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Manifesto: Il primo sciopero contro questo governo

Università e ricerca scientifica in piazza. Manifestazioni in tutta Italia e corteo a Roma. Epifani «Tutto ci saremmo aspettati, tranne che il governo non assumesse la centralità di questi settori». Panini (Flc-Cgil): «Dare un'anima a questa finanziaria investendo su scuola, università e ricerca»

18/11/2006
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il manifesto

Il leader della Cgil: «Tutto ci saremmo aspettati, tranne che il governo non assumesse la centralità di questi settori». Petronzio (Infn): «Saremo costretti a chiudere i laboratori, rischiamo di non poter più partecipare alle collaborazioni mondiali». Panini (Flc-Cgil): «Dare un'anima a questa finanziaria investendo su scuola, università e ricerca»
Francesco Piccioni
Roma
Solo lui può sapere quanto gli è costato chiudere con un comizio finale con quella frase: «Quello di oggi è stato il primo sciopero contro questo governo. Saranno contenti coloro che dicevano che con il governo di centrosinistra abbiamo un atteggiamento da governo amico: non è così». Al momento di dover definire la situazione politica creata dalla legge finanziaria Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, si era lasciato scappare l'aggettivo «imbarazzante». Che già aleggiava in ogni movenza del corteo organizzato a Roma dai sindacati delle categorie università e ricerca aderenti a Cgil, Cisl e Uil.
A questo sciopero sono stati tirati per i capelli da un governo che sembra ogni giorno indeciso a tutto, ma stranamente «fermo» nel tagliare - non di moltissimo, certo, ma con una sforbiciata che arriva dopo la falcidie del governo precedente - i fondi a quei settori che, nella retorica ufficiale e nel programma elettorale, sono definiti sempre «strategici» per «il futuro del paese». Lo si capisce perfettamente dalle parole che Epifani sceglie: «Tutto ci saremmo aspettati tranne che il governo non assumesse, con la forza e la coerenza necessari, la centralità di questi settori e di questa sfida». Qui, dove si pretende che «giovani che guadagnano 600 euro al mese e non possono contare su alcuna formazione, siano da soli in grado di garantire una ricerca di assoluta qualità».
Una delusione enorme, dunque, per una «finanziaria senz'anima», in cui «non c'è un'idea, una politica che metta davvero le università di eccellenza al servizio del paese». Ma anche un legame con il presente assetto politico che lo porta comunque a difendere - sia pure con le pinze - anche il maxiemendamento su cui Prodi si appresta a chiedere la fiducia: «da quello che appare sembra ci siano alcuni miglioramenti, anche se sembra individuarsi anche qualche punto peggiorativo». Appunto. «Qualche passo avanti in queste ore, sia pure elemosinando, è stato fatto, qualche milione in più è stato concesso. Ma ciò non fa che aumentare il mio dispiacere: se alla fine i soldi sono stati trovati, perché non tirarli fuori subito'».
Più netto, dall'alto della sua diversa funzione, il giudizio di Roberto Petronzio, presidente dell'Istuituto nazionale di fisica nucleare, che ha parlato a nome di tutti gli istituti di ricerca. Attacca direttamente l'idea balzana che si possa «fare sacrifici» per un anno e poi riprendere con finanziamenti più adeguati: «se si blocca l'attività ci sono conseguenze disastrose che si ripercuoteranno anche per gli anni futuri; rischiamo di non poter partecipare più alle collaborazioni mondiali, rimanendo così tagliati fuori dallo sviluppo e dall'innovazione».
Non è un discorso «conservatore», il suo, visto che apre a «nuovi modelli originali di cooperazione tra enti e industria». Ma «il mondo della ricerca ha bisogno di un 'patto di stabilità' e di una volontà politica generale, di programmazione pluriennale. Tra il 2001 e oggi, a forza di 'piccoli tagli', ci sono stati tolti 160 milioni, che abbiamo dovuto togliere ai laboratori. E anche due contratti di lavoro, che sono stati assorbiti dagli enti e sottratti alla ricerca». C'è un «rapporto ottimale», spiega, tra spese per stipendi e spesa per progetti, che è vicino «al 50 e 50%». Ma se calano i finanziamenti, non potendo tagliare gli stipendi, si blocca l'attività. Le richieste sono note da tempo: autonomia degli enti di ricerca, programmazione del personale e riassorbimento dei ricercatori «a tempo determinato» («è un settore dove si lavora sui tempi lunghi»), rimodulazione delle risorse economiche.
Il segretario della Flc-Cgil, Enrico Panini, batte sullo stesso tasto, ma valorizza anche l'effetto-sciopero («ha già prodotto negli ultimi giorni un recupero di risorse che annulla i tagli di luglio»). Ma non può bastare: «ci vuole un piano straordinario di stabilizzazione dei precari, almeno 20.000, scelti sulla base del merito». E «risorse contrattuali», per far fronte ai tanti contratti scaduti nel settore.
Tutto ciò basterebbe comunque solo per far «sopravvivere» l'università e la ricerca, mentre il problema è quello di farla «vivere». La situazione in cui si trovva attualmente la formazione di alto livello è tale da richiedere, per Panini, «che si apra una riflessione per superare il modello del '3 più 2', diventato ormai l'ombra del progetto che era».
Ma per farlo davvero occorre molta più serietà di quanta non se ne trova sui media che si impegnano tanto nel dipingere questo mondo come «il regno di fannullonia», fino a suggerire come unica ricetta «l'immissione dell'università sul mercato». Al contrario, spiega, «l'unica garanzia passa per una nuova proposta politica sui 'beni comuni', quali sono università e ricerca, con una ipotesi di rilancio che vada oltre il semplice superamento degli errori compiuti dal precedente governo».


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