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«Costruire ponti»: così la scuola aiuta ad affrontare l’incubo del terrorismo

Il seminario dell’Istituto Cervi sulla scuola come luogo di confronto e integrazione dell’altro. La paura dei ragazzi bombardati da messaggi e immagini allarmanti

27/11/2015
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Corriere della sera

di Emiliano Sbaraglia *

Non si può far a meno di osservare come il seminario nazionale «Costruttori di ponti. Scuola, storia, migrazioni»che si tiene venerdì 27 e sabato 28 novembre a Gattatico (in provincia di Reggio Emilia), ospitato e promosso dall’Istituto Alcide Cervi e dal Ministro dell’Istruzione, capiti inevitabilmente a proposito, dati i giorni che stiamo vivendo.

Ponti pedagogici

Organizzato ben prima della strage di Parigi, l’incontro assume un valore e un significato ben più forti, perché i vari relatori si confronteranno su temi quali la ricchezza delle diversità, il bisogno di conoscenza, di nuove relazioni, il rapporto tra passato e futuro, l’insegnamento delle religioni. Il tutto declinato per fare proprio e realizzare «il sogno di un’altra scuola», come titola uno degli interventi in programma. Ma cosa significa oggi costruire dei ponti nel complesso mondo dell’istruzione? Come deve essere elaborata la tela di un sistema educativo che abbia il coraggio di confrontarsi con le urgenze della contemporaneità? Quali sono le priorità da individuare per offrire gli strumenti pedagogici adeguati? A questi e altri quesiti cercheranno di dare una risposta i molti i relatori, tra i quali la presidente dello stesso Istituto Cervi, Albertina Soliani, già sottosegretario all’Istruzione; Vinicio Ongini, dell’Osservatorio nazionale Miur per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura; Eraldo Affinati, insegnante e scrittore «militante»; Maria D’Agostino, direttrice della Scuola di lingua italiana per stranieri dell’Università di Palermo.

Militari in strada e tg allarmanti: ragazzi ostaggio della paura

Un esercizio fondamentale, quello di riflettere ora su tali questioni, per questa stringente quotidianità che racconta di studenti e studentesse (di scuole medie e superiori) ancora turbati e impauriti da ciò che li circonda, dalla tensione che si respira intorno, dai militari armati sparsi per la città, dalle immagini riproposte in loop da ogni canale televisivo. Dunque per un insegnante (e anche per un genitore), adesso più che mai diviene imprescindibile la ricerca della parola giusta, della risposta che soddisfi e non eviti gli interrogativi posti, dell’atteggiamento più corretto da sostenere dentro e fuori dalla classe. Il rischio che stiamo correndo, lo sappiamo bene, è quello di un pericoloso e inquietante passo indietro in termini di integrazione e inclusione, e di una deriva discriminatoria dalla quale potrebbe essere molto complicato riemergere per tentare di risalire la china.

Emergenza politica e ruolo della scuola

Assodata l’emergenza (geo)politica e istituzionale del periodo storico che stiamo vivendo, per reagire nel modo migliore ognuno deve svolgere il suo compito: la politica risolva il ginepraio nel quale si è cacciata, mentre la scuola ha il dovere di lavorare su quelli che un politico del secolo scorso amava definire «pensieri lunghi». Ciò significa tornare a condividere pensieri e opinioni, insistere sull’importanza della formazione culturale e dei linguaggi da approfondire insieme; tornare a costituire all’interno delle aule scolastiche l’idea di una polis, vale a dire di una comunità che abbia come obiettivo la crescita della stessa, in ogni sua forma, in ognuna delle diversità acquisite col mutare dei giorni e degli eventi. Solo tra le mura di una scuola, al momento, sembra possibile recuperare quel concetto di «solidarietà umana», come direbbe il poeta, così tragicamente interrotto. Solo il mondo della scuola sembra in grado di costruire nuovi ponti, anziché innalzare gli ennesimi muri.

*insegnante di scuola media a Frascati, responsabile delle trasmissioni culturali di RadioArticolo1 e di UndeRadio, l’emittente-web di Save the Children Italia dedicata al mondo della scuola


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