FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3818011
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: E io dico: viva l’istruzione di massa»

Unità: E io dico: viva l’istruzione di massa»

LA POLEMICA Intervista con Paolo Giovannetti, docente universitario e autore del libro «L’istruzione spiegata ai professori. Elogio dei saperi massificati»

20/07/2006
Decrease text size Increase text size
l'Unità

di Roberto Carnero

I
n Italia gli intellettuali e l’opinione pubblica capiscono poco le attuali tendenze della scuola e dell’università. Questa la constatazione dalla quale è partito Paolo Giovannetti, docente di Letteratura italiana allo Iulm di Milano. «Si passa il tempo a frignare per la perdita dei buoni valori antichi», afferma, «e non ci si rende conto che da quasi quarant’anni certi cambiamenti del sistema educativo hanno prodotto effetti positivi. Ma quello che mi manda fuori dai gangheri è la confusione tra “riforme” e “controriforme”, cioè tra quanto di buono aveva fatto il governo di centro-sinistra nel periodo 1996-2001, e le successive mosse, nella fase 2001-2006, da parte della Moratti». Giovannetti ha deciso di mettere il proprio disappunto nero su bianco, in un libro intitolato L’istruzione spiegata ai professori. Elogio dei saperi massificati nella scuola e nell’università (Edizioni ETS, pp. 144, euro 14,00). Da uomo schierato a sinistra, ce l’ha, in particolare, con quegli intellettuali di sinistra che, come si esprime, «hanno fatto di ogni erba un fascio, usando la parola “riforma” senza distinguere tra democrazia e oscurantismo».
Professor Giovannetti, perché un «elogio dei saperi massificati»? Il ’68, sembra voler dire, non è tutto da buttare...
«Io dico che del ’68 non si dovrebbe buttar via nulla! Da lì vengono idee e pratiche ancora in grado di indicarci strade future. Mi limito a due grandi obiettivi: il maggior numero d’anni d’istruzione per il maggior numero di studenti; il superamento di ogni rigida divisione tra ciò che sta dentro la scuola (e l’università) e ciò che si agita fuori. Egualitarismo, dico, e apertura alla società. Ciò ha molte implicazioni: una è riconoscere che i “saperi” non sono più chiusi su se stessi; e il loro contatto con il mondo significa compromissione con la cultura di massa. Tutti siamo coinvolti dal sistema della comunicazione, ci piaccia o meno. E perché la scuola dovrebbe costituire una riserva indiana, facendo finta di non accorgersi che da molti decenni tutto è cambiato?».
Qual è, secondo lei, il problema principale della scuola oggi?
«Se penso all’impostazione della “controriforma” morattiana, non c’è dubbio che il problema principale sia il precoce distacco dei ragazzi più deboli da un percorso formativo “vero”. In pratica, già a tredici anni si comincia a scegliere se indirizzarsi verso il cosiddetto sistema della formazione professionale oppure verso il sistema dei licei. I sommersi là, già pronti a lavorare negli stage; i salvati qua, in brutte parodie dell’istruzione classica».
E dell’università?
«Sulla carta, l’università uscita dalla “riforma” cosiddetta Berlinguer è una buona università, che avrebbe notevoli margini di crescita. Se non cresce, le colpe sono due: gli scarsi finanziamenti statali e il basso numero di docenti di ruolo. Il nostro rapporto studenti/docenti è uno dei peggiori al mondo. Abbiamo pochi professori; dovremmo reclutarne di più e meglio, con concorsi un po’ diversi da quelli attuali. Ma per fare questo ci vogliono investimenti, soldi insomma».
Lei è un po’ una sorta di «anti-Mastrocola». Cosa non condivide delle tesi della professoressa torinese, che pure hanno incontrato, e continuano a incontrare, un grande successo presso gli insegnanti?
«Niente condivido delle “tesi! di Paola Mastrocola, dal suo romanzo d’esordio La gallina volante al più recente pamphlet La scuola spiegata al mio cane (entrambi Guanda). Con i suoi piagnistei infanga un sistema educativo che disprezza. In parole povere: la scrittrice-professoressa prende uno stipendio statale e guadagna pure in diritti d’autore per dichiarare pubblicamente la sua incapacità di fare l’insegnante. E ciò, attenzione, in nome d’un generico appello alla tradizione. È una spocchia culturalistica in linea con il morattismo».
A un certo punto del suo libro lei cerca di smontare alcune lamentele, che sono ormai un po’ dei luoghi comuni, sulla scuola e sull’università. Ce ne vuole parlare?
«A me sembra, ripeto, che si abbia paura di un’autentica formazione di massa. Molti Soloni della cultura temono di perdere i propri privilegi. Non capiscono che la massificazione dell’istruzione in fondo converrebbe a tutti. Darebbe molto ai più deboli, consentendo loro di raggiungere i piani alti della scuola e dell’università, e non negherebbe spazio ai “capaci e meritevoli”, che in un sistema aperto quale in potenza è il nostro avrebbero la libertà di scegliersi strade individuali, di eccellenza».
«Tre più due uguale zero»: questo il titolo di un libro, curato da Gian Luigi Beccaria per Garzanti, sulla riforma Berlinguer-Moratti dei corsi di laurea. Perché lei non è d’accordo con questo allarmismo?
«Per una sola ragione: non esiste una “riforma Berlinguer-Moratti”. L’ho già detto: ed è incredibile che dei professori universitari facciano una simile confusione. Detto questo, alcuni saggi di quel libro sono molto belli, e tutt’altro che conservatori».
Che cosa possiamo aspettarci, realisticamente, dal nuovo governo in tema di istruzione e ricerca? Qualcuno sostiene che i tagli finanziari operati dal governo Berlusconi alla scuola e all’università in fondo fanno comodo anche al governo Prodi, vista la situazione di ristrettezze economiche...
«No, per favore, non mi chieda di essere realista. Io sono un moralista, non un politico. Non mi interessa il “possiamo”, ma il “dobbiamo”. Dobbiamo chiedere un rilancio dell’istruzione e della ricerca anche in termini di risorse. Mi spiace, ma di lì non si scappa. Le riforme a costo zero non esistono».
«Professori a contratto» sottopagati, assegni di ricerca annuali che spesso non vengono rinnovati per mancanza di fondi, immissioni in ruolo oltre i quarant’anni d’età (quando non ci si è arresi prima...). Cosa bisognerebbe fare per risolvere il problema del precariato all’università e per non perdere i talenti migliori?
«Farei quello che fanno le università americane, con il sistema del tenure. Se hai lavorato bene nella tua istituzione per un minimo di anni, vieni assunto. E, soprattutto, sai fin dall’inizio che le regole sono quelle, che il lavoro dentro un ateneo ti garantisce. Il problema, oggi in Italia, è la precarietà delle prospettive, in assenza di norme che diano uno straccio di sicurezza a chi comincia una certa carriera. Borse di dottorato e assegni di ricerca possono anche portarti in là con gli anni: ma tu devi sapere che hai diritto a veder regolarizzata la tua posizione».


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL