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Valutare sì, ma non per punire

La ricerca della Fondazione Agnelli sugli effetti distorsivi di un sistema premiale. Tra i punti deboli, l'assenza di riforma della governance

25/02/2014
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ItaliaOggi

Giovanni Scancarello

La valutazione usata per premiare o punire i docenti non funziona. Divide anziché unire il mondo della scuola e non ne restituisce una fotografia attendibile. Tra l'altro, la valutazione non è utilizzata per dare aumenti ai docenti neanche negli altri paesi europei. E lì dove, come in Usa, si sono fatte sperimentazioni in tal senso, ora si sta tornando indietro.

Il valore aggiunto della scuola nell'apprendimento dei singoli studenti, infatti, è sempre il frutto di un lavoro di squadra: le scuole andranno pertanto valutate su come lo organizzano e progettano. Se n'è parlato lo scorso 20 febbraio a Roma, durante la presentazione della ricerca dal titolo «La valutazione della scuola. A cosa serve e perché è necessaria» della Fondazione Giovanni Agnelli.

Tra i punti deboli del regolamento del sistema nazionale di valutazione (Snv), varato a marzo 2013 dall'allora uscente governo Monti, soprattuto l'assenza di investimenti sulla formazione dei docenti. Tra i punti forti, quello di aver tracciato nuove coordinate di lavoro e unificato le tre gambe (Invalsi, Indire e corpo ispettivo) rimaste slegate. Fino ad oggi, spiega la Fga, ce la siamo cavata di fronte all'Europa con le sperimentazioni sulla valutazione delle scuole. È soprattutto con l'allora ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini che, tra richiami al merito e tentativi di introdurre la valutazione della performance di Brunetta, si assiste ad una stagione di progetti sperimentali. Vqs, Valorizza, il Vales, ne sono la testimonianza. Esperienze che consentono comunque l'emersione dei punti deboli e degli errori da evitare però in futuro. Alla luce dei risultati conseguiti ad esempio dal progetto Valutazione per lo sviluppo della qualità delle scuole (Vqs), spiegano i ricercatori coordinati da Andrea Gavosto, direttore della Fga, i docenti non hanno ancora capito il valore aggiunto procurato dalla valutazione esterna, resta il dubbio sulla correttezza della conduzione delle somministrazioni da parte di alcune scuole nei confronti di altre (cheating), il modello teorico e metodologico di progetti, che prevedevano premi in denaro per i migliori, è stato giudicato oscuro. Un sistema condiviso e generatore di trasparenza, secondo la fondazione, vedrebbe invece ricollocati i soggetti del Snv e le loro gambe all'interno di una strategia nazionale di innalzamento degli standard di istruzione. Con l'Invalsi preso a verificare le politiche di sviluppo dell'apprendimento e a sostenere le scuole attraverso la valutazione esterna per certificare competenze alla fine dell'obbligo, con gli ispettori a valutare l'operato delle scuole, anche visitandole periodicamente, con una griglia in stile Ofsted alla mano, e con le scuole e l'Indire impegnati nella formazione e nei piani di miglioramento previsti dal regolamento.

Resta poi il nodo della collegialità. Senza riforma degli organi di governo della scuola dell'autonomia, la valutazione potrebbe restare al palo. Ma senza valutazione delle scuole, anche la collegialità rischia la paralisi. Nel nostro Paese si è iniziato a parlare di autonomia scolastica e poi di valutazione, senza affrontare prima, però, la riforma degli organi collegiali. Un passaggio a vuoto che forse non ha aiutato nemmeno a far scattare l'imprinting tra scuola e valutazione esterna. Tra i dati rilevati dalla Fondazione Agnelli colpisce che «in alcune scuole, sono stati i genitori eletti nei consigli di istituto a guidare la fronda contro la sperimentazione». Nella collegialità, quindi, è sorta la barricata. Valore costitutivo del nostro sistema scolastico, frutto di conquiste democratiche degli anni settanta, la collegialità risulta talmente radicata nel dna della scuola, da rintracciarsene i segni sin dai tempi dei regi decreti. Che la collegialità vada considerata di prioritaria importanza è confermato dagli stessi ricercatori della Fga, quando dicono che la questione della governance della scuola diventa «endogena e quindi è corretto considerarla rilevante per la valutazione della scuola, attraverso una misura di valore aggiunto, attraverso prove standardizzate». Ma se di riforma degli organi collegiali si parla sin dai tempi della legge Bassanini e fino ad oggi non se n'è ancora fatto niente, un motivo ci sarà. Una cosa è certa: bisognerà pensarci bene, prima di chiedere cessioni di quote di sovranità degli organi collegiali democraticamente eletti. Se da una parte, di tutto c'è bisogno, meno che di altri elefanti nella cristalleria, dall'altra c'è da scommettere che il confronto della scuola con la valutazione, se rivolto veramente a innalzare i livelli di apprendimento dei nostri studenti, si giocherà soprattutto sul piano della collegialità. Un confronto che però richiederà competenze per essere adeguatamente impostato. «La valutazione delle scuole sembra adeguata a integrare due dimensioni», si legge nella ricerca della FGA, «a prima è quella di rendere i singoli istituti responsabili (accountable) per i loro risultati; la seconda è quella di usare i risultati di apprendimento degli studenti per valutare l'efficacia dei processi didattici e organizzativi di ciascun istituto». È proprio grazie alla valutazione che si innescherebbe, secondo FGA, quella riflessività della comunità professionale e collegiale che è decisiva per creare consenso e migliorare. È infatti solo grazie alla valutazione, spiegano i ricercatori, che sarà possibile diagnosticare «le lacune ed eventualmente proporre azioni di miglioramento, attraverso la pratica di fornire alle scuole i risultati aggregati dei test standardizzati, integrata eventualmente da visite ispettive, grazie alla riflessione interna alla scuola stessa».


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