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"I nostri figli soli con il pc Il mondo dei grandi non ha pensato a loro"

La testimonianza di una famiglia stremata dalla Dad

22/04/2021
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la Repubblica

di Maria Novella De Luca ROMA — «La scuola non li ha pensati, la scuola non li ha visti. Il mondo adulto ha smesso di sognarli, avrebbe detto Danilo Dolci. Hanno investito montagne di denaro in banchi inutili, in strategie di distanziamento impossibili, invece di costruire con quei soldi nuove aule, cercare spazi alternativi, immaginare una didattica diversa, chiedersi di cosa avessero bisogno i nostri figli chiusi nelle loro stanze. Sono una mamma di due adolescenti ma anche una prof, per questo la mia amarezza è doppia. Adesso che sarebbero potuti tornare in presenza, almeno per poche settimane, si è preferito aprire altre attività ma lasciare a casa i nostri ragazzi».

Alessia Barbagli insegna Lettere all’Istituto comprensivo "Padre Semeria" di Roma, abita con Tom (Tommaso), Mati (Matilde) e Fernando, marito psichiatra, in una bella casa allegra nel cuore del quartiere, ex popolare, della Garbatella. Tommaso e Matilde, gemelli, 16 anni, fanno entrambi il liceo classico al "Socrate", entrambi, come altri milioni di adolescenti da un anno e mezzo hanno la vita scandita dalla Dad. «Diciamo pure stravolta dalla Dad e da questi orari assurdi che ci fanno fare, dalle 10 alle 15», butta lì secco Tommaso. Alessia, Tommaso, Matilde e Fernando. Ascoltarli vuol dire capire, da dentro, quanto la pandemia abbia inciso nelle vite delle famiglie, dalla quotidianità al senso del futuro.

Alessia ha appena finito i colloqui con i genitori dei suoi studenti. «Alle elementari e alle medie, in presenza quasi costante, siamo riusciti a salvaguardare il rapporto con i ragazzi più piccoli. I grandi invece sono stati lasciati soli, con ore e ore di didattica frontale, facendoli tornare in classe soltanto per le verifiche. Voti, interrogazioni. Chi si è domandato come stessero?», chiede Alessia che nel suo lavoro ci crede, con passione, in classe ha una scatola dove gli alunni possono lasciare, quando vogliono, dei biglietti con i loro pensieri, le loro emozioni. «Parlano di tristezza, paura, oppressione, spesso con parole bellissime. Per noi prof un barometro fondamentale dei loro sentimenti».

«Alcune mie amiche sono finite in depressione», racconta Matilde che suona il piano alla scuola popolare di Testaccio e forse si iscriverà a Scienze politiche. «La cosa strana è che ritrovandoci in classe, dopo tanta solitudine, a volte non riusciamo a entrare in relazione ». «Sarei voluta tornare in presenza, almeno per questo ultimo mese, per me è molto difficile trovare la concentrazione davanti al pc. Rientrare, sì, ma non con questa modalità dove scuola vuol dire verifica, restare immobili al banco, perché non ci hanno concesso spazi aperti e adeguati. La verità è che la pandemia ha fatto esplodere problemi che nella scuola ci sono da tempo».

Fernando Panzera fa lo psichiatra e il disagio figlio del lockdown lo conosce bene. «Come famiglia nella prima fase avevamo reagito bene. Montagne di giochi da tavolo, film con i ragazzi che fino a pochi giorni non vedevano l’ora di scappare e uscire con i loro amici. Una vicinanza ritrovata. È stato nel secondo lockdown, da novembre, che per loro è diventata veramente dura. Anche laddove non ci sono problemi di marginalità, o di disagio sociale, come nella nostra famiglia. Perché la scuola che scandisce le loro vite, la loro socialità, si è dimostrata totalmente incapace di evolversi, di elaborare una didattica che li coinvolgesse. Mi è capitato di assistere a una lezione dei miei figli, dove non solo tutti i ragazzi avevano la telecamere spenta, ma anche il prof aveva oscurato la sua. Tutti davanti a schermi neri. Angosciante». Per il papà di Tom e Matilde, come per Alessia, che citava il sociologo teorico della non violenza Danilo Dolci e il suo pensiero cardine, "ciascuno cresce solo se sognato", il mondo adulto, dice Fernando Panzera, «con la pandemia ha smesso di pensare ai giovani e i mancati investimenti sulla scuola lo dimostrano ». Ne usciranno, dice Panzera, sono forti e resilienti, ma non sarà facile. Tommaso, che suona la chitarra, va diritto al punto: «Da quando sono in Dad mi sento sempre stanco, anche se magari sto disteso sul letto. E io invece voglio tornare a sentirmi vivo».