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Unità-Una sola cosa certa: i morti

Una sola cosa certa: i morti di Piero Sansonetti Probabilmente è iniziata, vicino a Baghdad, la prima battaglia vera, guerreggiata, tra l'esercito americano e quello iracheno. È la battaglia pe...

04/04/2003
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l'Unità

Una sola cosa certa: i morti
di Piero Sansonetti

Probabilmente è iniziata, vicino a Baghdad, la prima battaglia vera, guerreggiata, tra l'esercito americano e quello iracheno. È la battaglia per conquistare l'aeroporto. L'aeroporto è molto importante, se gli americani se ne impossessano l'assedio alla capitale può diventare più drammatico (o più efficace, dipende dai punti di vista). Senza più aeroporto Baghdad sarebbe tagliata fuori da ogni possibilità di comunicazione e di rifornimento.

Giovedì mattina gli americani avevano dato per già preso l'aeroporto, ma non era vero. Gli iracheni hanno organizzato una carovana di giornalisti e li hanno portati all'aeroporto. Così hanno dimostrato che era ancora sotto il loro controllo e che gli americani avevano mentito. In serata però le cose, a quanto pare, sono cambiate. Due giornalisti inglesi, che si trovavano ancora vicini all'aeroporto, sono scappati perché, dicono, era iniziato il cannoneggiamento. Sarebbe un cannoneggiamento reciproco, cioè gli iracheni avrebbero iniziato a resistere.

Secondo la Cnn gli iracheni hanno spostato tre divisioni dell'esercito e un battaglione dei 'feddayn Saddam', cioè una parte consistente delle loro forze. La Cnn dice che l'Iraq vuole provare ad ogni costo a non cedere l'aeroporto. La battaglia prosegue nella notte. Le notizie però sono incerte, frammentate. Alcune vengono dalle fonti militari, irachene o americane, e sono per la maggior parte assolutamente false. Le notizie vere in genere sono quelle che qualche giornalista è riuscito a verificare personalmente.

Giovedì le voci più diverse si sono inseguite per tutto il giorno. Si è detto che gli anglo-americani stavano entrando in città e poi che erano lontani 60 miglia. Si è detto dell'aeroporto, si è detto che stavano prendendo Bassora e si è detto che non controllavano più neanche Umm Qasr. Di sicuro c'è pochissimo. Cosa c'è di veramente sicuro? Che i morti sono migliaia, che la maggior parte dei morti sono civili, che la maggior parte dei morti civili sono bambini. Poi è sicuro che a Bassora da dieci giorni è in corso un assedio, e che l'assedio è proibito dalle convenzioni internazionali, e che a Bassora manca l'acqua, la poca che c'è non è potabile, e si stanno diffondendo molte malattie tipiche della mancanza d'acqua e della carestia: tra queste il colera.

Giovedì è stata una giornata importante anche sul piano politico. Importante e contrastata. La stessa confusione che c'è sul campo di battaglia c'è sulla ribalta politica. Il segretario di Stato Colin Powell è andato in Europa, a Bruxelles, ha incontrato i leader europei e ha cercato di avviare una qualche distensione, soprattutto con Francia e Germania. Powell ha il ruolo difficile di mediare tra gli europei e i falchi americani, come Cheney e Rumsfeld, vicepresidente e ministro della Difesa.

Mentre Powell era oltre-atlantico, da Washington è partita la prima seria bordata contro Bush. Si è lanciato all'attacco il senatore John Kerry, del Massachusetts, uno dei pezzi da novanta del partito democratico, tra i favoriti ad essere lo sfidante di Bush alle elezioni presidenziali del prossimo anno. Kerry, che appena 15 giorni fa aveva definito la guerra inevitabile, ha detto che il problema, a questo punto, non è solo quello di cambiare il regime a Baghdad ma anche a Washington. È una affermazione pesantissima. Ha detto che Bush entrando in guerra, col parere contrario dell'Onu e dei suoi alleati, ha portato allo sbaraglio gli Usa, e che la politica estera americana potrà normalizzarsi solo se Bush se ne andrà.

Nessuno se l'aspettava questo attacco. Rompe il fronte, e potrebbe avere conseguenze politiche enormi. Anche conseguenze nell'opinione pubblica, che sicuramente risentirà di un'eventuale rottura nel blocco politico che finora è stato di granito.

L'uscita di Kerry non ha intaccato l'ottimismo del ministro Rumsfled. Giovedì pomeriggio ha dichiarato ai giornalisti che "i nostri ragazzi sono più vicini al centro di Baghdad di quanto molti pendolari americani siano vicini al loro ufficio nel centro delle città".

Prima di iniziare la battaglia dell'aeroporto, gli americani avevano intensificato i bombardamenti su Baghdad. E per la terza volta in meno di una settimana avevano centrato un mercato popolare con un missile. Un mercatino piccolo, di frutta e verdura, a Nahravan, periferia sudest della capitale. Non si conosce il numero delle vittime. Sembra che ci siano una decina di morti. Ormai non si fa più neppure caso a queste azioni, che molto difficilmente possono essere solo il frutto di un errore tecnico. Si deve pensare o che gli americani non fanno più attenzione agli obiettivi, e puntano solo al bombardamento a tappeto, o addirittura che ritengano utile seminare il terrore tra i civili, alla vigilia dell'attacco alla città.

Sembra che dalla città sia iniziato un piccolo esodo. Sarebbero state viste decine di pullman, carichi di profughi, che lasciavano Baghdad, evidentemente per sfuggire all'assedio prima che gli assalitori chiudano ogni via d'uscita. Anche a Najaf - che ora è in gran parte controllata dagli alleati - ci sono stati forti movimenti di popolazione civile.

A un certo punto c'è stato un momento notevole di tensione, quando una colonna di persone disarmate è avanzata urlando verso le truppe americane che controllavano una moschea. Dopo qualche momento di indecisione gli americani sono arretrati e hanno lasciato la moschea.

Saddam si è fatto sentire nuovamente. Stavolta con una lettera indirizzata alla nipote. Qualcuno pensa che la decisione di scrivere alla nipote abbia un valore simbolico importante. Come una specie di testamento lasciato alle nuove generazione. Nella lettera il rais dice che Baghdad sarà difesa palmo a palmo, eroicamente, fino all'ultimo uomo.


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