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Ocse-Pisa, la scuola italiana migliora. Perché? "Non si sa"

Per orientarsi e dare un paio di gambe alle piccole notizie di speranza bisogna andare nel territorio, dentro le scuole, e ascoltare dirigenti amministrativi, presidi, insegnanti

04/12/2013
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la Repubblica

Corrado Zunino

I nostri quindicenni, che iniziano a prendere confidenza con le risposte ai quiz dell'Invalsi, migliorano a scuola. Di 18 punti in scienze, di 20 in matematica (rispetto alla rilevazione, in questo caso Ocse-Pisa, del 2003). Un sollievo, persino una speranza. Migliorano un po'  -  rispetto al 2003, anno del picco negativo  -  anche nella comprensione di un testo in italiano, questione che a lungo ha fatto temere un analfabetismo strutturale degli adolescenti italiani. Siamo ancora nella parte destra, medio-bassa, della classifica Ocse  -  i 65 paesi più industrializzati nel mondo -, ma stiamo risalendo. In matematica andiamo meglio di Spagna e Israele, nella lettura meglio di Spagna e Svezia. Se tenessimo conto non dei 15 anni di età (parliamo di uno studente alla seconda classe superiore), ma dei dieci anni di scuola effettivamente svolti, recupereremmo ancora di più: in tutte e tre le discipline (scienze, matematica, comprensione) saremmo sopra la media Ocse. Restiamo indietro, sì, ma con la Turchia, il Messico e il Lussemburgo facciamo i progressi più incisivi.

Perché miglioriamo? Qui non c'è risposta. La messe di dati a sostengo delle macroanalisi Ocse, davvero macro, planetarie, sciorinate in apnea dall'analista Francesca Borgonovi, quindi commentate con orgoglio dal sottosegretario Marco Rossi Doria (i miglioramenti non sono ascrivibili, però, al governo Carrozza in sella da sei mesi e neppure al governo Profumo cui Rossi Doria partecipò, visto che si arriva ad analizzare dati fino a tutto il 2012), non offre risposte. "Non sappiamo spiegare questo recupero", ammette la Borgonovi, "l'Ocse dovrà impegnarsi a studiare". Anche loro.

Aveva detto l'analista: "L'Italia ha compresso gli investimenti quando gli altri paesi assimilabili li hanno espansi". Vero, otto miliardi di tagli alla scuola dal 2008 al 2011, a firma Tremonti-Gelmini. Poi ha aggiunto: "Più di quanto si spende, però, conta come si spende". Forse che allora gli otto miliardi erano tutti sprechi? Impossibile, visto che hanno tolto anche la carta igienica ai bagni. "Erano tagli lineari, senza una logica", ribadisce Paolo Sestito, presidente dell'Invalsi. Lui tiene a sottolineare come, in verità, i grandi progressi ci siano stati tra il 2003 e il 2006 e che, probabilmente, i tagli Gelmini quei progressi li abbiano rallentati. Non cancellati. E si parla di "tagli Gelmini" perché poi sulla riforma Gelmini del secondo ciclo in sala c'è accondiscendenza: "Quella riforma ha tolto una divisione netta e superata tra licei, tecnici e professionali, ha incrementato le ore di scienze", anche se poi "non sappiamo se davvero si fa più laboratorio, se ci sono i laboratori".

Ecco, il macro-dossier  -  che diventerà un architrave delle future politiche sull'istruzione -, non riesce a spiegarci, non riesce a innestarsi sul territorio. Intorno a noi, in verità, in questi anni e in queste ore sono cresciuti i Comuni che non hanno fornito più il pullmino per accompagnare gratis i ragazzi a scuola, sono cresciute le mense che hanno rifiutano chi non ha pagato la retta, sono cresciuti i lamenti e gli scioperi degli insegnanti. "E' il paradigma della complessità", dice Rossi Doria che assicura come, tuttavia, la dispersione scolastica sia nuovamente in diminuzione: "E' al 17 per cento, è stata al ventidue".

Per orientarsi e dare un paio di gambe alle piccole notizie di speranza bisogna andare nel territorio, dentro le scuole, e ascoltare dirigenti amministrativi, presidi, insegnanti. Tutti riuniti nella sala comunicazione del ministero dell'Istruzione. Con loro, forse, si riesce a dare un corpo all'indefinibile macro. Spiega un'elaboratrice Invalsi: "Il Sud si è salvato perché ha iniziato a usare i finanziamenti europei, davvero cospicui, e il miglioramento del Sud ha migliorato la classifica italiana". Così ti spieghi allora l'exploit della Puglia, che in matematica va meglio del Lazio e nella lettura meglio della Liguria, della Toscana e dell'Umbria. Una preside del Nord-Est rivela poi: "Nella provincia autonoma di Trento ci sono tra i migliori studenti del mondo, certamente i migliori in Italia. Sono quindici anni che ogni quindicenne costa alla provincia autonoma una volta e mezzo quanto costa uno studente fuori da Trento al governo centrale". Allora il denaro erogato conta, anche questa volta. L'esperta dell'Ocse, la giovane Francesca Borgonovi, azzarda una risposta personale: "Sono madre di tre figli e per loro avrei sempre voluto classi con pochi alunni, controllabili, non dispersive. Studiando ho scoperto che non è questo che fa la differenza, ma quanto si pagano i maestri e i professori". Già, da noi non si riesce a sbloccargli neppure lo scatto d'anzianità.


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