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La Fondazione Agnelli: valutare la scuola, non i professori

All’estero il sistema è diffuso da anni. “Se l’Italia non si adegua, si rischiano un ulteriore crollo di fiducia nell’istruzione pubblica e una fuga dei ceti benestanti verso i privati”

19/02/2014
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la Repubblica

SIMONETTA FIORI
ROMA
— La valutazione? Se ne può fare a meno. Ma rinunciarvi comporta rischi gravissimi, come la perdita di status da parte della scuola pubblica. Tutto a vantaggio delle private, sulle quali convergerebbe il favore dei ceti colti e benestanti. Non è per niente scontato l’esito della ricerca annuale sulla scuola promossa dalla Fondazione Giovanni Agnelli, questa volta dedicata a un tema insidioso, assai osteggiato da larga parte dei professori (La valutazione della scuola, edito da Laterza: il rapporto sarà presentato oggi pomeriggio a Roma con Luigi Berlinguer, Mariastella Gelmini e Francesco Profumo). «Eravamo partiti da alcune convinzioni che in corso d’opera abbiamo dovuto correggere », spiega il direttore Andrea Gavosto. «La valutazione non è fondamentale. La vera priorità della scuola italiana è il reclutamento dei docenti. Un paese come la Finlandia, capace di selezionare i migliori laureati, ne può fare a meno. Ma noi non siamo la Finlandia. E abbiamo bisogno di sapere cosa funziona e cosa non funziona nelle singole scuole».
Scuole, non insegnanti. E qui va chiarita un’ambiguità che affligge il Sistema nazionale di valutazione, vissuto dai professori come una minaccia. In realtà in nessun paese europeo vengono valutati i singoli insegnanti. E là dove si è provato a farlo — gli Stati Uniti — l’esito è stato fallimentare. Quel che altrove viene giudicato ormai da anni è l’edificio scolastico nel suo complesso, le scuole e gli studenti. Da noi il ritardo è decennale, ma non sono irragionevoli le resistenze dei professori: esclusi dalla formulazione dei test, poco informati sulle finalità delle prove, scoraggiati da una politica ondivaga, tra false partenze e bruschi cambi di direzione. «Una valutazione contro o senza i docenti non potrà mai decollare», recita il rapporto, che suggerisce un loro maggior coinvolgimento. E propone anche l’autonomia dell’Invalsi, l’istituto di valutazione, dal Miur: proprio per essere libero di valutare anche l’azione del governo.
Una seconda sorpresa dell’indagine investe il legame meccanico tra valutazione e premio. Sbagliato premiare con somme di danaro le scuole d’eccellenza. «Gli insegnanti sono spinti a “taroccare” gli esiti dei test o a piegare la didattica al superamento della prova ». Sarebbe preferibile valorizzare la qualità con una maggiore autonomia.
Siamo ancora in tempo? La Norvegia, dopo una iniziale difficoltà, ce l’ha fatta. Potremmo farcela anche noi, ma solo con un sistema di valutazione condiviso. Per agganciarci al treno europeo — ammonisce il rapporto — abbiamo ancora cinque anni. In caso contrario, il rischio è un ulteriore crollo di fiducia nella scuola pubblica, con le famiglie più avvertite che — private di bussole certe — si rivolgono altrove. Un rischio da evitare


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