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Repubblica-Bari_La rabbia dei ricercatori "Ci vogliono precari a vita"

Puglia penalizzata: molti giovani già pensano di emigrare La riforma Moratti scontenta gli studenti e i docenti La rabbia dei ricercatori "Ci vogliono precari a vita" L'Ateneo ba...

18/01/2004
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la Repubblica

Puglia penalizzata: molti giovani già pensano di emigrare
La riforma Moratti scontenta gli studenti e i docenti
La rabbia dei ricercatori "Ci vogliono precari a vita"
L'Ateneo barese si mobilita contro il disegno di legge
Unanime la protesta per il provvedimento che vuole introdurre i co.co.co della ricerca "Così la fuga dei cervelli diventerà una prassi"
Preoccupati i presidi che ipotizzano una disparità fra accessi alle cattedre e carriere Dubbi anche sul ruolo delle imprese private
ELENA LATERZA


Intraprendere la carriera universitaria per molti giovani è una questione di passione. Elena Palma, laureata nel ?99 in Economia, è una di loro. A ventisei anni, avere un assegno di ricerca e un dottorato in Geografia economica alle spalle è già un bel risultato. Ma per il futuro quell'impegno non basterà più a darle garanzie. Lo scenario che si profila con il disegno di legge delega che modifica lo stato giuridico dei professori non è affatto roseo. Il piano della Moratti prevede tra i principali cambiamenti la trasformazione dei ricercatori in Co.co.co, introducendo in Italia la figura del professore a contratto: "Se si insinua il precariato nel settore della ricerca - spiega Elena Palma - ad essere penalizzati siamo proprio noi giovani. Con questo decreto, nella migliore delle ipotesi, avrei davanti ancora cinque o dieci anni di precariato. E poi ancora incertezza".
Lo smarrimento è palpabile: "Sono molto preoccupata, non so cosa potrà accadere. Ci fanno vivere nell'impossibilità di pianificare il futuro: anche l'idea di formare una famiglia dipende da questo". Nelle stesse condizioni ci sono centinaia di ragazzi che, come Elena, la strada per salire in cattedra l'hanno già intrapresa. Maria Grazia Perrone, 27 anni, ha svolto un dottorato per tre anni a Farmacia: "Qui al Sud - racconta - nel mio settore non esistono impieghi nell'ambito industriale. Lavorare nell'Università è quindi l'unica prospettiva di occupazione certa, nonostante le retribuzioni siano molto basse. Ora anche quest'unica sicurezza svanisce". E' idea diffusa che il provvedimento formulato dal ministero non potrà che aggravare la fuga di cervelli. Maria Grazia lo conferma: "Non potrei restare a lungo nell'impossibilità di costruire qualcosa. Per questo ho deciso di guardarmi intorno e ho iniziato a inviare il curriculum. Una scelta non facile: andare via significherebbe ricominciare tutto dall'inizio".
Ha davanti a sé ancora due anni di dottorato il ventottenne Emanuele Ponzio, dottorando in Ambiente medicina e salute: "Si profila una prospettiva davvero negativa per noi, che rispecchia purtroppo un trend generale del mercato del lavoro. Così tutto diventa ancora più in salita. E' importante - sostiene - che all'interno del mondo accademico si crei una comunicazione su questi temi, bisogna prendere coscienza di quello che sta accadendo, e capire cosa ci aspetta".
La sensazione di incertezza accomuna un'intera generazione. Così come la voglia di reagire: "Non ci arrendiamo a questo sfascio che si sta producendo - afferma Eleonora Forenza, 27 anni dottoranda a Lettere - la speranza è di invertire la rotta. Da essere motore di sviluppo, la ricerca diventa un rimorchio, perché si deve adeguare alle esigenze del mercato. E' necessario che i cosiddetti senior students, quel mondo variegato costituito da dottorandi, specializzandi, assegnisti, prenda la parola. Noi non siamo rappresentati negli organi dell'Ateneo. Per questo cercheremo di creare una rete di comunicazione, per poter portare avanti un'istanza comune, mi auguro nella direzione di un rifiuto di questo provvedimento".
Le decisioni ministeriali stanno scatenando un terremoto in tutto il mondo accademico. E' preoccupato il preside di Giurisprudenza, Antonio Iannarelli: "C'è una vera e propria precarizzazione. Si sta passando da un eccesso di concorsi a un azzeramento totale della possibilità di accesso da parte dei giovani nell'Università. Il rischio è che le persone più brave orientino le proprie scelte altrove. La sensazione è che si arriverà a una paralisi ed io non mi faccio illusioni: la classe politica è insensibile a qualsiasi visione di lungo periodo". Negativo anche il giudizio di Francesco Saverio Perillo, preside di Lingue: "Negare certezze ai giovani è il lato peggiore di questa riforma. E' vero, rivedere il sistema di reclutamento è necessario, ma per farlo bisogna consultare le base. Non ci è stata data la possibilità né di dare suggerimenti, né di fare delle critiche. E' una decisione che viene dall'alto".
Sulla stessa linea il professor Giorgio Otranto: "Sono fortemente perplesso. In primo luogo sul metodo, perché non sono stati per nulla coinvolti nella discussione coloro che vivono l'Università. Quello che è più grave è che l'Università sta progressivamente perdendo la propria autonomia e si sta ritornando a una visione centralistica, direi quasi napoleonica". Per Gaetano Veneto, ordinario di Diritto del Lavoro, questa riforma è meno peggio di quanto si possa pensare. "Di negativo c'è che si crea un imbuto che comprime verso l'alto l'arruolamento dei docenti più giovani. Invece, salendo verso l'alto la riforma migliora nei suoi contenuti. Mi sembra un provvedimento buono per i quarantenni e cinquantenni, pericoloso per i giovani. Ma il vero fattore positivo è che si cerca di superare il feroce localismo, della riforma Berlinguer prima e della gestione Moratti sino ad oggi, tornando ai concorsi nazionali. E' vero che in passato quei concorsi erano sciagurati. Ma dopo è andata ancora peggio".


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