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Blitz sull’autonomia: “devoluta” l’istruzione E la scuola si ribella

Le Regioni potranno arruolare gli insegnanti. Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda annunciano: Per Veneto e Lombardia affare da 8 miliardi legge costituzionale per fermare il progetto

08/11/2022
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Il Messaggero

Andrea Bassi

Le lancette dell'orologio sembrano tornate a quattro anni fa. Alle famigerate pre-intese per l’autonomia differenziata, scritte dai governatori delle tre Regioni del Nord più ricche: Veneto. Lom­bardia ed Emilia Romagna. Il pro­getto spacca-Italia già battezzato allora «la secessione dei ricchi». Roberto Calderoli, il ministro de­gli Affari Regionali (e «dell'armo­nia» come si è definito in un’inter­vista al Giornale), ha messo a punto la sua bozza di legge qua­dro, la cornice dentro la quale le Regioni possono chiedere mag­giori competenze, maggiore per­sonale e maggiori risorse. Luca Zaia, qualche giorno fa, aveva chiesto a Calderoli «il menù com­pleto». Poter cioè ottenere tutte le 23 competenze previste dalla Costituzione. Compresa l'istruzio­ne, una materia che da sola vale 8 miliardi, 5 per la Lombardia e 3 per il Veneto. Detto fatto. La boz­za di legge Quadro scritta da Cal­deroli accontenta le richieste di Zaia: la scuola potrà essere regio­nalizzata.

Questo potrebbe aprire ai ruoli regionali degli insegnanti, a con­corsi fatti nei territori e, come già prevedeva per esempio la bozza di autonomia del Veneto, a stipendi e premi più alti per attirare i profes­sori nella regione. I sindacati però non ci stanno, e hanno subito alza­to le barricate. «Siamo contrari al disegno di autonomia differenzia­ta, inizialmente avanzato dalle re­gioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna e rilanciato dalla attuale maggioranza di governo - hanno spiegato il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e le or­ganizzazioni sindacali della scuo­la FLC Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams. «Tale progetto», hanno detto, «in­vece di consolidare il carattere uni­tario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, raf­forzando la capacità di risposta dello Stato di cui si è avvertita ­l'estrema necessità durante la recente pandemia, ripropone un'ul­teriore frammentazione degli in­terventi indebolendo l'unità del Paese, col rischio di aumentare le disuguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali». La Svimez qualche giorno fa ha sti­mato che un alunno delle elemen­tari al Sud durante il suo ciclo sco­lastico, sta in aula 100 ore in meno l’anno rispetto a un coetaneo set­tentrionale. È come se studiasse un anno in meno di un alunno del Nord. Nel Mezzogiorno il tempo pieno è un miraggio.

I DIVARI

La questione dei soldi, dunque, è centrale. Le Regioni settentrionali sostengono di ricevere meno di quelle del Sud in termini di risor­se per la scuola. La Lombardia 481 euro per abitante, il Veneto 510 euro contro i 718 euro della Campania. Ma come già era stato dimostrato quattro anni fa, sono conti sballati. Non si può mettere in rapporto il costo dell'istruzio­ne con gli abitanti. Semmai an­drebbe parametrato agli studen­ti. Che al Sud sono di più. Ma la spesa dice poco e male, anche perché nel Mezzogiorno ci sono insegnanti piu anziani che, dun­que, hanno stipendi più alti. 11 ve­ro parametro dovrebbe essere dunque un altro: il numero degli insegnanti per il numero degli alunni. E qui si che i divari ci so­no.

I sindacati, comunque, hanno an­nunciato che presenteranno una proposta di legge d'iniziativa po­polare di modifica della Costitu­zione per cambiare l'articolo 116 comma 3 e il 117 per introdurre una clausola di supremazia della legge statale, e lo spostamento di alcune materie di potestà legislati­va concorrente (tra cui certamen­te l’istruzione) alla potestà legisla­tiva esclusiva dello Stato. La ri­chiesta di modifica, per la quale sarà avviata da domani una rac­colta di firme, prevede che l’auto­nomia, possa essere concessa so­lo se «giustificata dalla specificità dèi territorio», Inoltre' viene esclusa la possibilità di approvare una generica legge quadro in am­bito nazionale che lasci sostan­zialmente campo libero a intese tra Stato e singole Regioni. Proprio quello che accadrebbe se fosse approvata la legge Calderoli. La bozza che sarà presto conse­gnata alla Conferenza delle Regio­ni, lancia fumo negli occhi, ma nella sostanza ripropone tutte le storture che si erano già viste quattro anni fa.

I PASSAGGI

A partire da un Parlamento marginalizzato, senza la possibilità di incidere veramente sulle pre-inte- se dell’autonomia firmate da go­verno e Regioni, non avendo la possibilità di emendare i testi ma di dare solo un parere consultivo al quale il governo può non con­formarsi. La sostanza del trasferi­mento di soldi, personale e com­petenze, viene rimandato a com­missioni tecniche bilaterali. Di queste commissioni si discusse a lungo anche durante il primo go­verno Conte, quello sostenuto dalla Lega insieme al Movimento Cinque Stelle. Il rischio allora, co­me oggi, è che il confronto sui punti più delicati dell'autonomia si svolga lontano dai riflettori e senza che il Parlamento possa più intervenire a modificare nul­la di quanto deciso in sede tecni­ca. Non solo. Le intese definitive, una volta ratificate, diventerebbe­ro immodificabili, perché per es­sere cambiate dovrebbero riceve­re l'assenso della Regione stessa. Per questo i sindacati insistono perché possa essere richiesto un referendum popolare conferma­tivo della legge attributiva dell'au­tonomia prima della sua entrata in vigore, ed eventualmente un referendum abrogativo.


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