“Noi che inseguiamo Einstein ma restiamo senza cattedra”
Il paradosso dei fisici italiani che hanno catturato le onde gravitazionali “Anni per i risultati, ma con poche pubblicazioni non si diventa prof”
Ilaria Venturi
PArtecipano all’esperimento del più grande spettrometro magnetico a bordo della stazione spaziale internazionale o alla missione dell’agenzia spaziale europea, Lisa Pathfinder, progettata per mettere alla prova le tecnologie per la rivelazione di onde gravitazionali dallo spazio, quelle “vibrazioni dello spazio-tempo” di cui parlava Albert Einstein nella teoria delle relatività. Ma se si presentassero a un’abilitazione universitaria per diventare professori, associati o ordinari, in Italia verrebbero respinti.
Carriere accademiche interdette. Eppure sono fisici di livello internazionale. Un paradosso che nei giorni dello scandalo che ha sconvolto l’università sull’abilitazione pilotata nel settore del diritto tributario, emerge grazie a una lettera alla ministra Valeria Fedeli, resa nota da Il Fatto,di undici leader mondiali della fisica fondamentale, tra cui il premio Nobel per la Fisica Takaaki Kajita, Bernard Schutz, direttore emerito dell’Albert Einstein Institute di Potsdam, e Michael Kramer, direttore del Max Planck Institute for Radioastronomy. Il motivo? All’abilitazione si viene valutati per titoli: numero di pubblicazioni e di citazioni, prestigio delle riviste. Per ogni settore disciplinare esistono soglie da superare, criteri numerici che non tengono conto del lavoro specifico dei ricercatori. Il problema è per i fisici, in particolare: chi partecipa a grandi progetti, vedi il Cern di Ginevra, firma moltissimo, chi lavora in gruppi ristretti, come al laboratorio del Gran Sasso dove si cerca la materia oscura e si studia la massa del neutrino, o in esperimenti dove i risultati arrivano più nel lungo periodo riesce a pubblicare poco. E così viene penalizzato nella carriera accademica perché per abilitarsi non contano i risultati di chi fa esperimenti innovativi, come nel caso delle onde gravitazionali. Il rischio così è che l’Italia perda peso in settori cruciali della fisica. «La situazione paradossale è originata da un algoritmo cieco di valutazione » scrivono i big nella lettera riferendosi all’esperimento Lisa Pathfinder che a giugno scorso ha incassato il successo della missione. Ma il problema è più vasto e riguarda anche i criteri per le candidature dei commissari alle abilitazioni.
«Uno come Carlo Rubbia non entrerebbe in commissione», sorride Fulvio Ricci, che insegna fisica generale a La Sapienza e ha coordinato il progetto Virgo di Cascina, l’antenna italiana che ha catturato il passaggio di onde gravitazionali. «Le persone coinvolte in Virgo non soffrono di questo problema. Ma la distorsione c’è. Senza buttare la croce addosso al ministero, occorrono dei correttivi ». Nessuno, tra i fisici, mette indubbio la necessità della valutazione. «Principio sacrosanto. Ma in questo caso i criteri, per come sono stati applicati nella fisica fondamentale, hanno generato una grande ingiustizia: sei un grande fisico, ma non puoi fare carriera universitaria», osserva Marco Pallavicini, presidente della commissione per la fisica astroparticellare dell’Infn. «La discrezionalità nella valutazione non si limita irrigidendo i criteri: il caso di Firenze lo dimostra». E a richiamarci all’ordine sono stati grandi scienziati dall’estero. «La preoccupazione è per il mio gruppo», spiega Stefano Vitale, docente di fisica a Trento, leader di Lisa Pathfinder. «Il pericolo è che l’Italia non partecipi più a imprese scientifiche rischiose».
Lo ha ben presente l’Anvur, l’agenzia che valuta la ricerca: «Problema serissimo, sul quale c’è volontà di intervenire, che riguarda due settori scientifici: la soluzione sta nel ridisegnarli per renderli omogenei», spiega il presidente Andrea Graziosi che invece sui concorsi parla di settori più a rischio: «Quelli molto piccoli, poco internazionalizzati, in contatto con la professione e la politica». Sull’indagine di Firenze Gaetano Manfredi, presidente della Crui, è netto: «Comportamenti gravissimi, ma è un errore generalizzare ». Intanto ad agitare il mondo della ricerca è anche la precarietà di chi sta fuori. Il 4 ottobre ci sarà il presidio al Miur dei precari del Cnr, circa 4mila, con la Flc-Cgil, per reclamare i fondi necessari alle assunzioni.