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Corriere: Domande sul patto tra governo e atenei

Quando entrerà davvero in funzione la struttura che valuta le attività di ricerca e distribuisce gli incentivi?

14/08/2007
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Corriere della sera

È di pochi giorni fa la proposta di un patto tra governo e atenei in conseguenza del quale, nel 2008, alle università arriverebbero fondi certi e indicizzati al costo del personale e dell'inflazione per 7 miliardi e una parte di questi (il 5%, 350 milioni) verrebbero distribuiti alle sedi con i migliori risultati nella didattica e nella ricerca. Le sedi con i bilanci fuori posto, secondo i criteri che Mario Sensini riportava sinteticamente sul Corriere del 3 agosto, sarebbero poi costrette a diverse procedure di rientro, che vanno dalla facoltà di aumentare le tasse degli studenti, all'obbligo di ridurre il turn-over (cioè di non sostituire il personale che va in pensione), sino alla sanzione del commissariamento nei casi più gravi.

Informazioni più precise sono disponibili nel sito del ministero dell'economia, consultando l'eccellente documento della Commissione tecnica per la finanza pubblica del 31 luglio scorso (Misure per il risanamento finanziario (...) del sistema universitario).
Che il governo, nelle persone del Ministro dell'economia Padoa- Schioppa e dell'Università Mussi, intenda stabilire patti chiari con gli atenei, con obblighi reciproci e ben definiti, è sicuramente una buona notizia.
Le università sono formalmente autonome, talora non si comportano in modo finanziariamente responsabile, e un patto esplicito è un buon modo per regolare i loro rapporti con il governo, specie quando non solo si vogliono stimolare le singole sedi a rispettare principi di buona amministrazione, ma indurle anche ad elevare la qualità della ricerca e della didattica. La notizia sarebbe ancora migliore se, nel patto, gli obblighi in capo al ministero dell'Università e della Ricerca fossero definiti in modo vincolante e le inadempienze sanzionabili con la stessa durezza con cui possono esserlo quelle degli atenei. Ovviamente gli atenei non possono «commissariare» il ministero. Ma il Consiglio dei ministri e il suo presidente possono certamente intervenire. Dico questo perché, mettendo su un piatto della bilancia le inadempienze e gli errori delle sedi universitarie, e sull'altro quelli del ministero, francamente non so da che parte penderebbe la bilancia.
Delle inadempienze e degli errori del ministero si potrebbe fare una lunga lista e l'intervista a Walter Tocci del 23 luglio scorso, pubblicata su
www.lavoce.inf o, ne dàun buon resoconto: solo a scopo di esempio mi limito a segnalare un caso che riguarda proprio la materia del patto, ed in particolare il fondo di incentivazione del 5%. Per poterlo distribuire, occorre ovviamente disporre di una struttura che sia in grado di compiere il complesso lavoro di valutazione delle attività di ricerca dei singoli atenei, dipartimento per dipartimento. Oggi si tratta dell'Anvur, istituita dal governo in carica nello scorso dicembre: il ministro implicitamente promette che entro il 2008 il lavoro di valutazione sarà fatto e i fondi di incentivazione distribuiti. Del rispetto di questa promessa è lecito dubitare. Quando Mussi ha assunto la responsabilità del ministero, già esistevano due organismi di valutazione che avevano ben meritato, e in particolare il Civr per la valutazione dell'attività di ricerca. Domanda: mentre si organizzava la nuova agenzia, non si poteva incaricare il Civr di continuare il suo lavoro estendendolo al triennio 2004-2006, in modo da non interrompere un processo di valutazione che era appena iniziato?
È vero che ora c'è l'Anvur, che dovrebbe fare meglio ciò che già il Civr faceva bene. Ma quando entrerà effettivamente in funzione? I suoi organi dirigenti si insediano entro quest'anno e probabilmente il 2008 passerà in gran parte per organizzare le strutture e per avviare i panel di valutazione. Questi poi devono lavorare e produrre le valutazioni richieste: quanto ci metteranno? È troppo pessimistico pensare che passeranno almeno due o tre anni prima che le università possano avvalersi dei fondi di incentivazione? Se poi, come sembra, si vogliono distribuire questi fondi in tempi ragionevoli, ci si dovrà basare sulle valutazioni del Civr risalenti al triennio 2001-2003, e lo stesso documento della Commissione tecnica prima citato segnala questa circostanza con preoccupazione: che senso ha distribuire incentivi sulla base di una valutazione riferita a prodotti di ricerca di cinque o sei anni prima?
Chi scrive non intende certo aizzare una sterile polemica tra atenei e ministero. Vuole solo sottolineare che quello universitario è un sistema: se le cose non funzionano, la cause non vanno cercate solo in uno dei pezzi che lo compongono.


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