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Manifesto-E' la nuova democrazia degli studenti

I professori universitari Joshua e Harribeh parlano del movimento: sono organizzati e concreti, non cederanno

22/03/2006
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il manifesto

I professori universitari Joshua e Harribeh parlano del movimento: sono organizzati e concreti, non cederanno
A. M. M.
PARIGI
I presidenti delle università hanno proposto a Dominique de Villepin una via d'uscita nel conflitto con gli studenti sul Cpe, suggerendo di sospendere il contratto di primo impiego per sei mesi. Ma il primo ministro non ha colto questa mano tesa. I professori delle università sono in grande maggioranza solidali con il movimento degli studenti. Due di loro, Sami Joshua, professore di pedagogia all'università di Aix, e Jean-Marie Harribeh, insegnante di economia a Bordeaux, spiegano i motivi di questa solidarietà e analizzano la situazione. «E' un movimento molto profondo - afferma Sami Joshua - che ha un'origine lontana nella situazione dei giovani. Nella forma, ha delle caratteristiche simili ai movimenti del passato, ma anche molte differenze. In particolare è importante il ruolo del blocco delle università, di cui tutti parlano, è una cosa nuova. Puo' apparire una scelta brutale, ma che si è rivelata invece molto mobilizzatrice. In secondo luogo, questo blocco si combina con una forte democratizzazione, anche se la cosa sembra contraddittoria. Non avevo mai visto le assemblee generali funzionare in questo modo. Nel passato chi non aderiva allo sciopero non aveva diritto di parola, mentre oggi, ogni due giorni, c'è un voto per continuare o meno il blocco. Anche quando il voto è stato organizzato dalle amministrazioni, gli studenti hanno votato a favore. Questo mostra come il movimento sia profondo e democratico. In terzo luogo, voglio sottolineare un'altra novità: nella mia università, ogni giorno c'è una commissione che si occupa di rimettere ordine e devo dire che l'università di Aix non è mai stata così pulita. Anche questo fa parte del movimento». Secondo Jean-Marie Harribeh «i giovani sono molto mobilitati e non sembrano voler abbandonare la speranza di far ritirare il Cpe, anche se non si può dire adesso come finirà. Il movimento ha reali possibilità di riuscire se continua l'unità tra sindacati e studenti. Molto dipenderà dall'attitudine dei sindacati, se avranno la volontà di non abbassare la guardia. Un'articolazione del genere tra movimento sociale e movimento degli studenti non l'avevamo mai vista. Quando c'è stata la riforma delle pensioni, nel 2003, i giovani non si sono mossi, quando c'è stata la riforma del bac con la legge Fillon i sindacati non si sono mossi. Adesso invece tutti sanno che il Cpe comporta nel futuro delle modifiche al diritto del lavoro». Secondo Sami Joshua, «il movimento, che sembrava aver toccato l'apice qualche giorno fa, non sembra per nulla cedere. Il personale delle univesità, anche quello amministrativo, si è unito a loro, anche se un po' più tardi. La mobilitazione durerà perché in questi giorni gli studenti stanno ottenendo la posticipazione degli esami. E' successa la stessa cosa nel '68: il movimento si è radicato dopo che gli studenti avevano ottenuto di posticipare gli esami. Il governo sarà obbligato a fare marcia indietro. C'è la possibilità, oltre a quella di una bocciatura del testo di legge del Cpe da parte del Consiglio costituzionale, che il presidente Chirac prenda un'iniziativa, che apra una grande trattativa dopo la sospensione della legge». Anche per Jean-Marie Harribeh il movimento sembra destinato a tenere, perché «la disoccupazione è molto alta, al 9,5% e per i giovani è anche peggio. E il governo, da anni, propone solo delle soluzioni che scardinano il diritto del lavoro. Il primo ministro si intestardisce, ma la maggioranza della popolazione rigetta il Cpe, se stiamo ai sondaggi. Il Cpe si inserisce nell'ondata liberista che sta invadendo l'Europa e il mondo, mira a rafforzare il profitto delle imprese a detrimento del lavoro. I giovani sanno che la disoccupazione non è solo questione di mancanza di formazione, ma che la ragione principale è la strategia di delocalizzazioni, in una prospettiva di maggioori dividendi per gli azionisti, che dipende dallo scarto tra profitti e investimenti, perché i profitti non sono più destinati agli investimenti ma vanno a vantaggio degli azionisti. I giovani sanno che la disoccupazione non dipende dal costo del lavoro, anche se i liberisti ci dicono che è troppo alto: la riduzione del costo del lavoro non ha portato negli anni scorsi a una maggiore occupazione. Per questo combattono il Cpe».


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