
«Atenei, i tagli al Sud sono incostituzionali»
Uricchio (Bari): 300 prof in pensione, 10 rimpiazzi


Davide Cerbone
Sotto l'incedere placido del tono accademico, cova il fuoco dell'indignazione. Perché quella dei "punti organico" per il tumover è una minaccia che rischia di compromettere non solo il futuro prossimo degli atenei del Sud, ma anche il loro presente più immediato. E allora Antonio Felice Uricchio, rettore dell'Università degli Studi di Bari, 60mila iscritti dei quali 15mila in difficoltà economica, non ci ha pensato due volte a far sentire la propria voce. Rettore, siamo di fronte a un'ingiustizia? «Sì. In queste condizioni non saremo più in grado di assicurare servizi e docenti in numero congruo. Per questo siamo stati tra i primi in Puglia a insorgere, producendo un documento che contiene alcune proposte di riequilibrio». Ce le illustri. «La prima è la reintroduzione della clausola di salvaguardia, che prevede un tetto massimo del 50 per cento peri punti organico. La seconda è l'introduzione di un parametro di tassazione figurativa nella formula Isef utilizzata per ripartire i fondi: alle tasse pagate vanno aggiunte quelle figurative, così da compensare le esenzioni. Perché c'è un problema di contesto che il decreto ignora». Le esenzioni, in effetti, sono la spia di una sofferenza sociale. «E chiaro. A Bari abbiamo 7mila esenti e 8mila studenti che pagano in forma ridotta. E le esenzioni si concedono quando vi è una condizione di disagio e di necessità». Quali sono le altre proposte? «Chiediamo di dare attuazione al decreto 49 del 2012 sul costo standard per studente, di tener conto del personale medico docente in modo ridotto e di applicare gli indici di deprivazione sociale, basati su diversi fattori che misurano lo svantaggio socioeconomico di un territorio». Crede sia in atto un attacco agli atenei del Sud? «Spero proprio di no, ma lo vedremo nell'incontro di oggi con il ministro Maria Chiara Carrozza. Una cosa è certa: siamo molto preoccupati. Il rischio che i flussi finanziari si spostino dalle università del Sud verso quelli del Nord è molto concreto». Di chi è la colpa? «L'Italia non ha fatto investimenti forti su università e ricerca, come hanno fatto altri Paesi europei, sia pure in una fase di crisi. E poi il riparto delle risorse non ha premiato né meriti né bisogni, ma ha assecondato indicatori che producono evidenti distorsioni». Quali sono le conseguenze a Bari? «Negli ultimi 3 anni abbiamo perso quasi 300 docenti e quest'anno, con 5 punti organico, abbiamo potuto assumere appena 10 ricercatori (ciascun ricercatore vale 0,5 punti organico, ndr). Questo, venendo fuori da un blocco del tumover che ha impoverito molto la nostra offerta formativa». Tenacia ed orgoglio, però, non vi fanno difetto. «Per niente. Oggi, mentre noi rettori siamo a Roma con il ministro, a Bari si terrà un open day di protesta e di riflessione con lezioni magistrali, interventi di studenti e di associazioni. Se nulla cambia, il numero di docenti si riduce ancora e la loro età media aumenta. Di questo passo, i giovani lasceranno gli atenei del Sud per spostarsi al Centro-Nord o all'estero. Rischiamo di scomparire, ma resistiamo». Il decreto Carrozza tradisce il ruolo pubblico delle università, che dovrebbero compensare le sperequazioni economiche? «Di più: tradisce i principi costituzionali di eguaglianza e sussidiarietà».