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Corriere: Assegno formativo per bloccare la fuga dai banchi

In Europa solo Romania e Bulgaria sono messe peggio dell’Italia. Negli altri Paesi la dispersione formativa non è solo più contenuta, ma riguarda soprattutto i figli di immigrati

22/01/2010
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Corriere della sera

Maurizio Ferrera
La norma che consentirà di accedere all’apprendistato già a 15 anni sta suscitando un’ondata di polemiche. Più che sulle grandi questioni di principio, sarebbe bene riflettere sul dato di partenza che ha motivato l’azione del governo: il numero altissimo di quindicenni e sedicenni che non studia più e non lavora ancora. Un esercito di 126 mila adolescenti che crescono senza bussola e sprecano anni preziosissimi per lo sviluppo di capacità e competenze. In Europa solo Romania e Bulgaria sono messe peggio dell’Italia. Negli altri Paesi la dispersione formativa non è solo più contenuta, ma riguarda soprattutto i figli di immigrati. Da noi invece si «disperdono» moltissimi giovani italiani, nati e vissuti in un contesto culturale e istituzionale in cui andare a scuola fino a sedici anni (come prevede la legge) dovrebbe essere un fatto normale, senza possibili alternative. La dispersione è più alta al Sud, ma anche nel ricco e avanzato Nord-Ovest un buon cinque percento dei giovani fra i quattordici e i diciassette anni sono già fuori dal sistema formativo.

L’apprendistato per i quindicenni può essere la soluzione del problema? Difficile crederlo. Anche a prescindere dalle argomentazioni pedagogiche, ciò che rende scettici è la scarsissima diffusione e l’alta disorganizzazione di questo istituto nel nostro Paese. Secondo l’ultimo Rapporto Isfol gli «apprendisti in formazione» minorenni sono poco più di seimila, tutti nel Centro-Nord. Anche a investire sul serio in questa direzione ci vorranno anni, ad essere ottimisti, prima che lo strumento possa funzionare in tutto il Paese.
Come insegna l’esperienza internazionale, per conseguire rapidi successi contro la dispersione occorre intervenire con incentivi tangibili per i giovani e le loro famiglie. Negli Usa molte amministrazioni locali subordinano l’accesso alle prestazioni assistenziali all’assolvimento dell’obbligo scolastico da parte dei minori: i dati segnalano infatti (anche per l’Italia) che gli abbandoni interessano soprattutto i figli delle famiglie disagiate. Un eccesso di paternalismo? No, se pensiamo che andare a scuola è, appunto, obbligatorio e chi non manda i figli a scuola viola la legge. In Italia il 40% circa dei minori (60% al Sud) vive in famiglie a basso reddito che fruiscono di agevolazioni o esenzioni «sociali» (tariffe, ticket, sussidi vari). Se fosse richiesta qualche forma di certificazione educativa fra i documenti da allegare alla cosiddetta dichiarazione Ise (quella che serve per accedere ai benefici) le famiglie avrebbero un bell’incentivo a mandare i figli a scuola (compresi, perché no, i percorsi di scuola e lavoro, diffusi anche in altri Paesi).

L’Inghilterra ha inaugurato un secondo tipo di intervento: gli assegni formativi. I giovani fra i sedici e i diciotto anni che provengono da famiglie disagiate possono ottenere una educational allowance per iscriversi a corsi di istruzione o formazione accreditati. L’assegno può raggiungere i 150 euro al mese per la durata del corso, purché la frequenza sia regolare e i voti siano sufficienti. Quando questo programma fu istituito, molti giovani non si fidavano e chiedevano ai funzionari: dove sta l’imbroglio? Ora sul sito del governo (https://ema.direct.gov.uk) c’è scritto esplicitamente: non c'è imbroglio, vogliamo solo aiutarvi a non sprecare il vostro capitale umano; se studiate oggi potrete guadagnare molto di più in futuro.

Introdurre lo schema inglese in Italia costerebbe alcune centinaia di milioni. Ma si potrebbe iniziare gradualmente e selettivamente (peraltro facendo tesoro di esperienze pilota già introdotte in alcune regioni). Sarebbe un passo concreto verso quel «welfare delle opportunità» di cui tanto si discute nei libri e nei convegni, ma che nessun governo ha ancora messo veramente al centro delle sue priorità in campo sociale.


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