mal si concilia con la formatività del fare scuola. E se, con riferimento al discorso delle competenze, si puntasse sulla centratura non tanto su quello che si sa, quanto, piuttosto, su quello che si sa fare con quello che si sa.

E ancora: dare dignità all’operazione di certificazione delle competenze che ora fa acqua da tutte le parti:  il riferimento è a quella di fine primo ciclo e del primo biennio; ma, sensatamente, la questione va riproposta anche per la conclusione degli studi del secondo ciclo.

Infine (si fa per dire): a due anni dall’entrata in vigore del decreto attuativo del rioridino, le sperimentazioni del CTS (in prima battuta come luoghi dell’autonalisi e/o di autovalutazione di Istituto e di collaborazioni, ove possibile, con il territorio) e dei Dipartimenti (come spazio di recupero di un sapere tendenzialmente unitario) non sarebbe il caso che diventino meno episodiche e più diffuse?



Anche senza voler ‘strafare’ (anche qui si fa per dire), un uso intelligente e pieno delle 80 ore previste dal Contratto di categoria, potrebbe - anch’esso - rappresentare uno strumento utile per rilanciare la ricerca e l’autoformazione nelle varie articolazione del collegio, per pensare e progettare sperimentazioni in un’ottica sana di autonomia, per aprirsi ad altre esperienze e stimoli (Di autoreferenzialità si muore).



Esemplificazioni così, a caldo.

L’importante è comunque – credo - rimettersi in moto e ridarsi fiducia per dare fiducia a studenti e famiglie; e non solo.



Segnalo qui l’utile  contributo al riguardo di Stefano Stefanel (“Un orizzonte possibile”) del maggio scorso che, su questa stessa rivista,  prospetta e argomenta su terreni di impegno possibile, con l’obiettivo di ridare senso e dignità al lavoro nelle scuole  e chance per un futuro meno rassegnato e grigio.

Ma altri stimoli vengono, come già detto, anche dalle  diverse riviste telematiche (penso soprattutto a quella dell’ADI o a Education 2.0, se non altro per la ricchezza dei contributi proposti) che sono fiorite in questi anni.



La rassegnazione non paga

Una  seconda parola d’ordine da declinare con maggiore frequenza è che “non si parte mai da zero” e che la valorizzaione delle esperienze pregresse è linfa straordinaria per pensare ad un futuro meno ingarbugliato e più soddisfacente.

Rassegnarsi alla deriva – mettiamola così – non è neanche conveniente; se non altro perché ci rende tutti più rassegnati o frustrati.

Certamente per tutto questo occorrerebbe una regia o più regie coordinate e democratiche.

Penso comunque che i DS dovrebbero, in questa fase,  porsi come soggetti motore in possibili azioni di  promozione e coinvolgimento, a partire dalle proprie  scuole. 

Come pure andrebbero consolidate e socializzate esperienze di coordinamento e promozione di quegli enti locali che si sono spesi su questi terreni.



Su tali questione appare urgente anche una riflessione su quale funzione, oggi,  debba ricoprire il  sindacalismo confederale, che mi piace sempre pensare come soggetto imprescindibile per un discorso sul rinnovamento della scuola in questa fase. Solo che ci fossero più coraggio e meno contraddizioni. O no?



Comunque, darsi - dovunque è possibile e come è possibile - un progetto per una ripartenza sensata,   è una idea che la scuola militante e l’universo interessato che gli sta intorno non possono continuare a rinviare ad altra stagione. La stagione è questa. Diversamente non si parte mai. E continueremmo a macerarci nelle nostre rabbie e insoddisfazioni.

E saremmo punto e a capo. Saremmo.   
 


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