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Non è successo

Alba Sasso

05/06/2012
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il manifesto

In una scuola che non è più da tempo quell'ascensore sociale che pure era riuscito a essere negli anni del secondo dopoguerra, e in particolare dopo la riforma della scuola media unica, il merito purtroppo è una chance che non è garantita a tutti.
Analisi e ricerche sul nostro sistema scolastico ci dicono che oggi il «successo formativo» è strettamente collegato al livello sociale e soprattutto culturale della famiglia di provenienza, in particolare, al titolo di studio della madre. E naturalmente gioca il contesto territoriale. Infatti, la cosa che più preoccupa nei risultati delle indagini Ocse-Pisa è che anche nelle regioni che reggono bene il confronto con le medie europee c'è una fortissima differenza tra scuola e scuola, non sempre spiegabile con le capacità del corpo docente.
E d'altra parte i tassi della dispersione scolastica sono ancora molto alti in tutto il paese, anzi l'indagine di Tuttoscuola del 2011 ci dice che la dispersione, dopo il primo biennio delle superiori, è aumentata dal 2007 al 2010 di circa un punto e nel Nord ovest più che nel Sud. E su questo si sta lavorando sia a livello ministeriale sia a livello regionale, utilizzando le risorse europee. La nostra esperienza, il progetto regionale pugliese «Diritti a scuola», ci dice che la battaglia alla dispersione scolastica è efficace quando si lavora sin dai primi anni del percorso formativo, parlo di scuola elementare e media. Quando cioè si possono recuperare ancora i dislivelli sociali e culturali. Quando si lavora a rafforzare in quelle fasce di età le competenze di base linguistiche e matematiche per riuscire a prevenire percorsi stentati, ripetenze e abbandoni. Quando si aumentano il numero degli insegnanti e delle ore di lezione. E per fare questo ci vogliono un sacco di soldi. Ma è quello che ci chiedeva e ci chiede l'Agenda europea.
Premiare i migliori? Ma perché quest'anno sono state tagliate le borse di studio, assegnate tramite le regioni, per gli studenti medi? Non grandi cifre, certo, ma quei 60 euro circa per tante famiglie erano una piccola boccata d'ossigeno. Infine questa misura permette ai «migliori» di avere una borsa di studio per il percorso universitario. Ma il decreto del presidente del consiglio dei ministri dell'81, non modificato su questo punto dal recente decreto sul diritto allo studio universitario, riserva alle matricole solo il 25% delle risorse complessive destinate alle borse di studio. La cifra per le borse di studio universitarie nel 2012 recupera i tagli avvenuti nel 2010 e 2011 ma è la cifra più bassa dal 2006. Certo c'è un impegno delle regioni a intervenire con un 40% in più rispetto alla cifra stanziata dal ministero. Ma questo già avveniva in passato. Resta il problema che con questo stanziamento complessivo non si riesce comunque ad attribuire le borse di studio a tutti gli idonei, cioè a tutti gli aventi diritto. E teniamo conto del fatto che dall'anno accademico 2010/11 il trend delle iscrizioni all'università va diminuendo. Perché le famiglie non ce la fanno e, quel che è peggio, non hanno più fiducia nel «pezzo di carta».
E allora questa misura, non chiamiamola riforma per carità, potrebbe anche essere uno stimolo a far meglio, ma non è quello che serve a un effettivo diritto allo studio.
Veniamo da anni di progressivo depauperamento della scuola, di abbattimento di quegli aspetti che hanno fatto della scuola italiana un modello riconosciuto in Europa e non solo: penso al tempo pieno, alle esperienze della scuola dell'infanzia, al team di insegnanti nella scuola elementare, alle significative sperimentazione nella scuola secondaria superiore. Veniamo da anni in cui la cifra con cui è stata governata la scuola è stata quella della sottrazione, alle volte dissennata. Meno insegnanti, meno ore di lezione. E veniamo da anni in cui è prevalsa l'idea che la scuola sia un costo e non un investimento produttivo, per cui ormai da 15 anni le risorse per l'istruzione diminuiscono costantemente e la scuola serve a far cassa per coprire il crescente debito pubblico. E impoverire la scuola significa colpire i più deboli.
Perciò serve un potente investimento nel sistema formativo tutto per invertire la rotta, per recuperarne le caratteristiche di inclusione, di coesione civile, in sostanza di democrazia. O consideriamo il sistema formativo una leva per uscire dalla crisi economica, democratica e civile che stiamo attraversando, per garantire sapere e competenze al più grande numero di cittadine e cittadini della scuola o il nostro paese rischia di «finire rotoloni», come diceva Paolo Sylos Labini, giù per le strade di un inarrestabile declino.
E per finire, per favore, abbandoniamo le strade della decretazione per cambiare la scuola. È un tema troppo importante per non farne un'occasione di dibattito e soprattutto per cercare la condivisione anche del mondo della scuola.


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