Lo scopo del presidente: spingere al dialogo il governo e gli studenti
Non poteva non firmarla, perché nel testo non ha trovato motivi «evidenti e gravi» tali da inficiarne la legittimità costituzionale e da giustificare un rinvio alle Camere. La sua è però una promulgazione che si potrebbe definire «con riserva»
Marzio Breda
ROMA — Non poteva non firmarla, perché nel testo non ha trovato motivi «evidenti e gravi» tali da inficiarne la legittimità costituzionale e da giustificare un rinvio alle Camere. La sua è però una promulgazione che si potrebbe definire «con riserva» . Infatti la legge Gelmini, studiata per una settimana in ogni possibile ricaduta dagli uffici giuridici del Quirinale, presenta diversi punti di «criticità» . Tre dei quali vengono segnalati pubblicamente per un approfondimento correttivo. Ma sembra contestare soprattutto «il metodo» seguito finora, Giorgio Napolitano, nella lettera di osservazioni che ha inviato ieri pomeriggio a Palazzo Chigi sulla riforma dell’università: quello del procedere a testa bassa, come uno schiacciasassi, e senza curarsi di aprire alcun dialogo con le parti coinvolte. Ora, siccome la rivoluzione negli atenei non comincia domani mattina, ma serve una gran mole di provvedimenti, decreti ministeriali e regolamenti per completare quello che al momento resta «l’avvio di un processo di riforma» destinato a durare mesi, ecco che il presidente della Repubblica sollecita «la ricerca di un costruttivo confronto sulla complessa fase attuativa» . Vale a dire che proprio il lavoro sulle correzioni potrebbe costituire lo spazio per coinvolgere rappresentanze degli studenti, ricercatori, docenti e forze sindacali interessate, rimaste finora ai margini del progetto. Oltretutto, rileva nella sua lettera Giorgio Napolitano, soltanto pochissimo tempo fa — il 21 dicembre — in Senato erano stati approvati (e con un numero di voti ben più ampio della stessa maggioranza) alcuni ordini del giorno in cui ci si impegnava a emendare la legge, anche con un migliore coordinamento formale. Onorate quell’impegno e provateci, sembra dire il capo dello Stato al governo. Del resto, che la partita non fosse chiusa lo aveva spiegato al gruppo di studenti ricevuti al Quirinale l’antivigilia di Natale, al termine della seconda grande manifestazione nazionale di protesta, svoltasi senza incidenti (e questa era stata la condizione preliminare per aprire le porte del suo studio). Il presidente li aveva incitati a passare «dalla protesta alla proposta» , proponendo loro di fargli avere appunto delle controdeduzioni specifiche e di merito, e dunque non generiche, da girare magari all’esecutivo. Un’udienza con la quale Napolitano implicitamente indicava al governo, ai partiti, alle forze sociali la necessità di aprirsi al dialogo, in modo di «dare risposte a una generazione inascoltata» e che vede troppe incognite sul proprio futuro, e di trovare poi «valide soluzioni a un malessere crescente, fatto di disoccupazione e precarietà» . Un malessere che aveva misurato di persona negli ultimi mesi dato che non c’è stata città dove si sia recato in visita dove non si sia trovato di fronte a studenti e professori in rivolta. Da Pisa a Padova, da Roma a Milano, incontrando gli esponenti del movimento anti Gelmini il capo dello Stato ha dimostrato sempre attenzione al problema. E ogni volta si è sforzato di incrociare le esigenze dei risparmi di bilancio (che ha difeso perché ce li chiedono l’Europa e i mercati, oltre al buon senso) con la necessità di razionalizzare i tagli, salvando il più possibile il versante della cultura, della ricerca scientifica e dell’università (com’è stato fatto in Germania, il cui esempio ha citato spesso). Perché investire su quel fronte garantisce il futuro e può offrire una prospettiva a un esercito di ragazzi oggi quasi senza speranza.