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Liberazione-Francia, studenti in lotta per imporre regole a un mondo del lavoro sempre più selvaggio

Ottantacinque università occupate, conoscenza antagonista del mercato

23/03/2006
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Liberazione

Loredana Fraleone
Di nuovo la Francia. Diradati i fumi della rivolta delle banlieues, inquietante quanto portatrice di domande ineludibili per la politica del nostro tempo, ecco l’occupazione delle università per contestare una pessima riforma del mercato del lavoro. “Douce France”, come dicevano gli intellettuali italiani antifascisti che vi si rifugiavano.
La mobilitazione dei giovani contro una legge che istaura il “Contratto di primo impiego”, ovvero la libertà di licenziare senza giusta causa e preavviso nei primi due anni di lavoro, è iniziata nei primi giorni di febbraio ed ha già prodotto imponenti manifestazioni, ma la novità che mi sembra più interessante è che ha provocato l’occupazione di ben 85 università in tutto il paese. Molte di queste, con i soliti metodi riservati agli studenti, sono già state sgomberate dalla polizia, a partire dalla Sorbona, simbolo del ’68 francese.

E’ proprio ripensando i contenuti della contestazione di allora che appaiono di enorme portata le occupazioni di oggi, compreso il coinvolgimento degli studenti delle scuole superiori. La congiunzione tra i luoghi della conoscenza e le regole di accesso al mercato del lavoro segnala grandi potenzialità per la trasformazione di un modello sociale logoro ed apparentemente privo di prospettive. Un modello sempre più incapace di rapportarsi ai bisogni di vaste aree della società, che non può rinchiudere impunemente i giovani nei recinti delle periferie, senza scatenare rivolte incontrollabili (vedi le banlieues), e non può istruirli ad alti livelli ed in grande quantità (in Francia più del doppio che da noi), per poi buttarli in un mercato del lavoro sempre più deregolamentato e privo di diritti.

Siamo di fronte ad un tipo di scontro, nelle società così dette avanzate, che un tempo chiamavamo di classe. Oggi si presenta indubbiamente con nuove forme e nuove soggettività, ma a ben vedere conserva il nucleo forte dell’insanabile conflitto tra capitale e lavoro. Perché trova allora come luogo di contestazione le università?

Intanto le scuole e le università sono le uniche sedi rimaste, a fornire opportunità d’aggregazione “strutturata ed ordinata”, che per finalità sociale rispondono a diritti e trattamenti tendenzialmente paritari e per principio costitutivo si occupano del futuro dei giovani. Poi è la conoscenza in sé oggi a presentare forme di antagonismo al mercato, a mettere in discussione le modalità ed i contenuti della produzione, sia perché entra sempre più nel processo produttivo, “rivoluzionandolo” con un aumento ormai vertiginoso della produttività, sia perché dilata la produzione dei così detti beni immateriali. Come sostiene Marcello Cini, la conoscenza è l’unico bene che non si esaurisce nel suo consumo, ma anzi si diffonde e si riproduce. Siamo insomma in quella fase matura del capitalismo in cui, secondo la straordinaria intuizione di Marx, si creano le migliori premesse per il suo superamento. L’irruzione della conoscenza in settori sempre più vasti della società, la sua pervasività nei processi produttivi rende sempre più contraddittorie le diverse forme di alienazione nel lavoro, tende, mi sembra, alla ricomposizione dei processi, fattore incompatibile con la precarizzazione e la perdita di cultura generale a favore dell’addestramento e della pura e semplice somma delle competenze.

E’ perciò all’ordine del giorno l’accesso diffuso ad una conoscenza più alta, che chiede quella ricomposizione dei saperi, della quale tanto si è parlato e si parla nelle contestazioni alle miserabili riforme della scuola e dell’università che avanzano in Europa. I giovani francesi che fanno barricate nelle banlieues od occupano le università e manifestano con le organizzazioni sindacali a questi temi ci richiamano, ancora una volta “douce France”.


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