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I precari in un circolo vizioso di Pino Patroncini Hanno già creato tensione, soprattutto tra i precari della scuola, le prime indiscrezioni sulla prossima finanziaria: si riparla infatti di bloc...
I precari in un circolo vizioso
di Pino Patroncini
Hanno già creato tensione, soprattutto tra i precari della scuola, le prime indiscrezioni sulla prossima finanziaria: si riparla infatti di blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e per la scuola questo vorrebbe dire un secondo blocco delle immissioni in ruolo, dopo la mancata immissione di quest'anno. Ciò non di meno le cattedre da occupare sono molte: il Ministro stesso ha vantato l'assegnazione di 85 mila supplenze annuali fatte per coprire le cattedre vacanti. E a questi andrebbero aggiunte supplenze che normalmente si fanno per la sostituzione dei docenti assenti, le quali coinvolgono circa 60 mila persone ogni anno.
Se si pensa che dieci anni fa nei prospetti paga del Ministero la spesa per le supplenze volte a coprire posti vacanti era quasi a zero e che solo tra lo scorso anno e il precedente 60 mila cattedre sono andate a immissione in ruolo, possiamo capire a quale ritmo si formi il precariato nella scuola in assenza di meccanismi che assicurino il turn-over. E non è tutto: dal 2004 inizia ad andare a compimento il ciclo lavorativo per le centinaia di migliaia di insegnanti entrati nella scuola 30 o 40 anni fa, quando la coincidenza tra boom della natalità, l'accesso massiccio alla scuola secondaria e l'allargamento del servizio e del tempo scuola (avvio della materna statale, doposcuola, tempi pieni ecc.) portarono ad un reclutamento di personale senza precedenti.
Insomma se il blocco delle assunzioni in ruolo dovesse diventare un'abitudine di questo governo, alla fine della legislatura potremmo trovarci con un insegnante precario ogni quattro in servizio.
La prospettiva è già di per sé inquietante, ma c'è qualcosa che la rende assai più preoccupante. Una simile crescita del precariato coincide oggi con una idea di riforma della scuola che pretende di istituire insegnamenti centrali e insegnamenti secondari, maestri prevalenti e maestri complementari. Dove si anniderà il precariato? Non certo nel corpo centrale della scuola, bensì soprattutto negli insegnamenti complementari, per non parlare delle aree scolastiche prossime alla dismissione, come l'istruzione professionale alla vigilia del suo passaggio alle amministrazioni regionali. Anzi, all'occorrenza, se dovesse perdurare la crisi delle casse pubbliche, sarà più facile sbarazzarsi di insegnanti e insegnamenti: il corpo centrale della scuola non verrebbe messo in discussione. Al massimo poi la società si riorganizzerebbe alla bell'e meglio con un po' di formazione professionale o ricorrendo agli enti locali, come una volta, quando c'era il patronato scolastico. Fatto salvo naturalmente chi la scuola a misura propria potrà comprarsela.
Le due operazioni, quella strutturale e quella didattica, si rincorrerebbero così a vicenda, in un vortice all'indietro nella storia della scuola italiana, un circolo virtuoso per le casse dello stato, ma ahimè vizioso per la scuola e fatale per la società. Ne risulterebbe precarizzato non solo il lavoro di docente ma l'intera organizzazione educativa.
Una prospettiva remota? Non molto se si guarda a quello che sta accadendo in questi giorni in Francia: qui il nuovo governo di destra ha immediatamente annunciato un taglio al personale scolastico scatenando la reazione dei docenti. Per tranquillizzarli il nuovo ministro si è affrettato a dire che la scure calerà 'solo' sugli aiuto-educatori, vale a dire gli animatori, gli operatori delle attività complementari e dei laboratori assunti con contratto rinnovabile, in altre parole i precari d'oltralpe. Sì perché la scuola francese, per altri aspetti ammirevole e ammirata, da questo punto di vista funziona ancora per attività aggiuntive e contratti separati, un po' come da noi venti anni fa. E non è un mistero che questo governo guardi con una certa simpatia a molti aspetti del modello francese. Ma perché degli altri sistemi dovremmo proprio imitare gli esempi peggiori e più arretrati?
PiNO PATRONCINI Cgil Scuola