La ricerca è un lavoro? Breve storia della battaglia dei ricercatori per l’ammortizzatore sociale
da Uninews24.it
La ricerca è un lavoro? Probabilmente non lo era nel XVII secolo, agli albori ella Royal Society, quando costituiva più che altro un hobby alternativo per quei gentiluomini che non amavano la caccia alla volpe. Ma oggi, nel XXI secolo, ben pochi negherebbero che quella del ricercatore sia una professione vera e propria. Tra questi pochi pare vi sia il Ministro del Lavoro Poletti. Ma la querelle sulla natura della ricerca (è o non è un lavoro?), lungi dall’esaurirsi in una disputa puramente accademica, è al centro della battaglia combattuta dall’ADI e dalla FLC-CGIL a partire dallo scorso maggio per estendere anche ai precari della ricerca la DIS-COLL, l’ammortizzatore sociale pensato per i lavoratori precari. Ripercorriamone tappe principali.
La carriera accademica – Quando si è studenti, il mondo accademico appare distinto grossomodo in due macro-categorie: i “professori”, veri e propri titolari di una cattedra, e i loro “assistenti”. Da un punto di vista normativo però le cose non stanno proprio così – anzi, non dovrebbero stare affatto così. La carriera universitaria è infatti caratterizzata da diverse tappe più o meno obbligate che cominciano (solitamente) dopo il conseguimento della laurea magistrale, con il dottorato di ricerca: 3 anni in cui l’aspirante ricercatore/professore si dedica a una particolare ricerca e fa pratica così con i ferri del mestiere. Dopo il dottorato, prima dell’ingresso in ruolo come professori, gli aspiranti accademici debbono continuare a “farsi le ossa” con un periodo di lavoro precario, aggrappandosi ad assegni di ricerca o ad altri contratti dalla durata variabile. Durante questo periodo non di rado coadiuvano un professore nelle sue mansioni didattiche (benché il loro contratto non lo preveda), e non beneficiano praticamente di nessuno dei diritti di un lavoratore a tempo indeterminato, come la maternità. Un percorso impervio, insomma, dove la selezione “darwiniana” rischia di premiare non le menti più brillanti ma semplicemente le persone con un background famigliare che offre più garanzie…
Nasce la DIS-COLL – Lo scorso marzo, in seno al Jobs Act, nasce la DIS-COLL, un’indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati e continuativi (Co.Co.Co.) e a progetto (Co.Co.Pro.). La DIS-COLL è un tentativo di tamponare le carenze del sistema di protezione sociale per quanto riguarda i precari, che ormai sono una regola più che un’eccezione nel mondo del lavoro, fornendo loro un piccolo reddito per i mesi successivi alla scadenza del contratto, nel periodo necessario a reinserirsi nel mondo del lavoro. Tuttavia, la lettera della legge lasciava qualche margine di ambiguità sul fatto che certe figure restassero dentro o fuori dal perimetro dei beneficiari. Tra queste, i ricercatori – dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca – che pure versano i contributi alla gestione separata INPS.
ADI e FLC: la ricerca come lavoro – A questo punto entrano in gioco l’ADI (Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani) e la FLC-CGIL, con l’obiettivo esplicito di ottenere il riconoscimento della DIS-COLL anche per i precari del mondo accademico. Nel farlo, si appellavano alla Carta Europea dei Ricercatori, che dal 2005 dovrebbe essere la “Stella Polare” per i governi europei in materia di diritti e doveri dei ricercatori . Nella Carta si trova infatti scritto: “Tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale della carriera, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale (ad esempio, impiegato, studente post-laurea, dottorando, titolare di dottorato-borsista, funzionario pubblico)”.
Poletti: la ricerca non è un lavoro – Il 13 maggio 2015, la domanda di ADI e FLC – “anche i ricercatori avranno diritto alla DIS-COLL?” – è stata pronunciata in un’interrogazione parlamentare per bocca dell’On. Anna Ascani (PD). Il destinatario della domanda, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ha risposto fin da subito “no”: a suo avviso infatti lo statuto giuridico di dottorandi, assegnisti e borsisti di ricerca non sarebbe equiparabile ai collaboratori coordinati e continuativi, e di conseguenza “la situazione dei soggetti [di cui sopra] non è assimilabile ai Co.Co.Co. che prestano la loro attività nel contesto di un vero e proprio rapporto di lavoro” – casomai, si può configurare come un momento di “preparazione” alla carriera accademica vera a propria (che di norma, però, inizia dopo i quarant’anni; cf. Rapporto ANVUR 2013, pag. 255).
#Nonèunhobby! – Com’era facile a prevedersi, i ricercatori non hanno preso troppo bene l’implicito ma inequivocabile messaggio veicolato dalle parole di Poletti, cioè che il loro non fosse un vero e proprio lavoro. Pertanto, volenterosi di affermare che la ricerca #Nonèunhobby!, il 28 maggio ADI e FLC hanno organizzato un presidio davanti al Ministero del Lavoro, per rivendicare l’estensione dell’indennità anche a dottorandi, borsisti e assegnisti. Risultato? Un incontro cordiale col Direttore Generale dell’Ufficio Ammortizzatori Sociali, qualche promessa di “verificare se ci sono le condizioni” e di “aprire un’interlocuzione”: l’equivalente istituzionale, insomma, di quando in un colloquio ci si sente dire “le faremo sapere…”.
#PerchéNoiNo? – A questo punto, a cavallo dell’estate del 2015, la battaglia di ADI e FLC prende nuovo vigore, con un serie di iniziative parallele volte a sondare tutti i canali possibili. Prima mossa: un interpello a risposta scritta, inoltrato tramite la segreteria della CGIL, in cui la domanda “ma i precari della ricerca hanno diritto alla DIS-COLL?” viene sostanziata in un’affermazione: “i precari della ricerca hanno diritto alla DIS-COLL; estendetela anche a loro” – corredata da alcuni argomenti giuridici a sostegno di questa tesi. Come vedremo, la risposta di Poletti arriverà 5 mesi dopo: al termine dell’iter parlamentare della Legge di Stabilità 2016 (forse non a caso). Più celere è stata invece la risposta dei diretti interessati, invitati a sostenere la battaglia firmando la petizione #PerchéNoiNo? – che ha raccolto velocemente migliaia di firme.
La battaglia giuridica – Benché Poletti sembrasse persuaso del fatto che la ricerca non è un lavoro (e dunque i ricercatori non debbano accedere all’indennità), questo non significa che l’INPS condivida questa linea – ammesso e non concesso che l’ente guidato da Boeri abbia una linea definita su una questione così nebulosa sotto il profilo normativo. Seguendo il filo di questo ragionamento, ADI e FLC, a partire da novembre, hanno invitato dottorandi, assegnisti e borsisti a fare in ogni caso domanda per l’indennità, organizzando peraltro dei banchetti itineranti in numerosi atenei. Obiettivo delle domande: creare le basi per un ricorso al TAR in caso di diniego, aprendo così un fronte anche sul piano della giustizia amministrativa.
La battaglia parlamentare – All’incirca nello stesso periodo, in Parlamento faceva capolino la bozza della Legge di Stabilità 2016 – un testo che conteneva alcuni provvedimenti riguardanti l’università e la ricerca. Il percorso per ottenere l’estensione della DIS-COLL, però, si è rivelato subito in salita: non era nemmeno detto che si trovassero le risorse per prorogare questo ammortizzatore per le categorie che ne avevano già beneficiato nel 2015. Tuttavia, dopo che al Senato erano stati bocciati alcuni emendamenti di Sinistra Italiana che invocavano (tra le altre cose) l’estensione della DIS-COLL anche ai ricercatori precari, le speranze di migliaia di ricercatori si sono riaccese quando la Commissione Lavoro della Camera ha approvato un emendamento a prima firma Gribaudo (PD) che, oltre a rinnovare la DIS-COLL, ne sanciva l’estensione almeno agli assegnisti di ricerca. Ma quel risultato – che ADI e FLC hanno accolto con soddisfazione ma anche con l’auspicio dell’allargamento della misura a dottorandi e borsisti – non era destinato a durare. Pochi giorni dopo infatti la DIS-COLL è stata riconfermata per le categorie che già ne beneficiavano, ma l’emendamento che ne sanciva l’estensione anche agli assegnisti è caduto sotto la scure della Commissione Bilancio. Unico “appiglio” parlamentare è costituito dall’approvazione dell’Ordine del Giorno A/529 voluto dalle caparbie deputate Gribaudo e Ghizzoni (PD), con il quale il Parlamento impegna il Governo a “valutare un’estensione della platea dei beneficiari dell’indennità e di prevedere, in particolare, che eventuali somme non utilizzate nell’anno 2016 siano destinate all’estensione dell’indennità ai titolari di assegni, di ricerca, nonché di verificare l’opportunità di introdurre stabilmente forme di tutela dei collaboratori in caso di disoccupazione involontaria”. Ma un OdG parlamentare non è altro che una generica dichiarazione di intenti, che molto spesso rischia di tramutarsi in lettera morta se non c’è nessuno che si prende la briga di impugnarlo.
La risposta “di Natale” di Poletti … – A fronte della situazione normativa immutata sancita dalla Legge di Stabilità, il 22 dicembre arriva finalmente la risposta di Poletti all’interpello di cui sopra – anch’essa immutata: gli assegni di ricerca vengono definiti “una tipologia di rapporto del tutto peculiare, fortemente connotata da una componente “formativa” dell’assegnista”. In parole povere: si tratta di formazione, non di lavoro.
… e la replica piccata di ADI e FLC – ADI e FLC, che nei giorni precedenti avevano aderito assieme ad altre sigle a un presidio davanti a Montecitorio (il 18 dicembre), cavalcano l’onda lunga dell’entusiasmo per l’uscita de “Il Risveglio della Forza” (ultimo episodio della saga di Guerre Stellari) e, mettendo momentaneamente da parte l’aplombe che le aveva sinora contraddistinte, bollano le inconsistenti ed erronee argomentazioni di Poletti come “Bullshit Wars” (vedi immagine sotto). E nella loro controreplica, si appellano al MIUR affinché prenda parola sulla questione (rompendo quello che definiscono un “silenzio insostenibile e imbarazzante”) e all’intera comunità accademica, affinché reagisca alla disequazione tra ricerca e lavoro che “delegittima la funzione sociale della ricerca e degli atenei e centri di ricerca che la producono”. Quale sarà la risposta di questi ultimi?