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Unità-Università, vuoto a rendere-di Nicola Tranfaglia

, L'Università italiana versa in uno stato di sostanziale abbandono da parte del governo Berlusconi che non si accontenta di questo risultato provocato da continui tagli sui bilanci o non adeguamento...

23/09/2003
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l'Unità

, L'Università italiana versa in uno stato di sostanziale abbandono da parte del governo Berlusconi che non si accontenta di questo risultato provocato da continui tagli sui bilanci o non adeguamento alle necessità più urgenti degli atenei e vuole invece procedere, attraverso un decreto legge dei ministri Tremonti e Moratti, a controllare direttamente la programmazione finanziaria e didattica degli atenei. Dopo il primo annuncio e la reazione immediata della conferenza dei rettori il governo dice di aver fatto marcia indietro. Ma come si fa ad avere fiducia in un governo che cambia ogni giorno idee e in un ministro come Letizia Moratti che ha ridotto al lumicino la scuola e gli insegnanti italiani?
E che ha varato le università telematiche a tutto vantaggio del Cepu e di altre benemerite istruzioni di profitto privato? Personalmente non ho fiducia in questa marcia indietro non per pregiudizi ideologici ma perché seguo da molti anni la vita delle università italiane e vedo che siamo ridotti, già adesso, per far ricerca a pagarci tutto di tasca nostra o a dedicarci a piccole ricerche locali e ho visto - per citare solo un esempio - che tra i primi atti del ministro c'è stata la soppressione pura e semplice della commissione che si occupava dei rapporti tra scuola e università da molti anni e la continua diminuzione dei fondi per la ricerca scientifica tanto da condurci a occupare, dopo due anni, uno degli ultimi posti nella classifica dei paesi europei.
Se i rettori che rappresentano la massima istanza universitaria e, nello stesso tempo, come è normale, un consenso animato da moderazione e prudenza, sono costretti - dopo le dimissioni simboliche dello scorso anno - a rincarare la dose e annunciare una resistenza "dura" questo significa che la situazione è divenuta grave e che i pericoli di fronte a cui ci troviamo sono seri e tali da richiedere di lasciare da parte la prudenza e scendere in campo con la massima decisione.
Il presidente della Crui, Piero Tosi, ha ricordato nei giorni scorsi due cifre degne di considerazione: l'università è cresciuta, per quanto riguarda il personale docente universitario del 10 per cento dal 1994 al 2002 per le maggiori esigenze didattiche richieste dalla riforma ma il personale tecnico e amministrativo è cresciuto nello stesso periodo di meno del 2%. Quanto agli studenti, da quando c'è l'autonomia gestionale ed è intervenuta la riforma didattica voluta dal centrosinistra, gli abbandoni sono diminuiti dal 70 al 47% cioè di oltre il 20% in tre anni.
Quello che il governo Berlusconi e il ministro Moratti avrebbero dovuto fare e non hanno ancora fatto è l'attuazione concreta di un meccanismo di valutazione, coerente con i criteri europei, in grado di controllare effettivamente la produttività complessiva, finanziaria, didattica e scientifica delle università.
In queste condizioni l'unica idea che viene in mente al ministro Tremonti e alla collega Moratti non è quella di dare all'Università nuove risorse per rendere gli atenei italiani competitivi nell'ambito europeo e occidentale, ma invece un progetto che distrugge l'autonomia universitaria, come quella scolastica prevista dalla Costituzione e invece tenta di ricondurre gli atenei al controllo burocratico centrale del ministero. Naturalmente, in cambio di questo dubbio privilegio, si chiede di poter controllare didattica e ricerca, valutare dal centro tutti i progetti didattici e scientifici, in altri termini ricondurre l'istruzione universitaria a una condizione completa di soggezione e di controllo politico culturale.
Il progetto è così profondamente contrario allo spirito della Costituzione da condurre noti "terzisti" e sostenitori più o meno vicini al governo di centrodestra a schierarsi, accanto a colleghi vicini alla sinistra, contro il decreto annunciato. È paradigmatica in questo senso la posizione di un accademico come Ernesto Galli Della Loggia che solo adesso, dopo due anni di governo Berlusconi, sembra scoprire sul Corriere della Sera che "da mezzo secolo la destra, il popolo di destra legge poco o male, dimostra uno scarsissimo interesse per le cose della cultura, non si preoccupa più di tanto della sorte dell'istruzione e della ricerca".
O beata innocenza. Quando segnalavamo questo aspetto preoccupante della situazione italiana due anni fa venivamo definiti "sinistra avventurista". Meno male che ora queste cose le capiscono anche i più duri d'orecchie e che si possa far presente insieme all'opinione pubblica italiana il grave pericolo che corre il mondo dell'università e della ricerca proprio adesso che si è aperta una competizione in questo campo decisiva per il nostro destino economico, a livello europeo e mondiale.
Che cosa si può e si deve fare di fronte ad una politica così cieca come quella guidata dal governo Berlusconi e in particolare dai ministri Tremonti e Moratti? Personalmente non credo che possano esserci dubbi sull'azione dei rettori, come dei professori e degli studenti interessati ma anche delle famiglie coinvolte in questa situazione.
Si tratta, da una parte, di condurre fino in fondo le trattative già aperte dai rettori con il ministro che avranno nell'incontro nazionale del 25 settembre a Roma un primo momento della verità. Ma, dall'altra parte, essere pronti a mobilitare tutto il mondo universitario e i lavoratori che ad ogni titolo vi afferiscono come gli studenti e le famiglie a far sentire la propria voce nelle prossime settimane per far capire all'opinione pubblica che non si tratta di una questione corporativa ma piuttosto di un problema nazionale del sistema Italia che interessa tutti perché anche dalla soluzione che si adotterà dipende il destino dell'Italia per i prossimi anni.
Un paese che trascura l'istruzione ad ogni livello, incluso quello superiore, è destinato al degrado e al sottosviluppo. Se i professori, come gli studenti, non saranno in grado di fermare una simile deriva, le conseguenze saranno assai pesanti per tutto il paese.
Questo governo purtroppo ha dimostrato finora di non capire l'importanza della ricerca come dell'istruzione superiore e ancora se non saremo noi a farglielo capire con fermezza e tenacia non potremmo poi prendercela con le imprecazioni generiche a cui spesso si abbandonano gli intellettuali nel nostro paese.
L'università italiana è chiamata più che in passato a reagire con chiarezza ad un tentativo che per molti aspetti è perfino peggiore del controllo ideologico attuato durante il periodo fascista. Sta a noi e penso insieme a studenti, professori e al personale tecnico e amministrativo, rispondere adeguatamente al nuovo diktat che si profila da palazzo Chigi e dintorni.


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