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Manifesto: L'ora di ginnastica dei bamboccioni

Il Libro Bianco dello Sport pubblicato dall'Unione Europea mette sotto accusa la politica sportiva delle scuole italiane e il trattamento indegno riservato ai professori di educazione fisica

13/12/2007
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il manifesto

Matteo Lunardini
Dimmi quanta ginnastica fai e ti dirò chi sei. Si potrebbe riassumere così il Libro Bianco dello Sport, lo studio pubblicato nel 2007 dalla Commissione europea al fine di valutare la qualità dell'educazione fisica che si pratica nei sistemi scolastici dei diversi paesi. La morale è sempre quella: più attività fai e prima cominci a conoscere e praticare sport, più vivi. Era stata la Ddr, per prima, a capire l'importanza dell'insegnamento dell'educazione fisica sin dall'infanzia. Educando il bambino prima al gioco e poi a tutti i gesti motori di base, senza mai fargli praticare una singola disciplina fino a un'età matura, non solo si facevano emergere le capacità personali di ognuno, con grandi vantaggi per l'autostima, ma si avvicinava e appassionava tutti a più sport, con un sensibile guadagno in salute pubblica (e in medaglie vinte alle Olimpiadi). Non avviene così in Italia, pietosamente fanalino di coda dell'Unione: ultimi per monte ore di educazione fisica praticate al termine del curriculum scolastico, con solo 528 ore medie usufruite contro il doppio di Portogallo, Grecia, Spagna, Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia e Norvegia; ultimi per l'età in cui tale insegnamento viene reso obbligatorio, dai dodici anni in Italia contro i sei degli altri Paesi; ultimi per il trattamento riservato ai «professori di Educazione fisica», laureati in Scienza motorie costretti a campare con pochi euro al mese. Scrive l'Eupea (European Physical Education Association): «Prevale in Europa un modello di scuola che contempla l'educazione fisica fin dalle materne e dalla scuola primaria. L'unico Paese a fare eccezione è l'Italia, che di fatto prevede l'educazione fisica come materia di insegnamento obbligatoria solo a partire dalla scuola media, un ritardo che ha conseguenze notevoli sull'esperienza motoria degli studenti italiani». Insomma, la scuola italiana dedica all'attività fisica dei suoi bamboccioni mediamente la metà del tempo e delle risorse degli altri stati.
La sintesi dell'Eupea è tranchant ma non deve stupire. Già nel 2002 uno studio svolto a Milano aveva evidenziato che in Lombardia il 38 % dei ragazzi era in soprappeso, e che molti di essi avevano un'alta possibilità di sviluppare in futuro gravi rischi cardiovascolari e patologie invalidanti, come il diabete, la calcolosi biliare, i problemi osteo-articolari. Per ovviare alla situazione si era fatto leva sullo spirito d'intrapresa degli istituti scolastici. Questi avrebbero dovuto iniziare a pensare privatisticamente, accalappiando gli utenti-scolari grazie ad una didattica fantasiosa nella quale facevano bella vista anche corsi di vari sport. La canonica «ora di ginnastica» fatta dalla maestra (la quale, senza alcuna preparazione specifica e a sua discrezione, portava gli studenti in palestra o cortile), doveva essere soppiantata dallo spirito di intrapresa di un laureato in scienze motorie, il quale si presentava al Direttore della scuola elementare fornendogli quello che lo Stato non garantisce: un professionista specializzato nell'insegnamento di una materia cardine per la salute pubblica. A Milano, in aiuto arriva pure il Coni, finanziato da Comune, Provincia e Stato, il quale organizza direttamente un pacchetto di educazione fisica che poi offre alle scuole. Gli sforzi sono risultati vani. A distanza di cinque anni è lo stesso Coni provinciale di Milano a ripetere lo studio del 2002 arrivando a risultati analoghi. Un bambino su tre è in soprappeso: di 2.456 ragazzini delle V elementare di Milano, solo il 61,65% (739) dei maschi e il 56,87% (715) delle femmine praticano attività sportiva (con regolarità 540 maschi e 492 femmine); il 56,30% dei maschi è normo peso, il 15,80% sotto peso, il 21,63% soprappeso e il 3,98% sono obesi; tra le bambine il 57,56% è normo peso, il 19,47% sotto peso, il 16,97% soprappeso e il 4,34% sono obese.
Il fallimento delle politiche scolastiche di stampo privatistico è evidente non solo per quel che concerne lo stato di salute dei bambini. Ma anche dei professori. C.N., atleta di punta della Camelot (la più forte società italiana femminile non militare di atletica leggera), ha avviato da qualche mese un progetto con una scuola elementare milanese e ci racconta le sue difficoltà: «Quello che succede è semplice: la scuola presenta il progetto da me ideato agli Open day, le giornate in cui la scuola si pubblicizza ai genitori. Nel caso questo riscuota successo, raccoglie i soldi dalle famiglie e ti fa un contratto con il quale ti paga in due rate, una a dicembre e una a giugno, detraendo dal pattuito tutte le lezioni che si perdono a causa di festività, gite, interruzioni varie, malattie, ecc. Se, per esempio, come è capitato a noi ultimamente, la palestra è inagibile perché entra l'acqua, noi ci rimettiamo lo stipendio». Lo sport nelle scuole elementari, vale a dire nella fase più cruciale dello sviluppo di una persona, in Italia non si fa. E' demandato alla buona volontà della maestra, oppure allo spirito imprenditoriale di un dirigente scolastico o di un laureato in Scienze motorie precario. È un di più da relegare all'attività extrascolastica, un orpello con cui abbellire gli open day della commercializzazione della scuola stessa. Con grandi danni per la salute pubblica. E per la dignità professionale degli insegnanti.


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