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La Stampa-Il mestiere di insegnare

PARTE UN'INCHIESTA SUI DOCENTI ITALIANI, INVITATI A RACCONTARE LE LORO ESPERIENZE. CON LA COLLABORAZIONE DI EINAUDI E DELLA "STAMPA" Il mestiere di insegnare "Nella scuola si è parlato di...

07/01/2005
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La Stampa

PARTE UN'INCHIESTA SUI DOCENTI ITALIANI, INVITATI A RACCONTARE LE LORO ESPERIENZE. CON LA COLLABORAZIONE DI EINAUDI E DELLA "STAMPA"

Il mestiere di insegnare

"Nella scuola si è parlato
di felicità della difficoltà
Nella nostra indagine
forse verrà a galla
l'infelicità. Non abbiamo
modelli precostituiti"

Iniziativa di due specialisti
per mettere a fuoco
il senso della professione
Ne uscirà un volume
che racconterà
i problemi della cattedra

QUATTRO PAGINE: UNA VITA INTERA

di Renato Rizzo
TORINO
FORSE "Socrate" non è "morto", come ha sostenuto provocatoriamente lo storico e giurista Aldo Schiavone, ma pare che non si senta troppo bene: gli insegnanti, rappresentati nella metafora proprio dal Maestro di tutti i maestri, si trovano stretti in una realtà nella quale la loro figura di intellettuali ha subìto parecchie ammaccature e le vede a rischio di rotolare su un pericoloso piano inclinato: giù, verso una generica qualificazione di impiegati. Galassia bella e terribile, la scuola: luogo dove un paese racconta in parallelo la sua storia, specchia il proprio divenire. E, dove, tra i tanti rimandi, si mescolano il Cuore di De Amicis nella stagione delle elementari aperte a tutti o la pancia dei disperati dei quartieri-ghetto del racconto di Marcello D'Orta. Per un Don Milani la scuola ha rappresentato, addirittura, "l'unico strumento capace di formare le coscienze e, quindi, di riscattare la persona". Il prete di Barbiana, ovviamente nel contesto del suo tempo e all'ombra delle sue idee, temeva di vederla trasformata - mentre con occhio presbite, da lì, scrutava la società - in incubatore "di falsi valori come l'arrivismo, la competizione sfrenata, la furbizia, il sotterfugio". E sosteneva che "i ragazzi, giorno per giorno, studiano per il registro, per la pagella, per il diploma: tutto diventa voto e null'altro. Dietro quei fogli di carta c'è solo l'interesse individuale. Il diploma è quattrini. Per studiare volentieri, da noi, bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni. E a 12 anni gli arrivisti sono pochi. Tant'è che la maggioranza degli studenti odia la scuola". Parole dure che nel libro Lettera a una professoressa catapultano in primo piano l'importanza del "mestiere d'insegnare".
E, allora: cos'è cambiato o non è cambiato, oggi, nella scuola? Che cosa nell'impegno di chi sta in cattedra? Una donna e un uomo che hanno dalla loro l'esperienza sul campo provano a imbrigliare i cento rivoli in cui si dilata il lavoro del docente. Cristina Trucco Zagrebelsky ha insegnato materie giuridiche ed economiche negli istituti tecnici e professionali ed è consulente editoriale per iniziative legate alla scuola e alle biblioteche scolastiche; Domenico Chiesa è docente di filosofia in un liceo scientifico tecnologico e presidente nazionale del Centro d'Iniziativa democratica degli insegnanti: insieme, dosando l'impegno dell'artigiano nell'assemblare un mosaico e l'entusiasmo di chi crede nella propria professione, hanno elaborato un progetto che, ribaltando il titolo dell'opera di Don Milani, potrebbe essere battezzato "Lettere da una professoressa".
"In sostanza - spiega Cristina Trucco Zagrebelsky - chiediamo ai colleghi di tutte le scuole italiane, dalle materne alle superiori, di scrivere, in un massimo di quattro pagine, quale sia il loro ruolo e il senso della loro professione, partendo il più possibile dall'esperienza quotidiana". Gli elaborati saranno poi riuniti per argomenti in un volume edito dall'Einaudi, con la collaborazione della Stampa, che racconterà, attraverso le esperienze dirette, appunto, il mestiere di chi sta in cattedra. "Pochi lavori si fondano sulla vita vissuta come quello di chi è quotidianamente a contatto con gli studenti - sostiene la curatrice del progetto -. In Francia alcuni hanno definito l'insegnamento come "la felicità della difficoltà". Nella nostra inchiesta forse qualcuno ce ne racconterà al contrario l'infelicità. Vedremo, non partiamo da modelli precostituiti".
Come avvio c'è, al più, una cornice nella quale inserire questo identikit multiforme e mobile. Domenico Chiesa: "La traccia potrebbe essere una frase di Hannah Arendt: "L'insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, s'assume la responsabilità. Di fronte all'allievo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo". In altre parole: il maestro possiede le chiavi per aprire quest'universo e sa, deve sapere, cogliere il bisogno dei ragazzi d'avere un rapporto con una persona colta, non con un libro colto". Ecco perché il progetto sarà un termometro per misurare se e quanto, tra i docenti, sia forte il senso dell'appartenenza e del coinvolgimento o, chissà, persino quel "raffinato orgoglio della rassegnazione" di cui dissertava Flaiano.
Anche in risposta allo stereotipo che, nota Chiesa, "ci dipinge come persone che fanno un sacco di vacanze e che, quando lavorano, s'impegnano poco, pronti a vivere in una zona grigia protetta da uno status quasi impiegatizio". La considerazione della Arendt si scompone in molte schegge che danno origine ad altrettanti interrogativi su cui riflettere e a cui dare risposte.
Cristina Trucco Zagrebelsky: "Intanto: l'insegnante "conosce il mondo"? Ha la disponibilità a conoscerlo, la possibilità di farlo? Occorre un aiuto esterno? Quanto di questo "mondo" si può portare in classe? E come? Ancora: quanto "pesano" i ragazzi nella ridefinizione del mestiere d'insegnare? In che modo ci si confronta (o ci si scontra) con le altre figure adulte di riferimento, i genitori, ad esempio?".
C'è indifferenza? Conflittualità? Condivisione di obiettivi? Il questionario-traccia s'addentra anche nelle differenze tra istruzione ed educazione, chiede di valutare come e quanto i due elementi s'intersechino nella concreta e quotidiana esperienza del docente. E interroga, in una sorta di faccia a faccia, chi, nella sua carriera, ha attraversato i mutamenti della scuola e della società e chi, al contrario, muove oggi i primi passi verso il mestiere: è cambiato, rispetto a un tempo, ciò che viene richiesto e ciò che si dà? Chi è, nei nostri giorni, il "bravo insegnante"? Come si prepara? Che cosa si aspetta di affrontare entrando per la prima volta in una classe?
Oggi uno dei nodi cruciali che il docente deve affrontare nel suo lavoro - avverte Cristina Trucco Zagrebelsky proponendo un altro tema alla considerazione dei colleghi che scriveranno - è quello dell'integrazione: "Cresce e s'allarga, nella scuola, un forte impegno che va ben al di là della questione del crocifisso in classe".
Chiesa ricorda, ad esempio, gli sforzi in istituti di quartieri multietnici come San Salvario a Torino, dove ci si è inventato una sorta di Pronto Soccorso gestito da insegnanti che si fanno carico del preinserimento di bambini cinesi o arabi appena arrivati nel nostro Paese e completamente incapaci di comprendere l'italiano.
Ecco delinearsi, allora, uno scenario di lavoro spesso oscuro nel quale l'inventiva, la capacità di coltivare visioni, di reinventare se stessi e la propria professionalità fa superare, a volte, il labile confine che divide la figura del maestro da quella dell'assistente sociale, specie nelle realtà degli insegnanti di strada o di quelli impegnati in carcere. Ed ecco la prova che il mestiere dell'educatore sa offrirsi alla valutazione di chi lo esercita o di chi lo giudica non solo come rosario d'ammaccature professionali e di frustrazioni umane. Le domande che si rincorrono per dar vita al progetto accendono cento problemi, sollecitano riflessioni e, magari, confessioni; acuiscono rimpianti o, addirittura, rimorsi.
C'è, nelle intenzioni dei curatori, il desiderio di lasciar fuori, "per quanto è possibile", la politica da questo lavoro editoriale. Ma "quanto è possibile?". Chiesa sorride scegliendo una risposta indiretta: "In Finlandia c'è la miglior scuola del mondo forse perché non si pensa a riforme "epocali" bensì a investire in un continuo processo di innovazione che ha proprio negli insegnanti i protagonisti principali".
"Il mestiere di insegnare" è un progetto rivolto agli insegnanti italiani, realizzato in collaborazione con l'editore Einaudi e con il nostro giornale. Il punto chiave è che studiosi, politici, giornalisti parlano dei problemi della scuola, ma chi non ha ancora preso la parola sul proprio ruolo e sul senso della professione sono gli insegnanti. Il progetto è di creare un'occasione che consenta ai docenti di riflettere su ciò che oggi insegnare significa. Non attraverso questionari genericamente predisposti ma in prima persona: scrivendo. In questo spirito si sollecitano gli insegnanti a inviare scritti, muovendo da episodi che appartengono alla quotidianità, tenendo presente che l'obiettivo è di giungere, attraverso casi individuali, alla definizione di un mestiere da sempre, e oggi più che mai, importante e complesso. Gli scritti più significativi saranno selezionati per dare vita a un libro-mosaico.
Per partecipare, gli scritti (che non dovranno superare le quattro cartelle e che non saranno restituiti) devono essere inviati, entro il 31 gennaio, ai due seguenti indirizzi di posta elettronica: domenicochiesa@yahoo.it e cristinadocenti@iol.it, indicando come oggetto "Il mestiere di insegnare". Si prega inoltre di indicare: a) il tipo di istituto in cui si insegna e la materia; b) l'età, nome, cognome e indirizzo completo; c) l'autorizzazione all'eventuale pubblicazione con il proprio nome, o con pseudonimo o anonima. E' necessario compilare un modulo di autorizzazione e il modulo di consenso al trattamento dei dati personali, da spedire per posta, unitamente ad una stampa dello scritto inviato per posta elettronica, all'indirizzo: Ufficio Diritti - Giulio Einaudi editore s.p.a. - Via Biancamano 2 - 10121 Torino. I due moduli possono essere scaricati dal sito www.einaudi.it/scuola


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