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Voto sì per dire no-di Antonio Tabucchi

Voto sì per dire no di Antonio Tabucchi Fin dall'inizio ho considerato il referendum sull'estensione dell'articolo 18 poco efficace e pericoloso. Poco efficace perché ritengo che i problemi del ...

15/06/2003
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Voto sì per dire no
di Antonio Tabucchi

Fin dall'inizio ho considerato il referendum sull'estensione dell'articolo 18 poco efficace e pericoloso. Poco efficace perché ritengo che i problemi del lavoro non si risolvono con un Sì e con un No ma con un'adeguata azione legislativa. Pericoloso perché a mio avviso introduceva nella sinistra ulteriori motivi di conflitto e di divisione. Mi sembrava insomma un 'brutto tiro' giocato alle spalle di un leader sindacale che aveva opposto una straordinaria resistenza.
Con larghissima adesione popolare, all'attacco governativo allo Statuto dei lavoratori e che dopo aver vinto la battaglia trovava qualcuno che senza colpo ferire rialzava la posta e lo chiamava a una scommessa non sua. L'on. Bertinotti non me ne vorrà se traduco la sua iniziativa in questi termini: "Bravo Cofferati, il ministro Maroni ha perso il match per abbandono del ring. Ora tu devi rischiare il tutto per tutto. Ma rischi tu, e la scommessa la faccio io". Insomma, Cofferati era chiamato a un altro incontro di pugilato, e Bertinotti faceva da bookmaker senza rischiare pugni sul naso. Raccoglieva solo la scommessa.
Del resto le "scommesse" di Bertinotti sono storia recente: la caduta del governo Prodi (con la dichiarazione del professor Livio Maitan felice di "aver fatto cadere almeno una volta in vita sua un governo borghese" sic!), e il trionfo dello stesso Bertinotti per aver conquistato una buona percentuale alle ultime elezioni politiche mentre l'Italia veniva consegnata a Berlusconi, alla Lega di Umberto Bossi e ai "post-fascisti" di Alleanza Nazionale (qualcuno un giorno mi spiegherà cosa vuol dire "post-fascisti").
Questa premessa mi pareva necessaria. Ma ora il referendum c'è. Domenica si vota e il toro va afferrato per le corna. Ho riflettuto a lungo sulla scelta da fare, come credo stiano riflettendo molti elettori. La mia decisione è recente e si deve anche all'aver visto su Raiuno "Porta a Porta" martedì 10 giugno. Alla trasmissione erano presenti, fra gli altri, il presidente della Confindustria D'Amato, l'attuale segreterio della Cgil Guglielmo Epifani, l'attuale segretario della Cisl Pezzotta, l'onorevole Fausto Bertinotti. All'onorevole Vespa (spero gradisca il mio rispettoso appellativo) stavolta la trasmissione è un po' sfuggita di mano, e a fargliela sfuggire un po' di più ci aveva pensato l'onorevole Berlusconi che non potendo intervenire a "Porta a Porta" per telefono come fa quando vuole, dato che era in Israele, ha fatto un suo "commento" al telegiornale sui risultati delle elezioni amministrative. Il commento era all'incirca questo: i signori dell'opposizione si accontentino di questi risultati amministrativi, perché resteranno all'opposizione finché campano. A questo punto il significato precipuamente politico del referendum di domenica prossima è apparso in tutta la sua chiarezza. Se il referendum non raggiungerà il quorum, come vuole Berlusconi, egli ribalterà la sconfitta ricevuta alle ultime elezioni in un trionfo politico e i massicci mezzi di comunicazione di cui dispone convinceranno gli italiani che egli è il trionfatore su una sinistra indecisa e divisa.
Ma che il referendum di domenica prossima sia una prova eminentemente politica ormai era venuto fuori anche nel salotto dell'onorevole Vespa. Il segretario della Cisl Pezzotta infatti, volendo mantenere il problema del lavoro sul terreno tecnico, ha affermato che i problemi sindacali del lavoro, non hanno un bel niente di politico. Dichiarazione sorprendente per un sindacalista della statura di Pezzotta, perché se si afferma che il lavoro è un fatto di mercato, destituendolo dal suo peso politico, lo si riduce a un puro problema di produzione e competitività, come si dice ora, schiacciandolo sulla logica del mercato neoliberista e sottraendolo al valore politico (in senso filosofico) che il lavoro ha assunto nell'epoca moderna.
Mi sono chiesto: possibile che si dimentichi che con l'avvento della rivoluzione industriale il lavoro, che da artigianale è diventato base del capitalismo moderno, venga destituito del suo significato profondamente filosofico e politico? Possibile che si dimentichi non dico il Marx filosofo ma addirittura Weber? Possibile che il lavoro, elemento politico fondamentale delle nuove classi sociali apparse all'orizzonte della modernità (i lavoratori) per un beffardo giro di boa della Storia ritorni ad essere un semplice mezzo di produzione? Mentre mi ponevo questi interrogativi mi ha aiutato un intervento puntuale di Epifani il quale ha specificato che la Cgil vota per il Sì per un motivo: perché ormai le grandi aziende, con l'aria che tira si sono suddivise a piovra in tante piccole aziende con un numero ridotto di dipendenti: solo che poi gli utili fanno capo a un solo proprietario. E qui il lavoro come fatto tecnico e di mercato non sussiste e assume davvero un valore politico. Insomma: un Sì al referendum sarà una sconfitta politica per Berlusconi, per l'ideologia che egli diffonde, per il suo stesso sistema, quello grazie al quale il suo "Giornale" appartiene in apparenza non a lui ma a suo fratello, che "Il Foglio" appartiene in apparenza non a lui ma alla sua signora, che Mediaset appartiene in apparenza non a lui ma a un'azienda e che la Rai appartiene in apparenza non a lui ma a noi che paghiamo il canone.
Se vogliamo contribuire a mandare a casa Berlusconi, a farlo raccogliere nella sua villa di Arcore fra i suoi cavalli e i suoi amici, credo sia necessario dire Sì a questo referendum. Capisco che altri non vogliano o non possano dirlo con la stessa disinvoltura con cui posso dirlo io, che sono un semplice cittadino senza responsabilità di strategie politiche da cui possano derivare divisioni nell'opposizione. E questo non diminuisce la mia stima e la mia solidarietà per chi non vuole o non può esprimersi come me. Ma sono convinto che non è vincendo le elezioni amministrative che si manda a casa un Berlusconi. Del resto lo ha affermato lui stesso, chiaramente, al telegiornale.


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