Carmine si è ucciso.
Ha scelto di farlo in modo orribile anche se togliersi la vita non è meno tragico a seconda di come lo fai.
Ha scelto un coltello e si è sgozzato.
Come una vittima sacrificale.
Come una vittima sacrificale per il lavoro. Per la scuola.
Lavoro che non aveva e scuola che non lo voleva.
Non è mai giusto interrogarsi e provare a dare spiegazioni sul perché si decida di spezzare il filo dell’esistenza.
La morte di Carmine, però, ci coinvolge tragicamente perché è una morte che riguarda la scuola e la società italiane.
Carmine aspirava a diventare docente di una delle materie “inutili” della Gelmini, la Storia dell’Arte.
Come la Geografia ed il Diritto.
Non c’è riuscito Carmine ad insegnare la Storia dell’Arte, non è riuscito a dare un senso compiuto alle sue aspirazioni.
Non se ne scriverebbe, probabilmente, se il suo gesto fosse stato solo tragico come quello dei tanti che, senza lavoro , decidono, come si dice e si scrive, “di farla finita”.
Ma se ne scrive perché in vita Carmine ha ragionato e si è interrogato.
In un sofferto dialogo con i giornalisti, la moglie ha ricordato che a proposito della materia “inutile” Carmine era lucido nel dire che “la Storia dell’Arte andrebbe insegnata dalle elementari. Altro che eliminarla”.
Nel Paese che ha il più grande patrimonio artistico, di vestigia e di beni culturali del mondo la Storia dell’Arte non si insegna.
Come per il Diritto che non s’insegna più nel Paese che sarebbe la culla del Diritto.
Ma che è anche la culla dei Fiorito e dei Previti, dei Penati (non quelli dei Romani) e dei Maruccio.
In questo Paese qua la Storia dell’arte, il Diritto, il Latino, la Geografia e i loro docenti non servono.
Si è deciso che non servivano più.
Troppa scuola fa male nell’era dei tablet.
Ma i docenti possono ben lavorare sei ore in più.
Non fanno un …., che siano più produttivi.
Così faremo a meno dei Carmine.
Perché la scuola non può essere un ammortizzatore sociale come scrivono i Porro, i liberali de’ noantri.
Poi ci sono gli “incidenti di percorso”.
Come Carmine che dopo qualche supplenza non è stato più chiamato.
Eppure lui non era stato choosy.
Perché aveva provato altre strade oltre quella a cui aspirava, giustamente visto il suo percorso di studio, di più.
Ma Carmine non serviva.
Non serviva lui e non serviva la sua materia.
Nelle stesse pagine di giornale Carmine e della sua tremenda fine c’è la notizia roboante della prossima “rivoluzione” nella scuola.
Tutti portano la “rivoluzione” nella scuola.
La prossima “rivoluzione” è il tablet.
Dall’anno prossimo solo e-book sul tablet che tutti gli studenti dovranno avere.
Anche i figli di Carmine.
La vedova di Carmine dovrà comprarglielo.
Perché per le “rivoluzioni” le “armi” bisogna procurarsele.
Lo Stato non investe nelle “rivoluzioni” e Profumo non è da meno dei suoi predecessori.
Sulla scuola, sull’istruzione, che i ragionieri ci dicono essere un costo e non un investimento, si continua a tagliare.
Per cui i tablet se le comprino le famiglie, anche quella di Carmine che era un costo pure lui.
In fondo per cambiare la scuola , anche secondo Profumo, servono le macchine.
I registri elettronici ed i tablet.
Poi ci sono gli incidenti di percorso.
Gli esseri umani, le persone.
Carmine ed il suo coltello.
Quanti Carmine dovranno morire perché si capisca che la scuola la fanno gli esseri umani e non le macchine?
“L’Italia è un a Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Art. 1 della Costituzione.
Quella che non s’insegna più.
Il lavoro e la sua dignità.
Quello che Carmine ha voluto e non ha avuto.
Che la terra ti sia lieve, Carmine.
Si dice così dai tempi dei Romani.
E che sulla sua lapide ci sia il disegno di un coltello.
Non di un tablet.
Perché Carmine, oltre che vittima sacrificale, era un artista.
E come tutti gli artisti, ce lo auguriamo e se lo augurano i suoi, sarà ricordato per sempre.