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Ecco perchè serve un'agenzia nazionale per la ricerca

Elena Cattaneo:“ Ci vuole un ente che stabilisca date certe dei bandi, che uniformi i criteri di valutazione, che abolisca personalismi e centri di potere

29/04/2016
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la Repubblica

Il PRESIDENTE del Consiglio prima e il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, poi, hanno annunciato che il governo destinerà 2,5 miliardi al Piano nazionale per la ricerca. Il ministro, in occasione degli Stati generali della ricerca sanitaria, ha ribadito che si tratterà di «azioni mirate a garantire una politica della ricerca ispirata a criteri internazionali » e che c’è l’intenzione di agire «con l’assegnazione dei fondi su base competitiva ». Tutte ottime notizie per la ricerca, purché sia chiarito se le risorse provengono dal cofinanziamento italiano ai programmi europei, peraltro soprattutto destinati alla ricerca industriale, oppure se rappresentano investimenti aggiuntivi.

In attesa di leggere i contenuti del piano, non può però passare inosservato quanto il ministro ha dichiarato lo scorso 18 aprile sull’operazione
Human Technopole (Ht) per il post- Expo e ribadito due giorni fa, dopo la sua assenza nel decreto legge che ha posto le basi del progetto che vede l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) quale diretto beneficiario del «primo contributo di 80 milioni di euro » (altri 150 milioni all’anno per i prossimi 10 anni sono quelli promessi dal governo) «per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca, sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate ».
Il ministero tenta così di dare sostanza a quel ruolo, assente nella legge, di coordinamento citato anche nella nota stampa del Mipaaf-Miur dello scorso 22 marzo. In quella nota, difformemente dalla legge, il Miur viene definito «soggetto coordinatore degli attori coinvolti» e Iit diventa l’ente che «coordina in collaborazione con gli altri enti». In questo coordinamento del coordinatore, non bisogna distrarsi dalla circostanza che il ministro deputato a promuovere e difendere la libertà di ricerca non abbia avuto nulla da obiettare di fronte alla scelta di sottoporre a “valutazione” internazionale una sola opzione progettuale su cui ragionare. Così come non ha obiettato sull’anomalia di una procedura anti-meritocratica che identifica un unico destinatario dei fondi pubblici per la ricerca, senza gara e con modalità totalmente disaccoppiate da procedure di selezione degli enti coordinatori e dei temi da far crescere nell’area Expo. Procedura che è volta a concentrare le risorse (le tasse dei cittadini) della ricerca pubblica del futuro, in pochissime mani. Colleghi svedesi e americani con cui ho avuto occasione di confrontarmi guardano attoniti a questa prassi, spiegando come da loro non si assegni per legge neanche un euro a una proposta scientifica perché l’unica strada è la valutazione comparativa tra proponenti, enti e idee.
L’aspetto più singolare delle recenti considerazioni del ministro restano, però, le risposte con cui ha liquidato la prospettiva di una Agenzia nazionale per la ricerca che, oltre a rimuovere frammentazioni e unificare obiettivi, sarebbe anche garanzia di valutazione. Quella stessa Agenzia di cui si discute da più di dieci anni in Italia, da quando la propose il Gruppo 2003, e sulla cui necessità la comunità scientifica del Paese è pressoché unanime. Nulla di eversivo, si tratta di mutuare un modello che riecheggi ad esempio l’Anep spagnola, l’Anr francese o l’Epsrc per ingegneria e fisica e il Bbsrc per biologia e biotecnologia attive in Inghilterra.
Un ente che onori e dia seguito al mandato di investimento in ricerca che arriva da Parlamento e governo e che si strutturi in modo da stabilire, rafforzare, riformare (per migliorare) continuativamente regole e procedure. Un ente che stabilisca date certe di avvio e chiusura dei bandi, che uniformi i criteri di valutazione dei progetti e di assegnazione dei finanziamenti, che prevenga i rischi di condizionamento politico o da parte di “gruppi di influenza” sulla distribuzione delle risorse. Un ente, cioè, che abolisca personalismi e centri di potere, impedisca agli scienziati che stanno in commissioni che selezionano progetti di finanziare se stessi o i loro affiliati, che annulli la convinzione di molti giovani che se “non sei amico di” non avrai il finanziamento, “se denunci” sarai escluso, se taci “spartirai la torta”. È incomprensibile che un ministero definisca l’ipotesi di una Agenzia che contrasti tutto ciò «un nuovo carrozzone incapace di risolvere i problemi». Insieme all’Italia, in Europa sono solo la Polonia e il Montenegro e pochi altri che insistono a finanziare la ricerca senza un’agenzia dedicata. Il ministro non sembra cogliere infatti che si tratterebbe di creare un ente terzo e indipendente dalla politica e da cordate scientifiche o imprenditoriali che instaurano soffocanti dinastie di controllo dei flussi di denaro pubblico, rallentano l’innovazione e ostacolano l’eccellenza. Nessuno chiede la luna, ma un ente sistematicamente attivo e competente nei meccanismi necessari a bandire, selezionare gli enti, le idee e i proponenti migliori, seguire prima, durante e dopo, ogni procedura di assegnazione di fondi pubblici sugli obiettivi decisi da governo e Parlamento. Anche l’operazione del governo su Ht assumerebbe una credibilità rivoluzionaria se fosse strutturata a valle dell’Agenzia, riconducendo ciascuno al proprio ruolo, tagliando i ponti con le cordate e le amicizie, restituendo fiducia nelle procedure, agli enti competenti, al ricercatore e alle sue capacità.
Serve un po’ di ottimismo sulla possibilità di realizzare questo indispensabile cambiamento, che porterebbe vento in poppa agli intenti riformatori e modernizzatori di Palazzo Chigi. L’operazione potrebbe essere utilmente realizzata senza aggravio per gli oneri finanziari dello Stato, con la semplice “deviazione” di ingiustificabili flussi di finanziamento da chi ha accumulato tesoretti di risorse pubbliche “per grazia ricevuta”. Agli Stati generali della ricerca sanitaria, il ministro Martina ha affermato che «l’occasione di portata nazionale e internazionale dello Human Technopole rende distintivo il modello di ricerca che il nostro Paese può offrire». Il ministro ha ragione, la possibilità di distinguersi c’è, bisogna solo capire in quale verso il governo intenda attuarlo.
Elena Cattaneo è docente all’Università Statale di Milano e senatrice a vita

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