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Il freno alle assunzioni premia le università con i conti in disordine

Un paradosso forse non del tutto voluto da Governo e Parlamento, che però emerge chiaro dalle assegnazioni degli spazi assunzionali appena fissati per decreto dal ministero e che nasce dall'incrocio sfortunato fra le regole di attuazione della riforma Gelmini e le strette emergenziali, uguali per tutti, imposte dal decreto di luglio sulla revisione di spesa

12/11/2012
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Il Sole 24 Ore

 I conti delle università statali peggiorano, ma i limiti alla spesa di personale si fanno più rigorosi solo per chi ha i bilanci in ordine, mentre negli atenei in cui le spese sono fuori controllo le regole si alleggeriscono rispetto al passato recente. Un paradosso forse non del tutto voluto da Governo e Parlamento, che però emerge chiaro dalle assegnazioni degli spazi assunzionali appena fissati per decreto dal ministero e che nasce dall'incrocio sfortunato fra le regole di attuazione della riforma Gelmini e le strette emergenziali, uguali per tutti, imposte dal decreto di luglio sulla revisione di spesa. Per scoprire il risultato basta estrarre due esempi dal mazzo. L'università di Foggia, che dedica al personale la quota più alta di entrate fra le università statali, non incorre in alcun blocco delle assunzioni come previsto dalle vecchie regole per chi aveva nei bilanci troppe spese per buste paga; all'altro capo della classifica il Politecnico di Milano, la Bicocca o l'ateneo di Catanzaro, che con le vecchie norme avrebbero potuto coprire con nuove assunzioni la metà dei posti liberati dalle uscite dell'anno prima, si vedono limitare di quasi il 60% le possibilità assunzionali.
Per capire il problema occorre sbrogliare la matassa di percentuali e indicatori affastellati dalle tante leggi degli ultimi mesi sull'università, ma il gioco vale la candela se si bada alla sostanza. E la sostanza è rappresentata, secondo le parole della stessa Conferenza dei rettori, dalla «crisi irreversibile» in cui si sta infilando l'università, schiacciata dal fatto che l'assegno statale non basta più nemmeno a coprire le spese fisse per il personale. Due numeri lo confermano: secondo la tabella allegata al decreto sui «punti organico» professori e tecnici costano 6,62 miliardi all'anno, mentre l'anno prossimo il fondo di finanziamento ordinario si dovrebbe fermare poco sopra i 6,4 miliardi. Un sorprasso a suo modo storico, che senza interventi in extremis metterebbe secondo i rettori un'ipoteca seria sulle chance di sviluppo delle nostre università.
In un quadro così compromesso, il decreto sulle assunzioni distribuisce in totale 558 «punti organico», l'unità di misura del personale universitario in cui gli ordinari valgono 1, gli associati 0,7, i ricercatori 0,5 e in generale i tecnici 0,3. Dieci «punti organico», dunque, possono essere tradotti in 10 associati, oppure in 5 ordinari e 7 associati, e così via. Cancellati i blocchi tout court alle assunzioni, le regole attuative della riforma Gelmini che debuttano con questo decreto prevedono una griglia di vincoli fondata su due indicatori: il rapporto fra spese di personale ed entrate stabili dell'ateneo, rappresentate da fondo statale, risorse pubbliche per la programmazione e contributi studenteschi, e il rapporto fra indebitamento ed entrate stabili al netto delle stesse spese di personale. Al di là dei tecnicismi, l'obiettivo è riservare qualche vincolo in più agli atenei che già spendono troppo per il personale o che hanno i bilanci che si incurvano sotto il peso degli interessi sul debito.
I vincoli, però, appaiono parecchio leggeri: l'unico limite stretto, che consente di sostituire solo il 10% del personale uscito nell'anno precedente, si applicherebbe a chi supera entrambi i tetti massimi (80% nella spesa di personale e 10% nell'indebitamento), ma nei fatti non capita a nessuno perché gli atenei sovraindebitati spendono meno del massimo per il personale e le 13 università che hanno sforato i tetti nei costi delle buste paga ha poco debito. A chi è fuori linea sul solo indicatore di personale si permette di sostituire il 20% del personale uscito, ma il 20% è anche il vincolo generale al turn over imposto a tutte le università dalla legge sulla revisione di spesa. Agli atenei «virtuosi», insomma, non rimane altro che un piccolo vantaggio, cioè un bonus concesso dal decreto attuativo della legge Gelmini e misurato sul 15% della distanza che separa le entrate stabili dalle spese di personale. Dall'incrocio di queste variabili con il numero di docenti e tecnici che hanno lasciato il lavoro lo scorso anno esce vincente l'Alma Mater di Bologna, a cui il decreto offre 42 punti organico, seguita da Padova (35,6) e Roma La Sapienza (30,4).
Diverso è il quadro relativo ai limiti all'indebitamento. I cinque atenei che hanno sfondato il tetto del 15% non possono accendere mutui o altre forme di finanziamento fino a quando non rientreranno nel limite. In testa alla graduatoria c'è l'Università di Siena, che anche in questo campo paga i buchi scavati nello scorso decennio ora al centro di un'inchiesta della magistratura che coinvolge anche due ex rettori. Chi è fra il 10 e il 15% può firmare nuovi mutui, ma per farlo deve prima approvare il bilancio unico d'ateneo e un piano che attesti la sostenibilità finanziaria dell'operazione.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
 


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