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Università, anno zero La mannaia Gelmini

La mannaia Gelmini Dei 14 mila pensionamenti pochissimi saranno sostituiti. Parla Luigi Biggeri, direttore del Cnvsu

04/02/2011
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il manifesto

Roberto Ciccarelli
Per Luigi Biggeri, già presidente dell'Istat e oggi a capo del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), il taglio di oltre 300 corsi di studio voluto dal governo per razionalizzare la formazione universitaria è avvenuto in assenza di un disegno strategico ed è basato su compromessi tra gruppi di potere. «Questi gruppi - afferma - dipendono dalla "forza" dei settori scientifico-disciplinari, e la loro prevalenza è dovuta alla mancanza di programmazione. A meno che non ci siano concorsi frequenti, un corso di studio verrà riorganizzato a partire dalla disponibilità del personale esistente. Nelle facoltà di scienze, dove andrà in pensione il 32 per cento degli ordinari di fisica entro il 2015, è inevitabile che i docenti che restano tenderanno ad aumentare i posti disponibili nelle loro materie».

Quanto peserà il taglio di 1,3 miliardi di euro al Fondo ordinario degli atenei?
In maniera massiccia. Nei prossimi anni diminuirà del 13-14 per cento. Sarà in parte compensato dai pensionamenti di 14 mila docenti su oltre 57 mila docenti, ma purtroppo non ci saranno altrettanti nuovi ingressi di personale. Questa situazione costringe ad operare un taglio forzato e non in base ad una programmazione. Se poi consideriamo che le spese per la ricerca e la formazione, sono allo 0,8 per cento del Pil, si capisce in quale dramma ci troviamo.

E la messa in esaurimento entro il 2013 dei ricercatori a tempo indeterminato?
Difficile dirlo. In Italia abbiamo i ricercatori più anziani d'Europa, la media è di 45-50 anni, anche se dal 1998 aumentano i 35enni. Tra i ricercatori si registra inoltre una crescita delle uscite, gran parte per limite d'età, ma anche per dimissioni volontarie. Nel 2010 i pensionati sono stati 437, 347 invece le dimissioni. Se pensa che le uscite erano 205 nel 2005 si capisce l'accelerazione in atto.

Per quale ragione si dimettono?
Verosimilmente, perché trovano una migliore occasione di lavoro.

Perché i settori disciplinari più colpiti da questo processo di dismissione sono quelli umanistici?
Perché la maggioranza dei concorsi nel 1980, nel 1986 e nel 1990 sono stati svolti in queste aree dove oggi si prevede una forte ondata di pensionamenti. Il personale è una risorsa rigida, almeno per come è gestito in Italia. In questi settori ci saranno meno concorsi visto che andranno in pensione molti professori ordinari, gli unici che li possono chiedere.

La riforma del reclutamento prospettata nella riforma Gelmini aumenterà la soglia di accesso alla ricerca che già oggi è di 37 anni?
Spero proprio di no. Questa soglia così elevata dipende dal fatto che esiste una terra di mezzo in cui ci sono gli assegni di ricerca, le borse di studio e i contratti di ricerca. Ogni anno il sistema produce 12 mila dottori di ricerca, senza contare che gli assegnisti sono quasi 13 mila. Per come è congegnata la nostra università queste sono tutte figure in attesa di concorso. Senza una programmazione, che dovrebbe avvenire anche per settori disciplinari, si rischia che dei 14 mila pensionati solo pochissimi saranno sostituiti entro il 2015. Bisogna garantire l'entrata in ruolo entro 32 anni, se non prima. Purtroppo oggi non è così.

Chi dovrebbe svolgere l'attività di programmazione e quali i parametri seguirà?
Dovranno farla il ministero e l'agenzia nazionale di valutazione della ricerca. I parametri devono essere ancora definiti. Quelli che esistono sono troppo vaghi. Per ora l'Anvur è una scatola vuota.

Gli umanisti sono la maggioranza dell'accademia italiana, eppure non sono rappresentati nell'Anvur. Come lo spiega?
Sono state fatte polemiche vane sapendo che i componenti del consiglio direttivo sono sette. Nell'analoga agenzia francese sono 25. Se si voleva una rappresentanza per territorio e per settore scientifico avrebbero dovuto essere di più. Non credo inoltre che gli esperti nominati per valutare l'efficienza degli atenei e della formazione orienteranno il lavoro in base alla loro provenienza scientifica. Il problema si pone sulla valutazione dei singoli lavori, ma non è questo il caso. Per fare questo l'Anvur avrebbe bisogno di assumere personale. In Francia ci sono 4 mila valutatori.

Quindi ci vuole un piano di investimento?
Esatto. Solo per l'accreditamento dei 5 mila corsi di studio esistenti nel 2005 occorrevano 13 milioni all'anno. Ora saranno di più. Non li abbiamo mai ricevuti. Nessun ministro ha mai preso in considerazione questo problema.

Questa esigenza sarà presa in considerazione?
Me lo auguro, ma occorrono risorse. Al momento il personale previsto è un decimo di quello francese.

Quanto è stato stanziato per l'Anvur?
Cinque milioni, quelli a disposizione del Cnvsu e del Comitato di valutazione della ricerca che confluiranno nell'agenzia. In Francia si spendono 70 milioni all'anno.

 
 


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