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La scuola dei talenti. Un libro di propaganda e un pericoloso manifesto di smantellamento della scuola statale

Articolo di Massimiliano De Conca, tratto da “Articolo 33”

10/05/2024
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Di Massimiliano De Conca, tratto da “Articolo 33

Non è usuale che un ministro si produca in uno sforzo saggistico-letterario durante il suo mandato: anche il precedente ministro, Patrizio Bianchi, si era esercitato con un saggio (Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, Il Mulino 2020), ma il lavoro era uscito in luglio, prima della sua nomina. Allo stesso modo, Giuseppe Valditara, in piena campagna elettorale, nell’estate 2022, aveva dato alle stampe un manifesto programmatico della Lega in vista delle elezioni di settembre (È l’Italia che vogliamo. Il manifesto della Lega per governare il Paese, scritto in collaborazione col politologo Alessandro Amadori ed “arricchito” dalla prefazione di Matteo Salvini, Piemme) nel quale aveva tracciato in una quindicina di pagine (pp.130-147) il suo possibile piano per il dicastero che poi ha iniziato ad esercitare il 26 ottobre dello stesso 2022 (allargandosi anche a definire le linee per Università e Ricerca, Ministero di cui Valditara è stato sottosegretario ai tempi di Mariastella Gelmini).

Non si trattava certo di un testo profetico, perché perfettamente aderente all’ideologia della Lega. È invece vero che si tratta di una dichiarazione di intenti che sta pian piano attuando: si parla di “ridare efficacia alle sanzioni disciplinari” (p.139) responsabilizzando le famiglie (ricordate il Decreto Caivano?), ma anche di “cultura della regola” (p.142), di valorizzazione dei talenti attraverso e-portfolio (p.141), di orientamento dei talenti (pp.140-141 e p.148: fra i “consiglieri” è citato Giuseppe Bertagna, fautore del “doppio canale” e della riforma Moratti), ma anche di docenti esperti  e carriera docenti (p.140), nonché di middle-management (p.141), fino a richiamare la necessità di costruire una scuola fatta di apprendimenti “essenziali (comuni a tutti)” e obiettivi specifici opzionali “definiti con chiarezza, brevità e realismo didattico, dal ministero dell’Istruzione” (p.148: vi ricorda per caso la possibile riforma delle Indicazioni Nazionali sulle quali si sta cominciando a ragionare?). In più passaggi inoltre si sottolinea la sovrapposizione fra “educazione alla cittadinanza” ed “identità”, affermando che si è pienamente cittadini quando si aderisce ad una ben definita “identità”, di cui, anche se non esplicitati, non ci sfuggono i valori e i pregiudizi.

Il nuovo libro, La scuola dei talenti (sempre edito, nel febbraio 2024, da Piemme: la stessa casa editrice che pubblica i volumi di Roberto Vannacci [detto il Generale, quello delle classi differenziali] ed il libro di Matteo Salvini, tra gli altri), frutto di un anno e mezzo di dicastero, è un testo propagandistico molto più spudorato che analizza, documenta e giustifica quanto l’attuale Ministro ha realizzato, decantandone non solo la necessità, ma anche la presunta efficacia, ed in più traccia alcune inquietanti prospettive sulle quali non si deve glissare.

Come dice il titolo, l’impostazione di base è quella che deriva dalla retorica revisionista e restauratrice, nutrita dalla “cultura del merito” che, rileggendo in negativo il periodo post-sessantottino, individua nelle aperture di quegli anni la matrice della decadenza dei costumi sociali e degli apprendimenti scolastici. Qui è chiaro il magistero di Ernesto Galli della Loggia (lo stesso che ha scritto Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo, scritto con Loredana Perla, a cui è affidata la commissione per la revisione delle indicazioni nazionali [per fugare ogni dubbio su quale identità, il libro è edito dalla casa editrice Morcelliana di Brescia, nel 2023]: il saggio rientra più volte fra le citazioni di Valditara, naturalmente) e di Luca Ricolfi (in ultimo citiamo giusto La rivoluzione del merito, Rizzoli 2023, e precedentemente con Paola Mastrocola [la moglie] Il danno scolastico, trattato qui): il tema è come dare nuovo prestigio alla scuola dopo il lassismo post-sessantottino.

La ricetta è presto detta: al facilismo educativo (capitolo 4) in cui è caduta la scuola dopo la riforma Gentile (capitolo 1), si deve contrapporre la scuola del merito (capitolo 3), del rispetto (capitolo 9), dell’autorevolezza (capitolo 10), che favorisca “un più ampio rapporto fra pubblico e privato, fra la scuola e i privati” (p.143, capitolo 13: La scuola, il privato, l’impresa). Sono quindi snocciolate le operazioni che il ministero ha messo in atto nel 2023: dal tentativo di riportare il voto numerico come strumento di chiarezza, ma soprattutto autorevolezza (p.51: ovvero dispositivo punitivo), alla necessità di prevedere una carriera differenziata dei docenti.

Ma quello che deve destare preoccupazione sono piani futuri: in applicazione al mantra “aiutiamoli a casa loro” e dell’idea delle classi differenziali, non solo si prevede l’organizzazione di “corsi di lingua italiana nei principali Paesi da cui proviene l’immigrazione, così come previsto nel piano definito “Diplomazia della scuola”” ma anche l’istituzione di “gruppi classe o interclasse per taliano ed eventualmente matematica” al fine di inserire gli studenti stranieri nelle “classi ordinarie” [sic!]. Prevista anche “una formazione specifica e forme di incentivazione, anche economica, per i docenti che si dovranno occupare dell’istruzione e del supporto linguistico per studenti stranieri” (pp. 82-3: questa l’idea di integrazione espressa nel capitolo 8, Le scuole delle periferie).

Si pensa anche ad una “fondazione per la scuola italiana” (p.147) a cui affidare il compito di raccogliere volontariamente dei fondi liberando il finanziamento delle scuole dalla fiscalità comune: “piuttosto che imposizioni obbligatorie dobbiamo quindi pensare a contributi volontari, incentivati fiscalmente” (p.146).

Questo spingerebbe a rafforzare soprattutto la “filiera tecnico-professionale” (di cui si parla ampiamente nelle pp. 148-55) finalizzata alla “formazione del capitale umano”, che risulta essere “più importante del costo dei macchinari, che pure un’impresa mette a bilancio”. Quindi si riuscirebbe a realizzare “una visione autenticamente liberale del rapporto con le istituzioni, fondato sulla civicness, ovvero sul concetto di responsabilità civica […] è anche un’applicazione concreta del principio costituzionale di sussidiarietà”. Se lo scrive il Ministro…

Del resto, lo smantellamento della scuola statale unica è sancito nel capitolo 14 (La scuola della bellezza, mente e cuore dello sviluppo del territorio. Il ruolo delle autonomie), dove si strizza l’occhio al disegno di legge sull’autonomia differenziata: determinante è la “valorizzazione del ruolo delle regioni nel Governo di un settore significativo per la crescita del territorio”, finalizzato alla realizzazione concreta del “federalismo scolastico”. (p.164)

Ma non manca il riferimento alle famiglie ed all’identità cristiana dell’Europa.

Nel capitolo 12 (La scuola e la famiglia) “la forte alleanza con le famiglie è anche quella che non abbandona gli studenti durante il periodo estivo”, cioè deve permettere alle famiglie di due fantomatici studenti, Carlo e Andrea, con genitori che lavorano d’estate, di avere nella scuola “un punto di riferimento [...] il che non significa fare lezione d’estate” (p. 141). E allora? “La scuola d’estate, oltre a offrire un eventuale potenziamento [ma si allora si fa lezione? n.d.r.], deve soprattutto creare occasioni di ritrovo positivo organizzando attività sportive, teatrali, culturali, di educazione al lavoro [sic!], ludiche, a seconda delle varie fasce di età”. Quindi una scuola che non fa la scuola, ma fa altro. Perché “in prospettiva la scuola dovrebbe anche offrire centri estivi di studio [ancora? Si fa lezione allora? n.d.r.] e, perché no, d’intesa con gli enti locali, pure qualcosa di simile alle colonie estive di alcuni decenni fa con l’utilizzo di personale specializzato non docente. Insomma la scuola del merito è ancora una volta anche quella che si fa carico del bisogno.” Poche idee e neanche tanto confuse: la scuola apre al terzo settore, diventando un centro ricreativo. Poco male: ma perché allora non dare direttamente fondi ad associazioni sportive, a parrocchie, a centri di aggregazione, perché non investire sul sociale? Forse perché l’idea è quella di trasformare la scuola in un luogo di multiservizi alla persona, per lo più per quelle famiglie meno abbienti, facendo scivolare e passare in secondo piano la funzione educativa e formativa.

Il capitolo 15, La scuola delle radici, è forse più inquietante: dopo una digressione sull’importanza, condivisibile, dello studio della storia e dei classici, punteggiata di citazioni decontestualizzate e strumentali che cercano punti di contatto da Elias Canetti ad Antonio Gramsci, passando per Togliatti e Marchesi, arriva l’affondo: “occorre ridare importanza innanzitutto allo studio della storia, che è il cuore pulsante per ricostruire una idea di identità italiana ed europea”. Non si spiega però quale sia questa “identità”.

Sembra di leggere per lunghi tratti un romanzo distopico, che però sta già lasciando i contorni letterari perché sta realizzandosi passo dopo passo attraverso l’attuazione di una serie di interventi che, nella loro apparente disomogeneità, sono in realtà ben collegati fra di loro e ben sistematizzati per fornire un nuovo modello di scuola: selettivo, classista, respingente. Eppure è una lettura necessaria, come quella di un romanzo horror: l’errore che non dobbiamo fare a questo punto è quello di sottovalutare questo libello programmatico dove in maniera spudorata il Ministro ha già definito i prossimi obiettivi. Al contrario bisogna organizzarsi e rispondere con risolutezza e radicalità al tentativo di affermare una nuova egemonia culturale, lontana dai principi della democrazia.

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