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unità-Ulivo: appunti per un programma di governo

30.08.2003 Ulivo: appunti per un programma di governo di Furio Colombo La sinistra (e l'Ulivo) sono "iperconservatori" se non vogliono partecipare al "canovaccio di Umberto Bossi",(la definizion...

31/08/2003
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l'Unità

30.08.2003
Ulivo: appunti per un programma di governo
di Furio Colombo

La sinistra (e l'Ulivo) sono "iperconservatori" se non vogliono partecipare al "canovaccio di Umberto Bossi",(la definizione è del senatore D'Onofrio) che traccia lo schema delle riforme istituzionali. Lo dice con costernazione Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 25 agosto) che dà la colpa al nostro giornale: "l'Unità si è messa subito a gridare al golpe". E rimpiange che venga perduta una straordinaria occasione di lavorare insieme agli uomini di Berlusconi per il bene dell'Italia.

Come dire che Matteotti era un passatista perché non vedeva nulla di buono nelle proposte di riforma di Mussolini, che all'epoca non aveva ancora imposto le Leggi Speciali, e governava un Paese spaventato ma ancora formalmente democratico.

È una posizione interessante perché rivela la richiesta fondamentale del regime: devi fare finta che tutto intorno a te sia normale, che Bossi sia davvero un ministro delle Riforme come ce ne sono tanti, non uno che si scatena su dazi, frontiere chiuse e secessioni (ha pronunciato l'ultima volta in luglio la sua invocazione di spaccatura della Repubblica). Devi mostrare di credere che non ci sia il gigantesco conflitto di interessi che inquina tutto e meraviglia il mondo. Devi affermare di non sapere che la riforma della giustizia si deve fare con la stessa persona che ha definito i processi ai corrotti "guerra civile", e i giudici "un cancro da estirpare".

La finzione della normalità è motivata - a quanto pare - da un desiderio di pace istituzionale (pura forma di buone maniere che - ti dicono - devi sforzarti di mantenere anche quando lui si assolve da solo, auto esentandosi da tutti i processi che lo riguardano). Questa pace istituzionale, evidentemente, agli occhi di alcuni, è più importante della democrazia. Approfittatene, fate le riforme insieme, sembra essere il cenno che ti fanno da lontano, con l'aria di agire per il tuo bene. Altrimenti lui (o Bossi o Bondi o Taormina o Schifani o Calderoli) spaccano tutto, e addio pace istituzionale. Si possono accettare queste condizioni? Ce le raccomanda anche il nuovo direttore del Corriere della Sera in un editoriale - ricco di spunti illuminanti - del 24 agosto.

L'Ulivo, sostiene Folli, non può contentarsi di ripetere la lista di fallimenti e cose non fatte dal governo Berlusconi. Folli ci dice che non basta contare gli errori altrui.

Una simile enunciazione a noi sembra imprecisa per difetto. Gli "errori altrui" sono scostamenti brutali dalla pratica democratica e dai suoi principi, come ha notato la stampa del mondo (quasi mai, quasi niente, la stampa italiana). Sono colpi di vandalismo alla Costituzione, che persino giuristi tutt'altro che schierati a sinistra hanno notato e denunciato. Sono gesti dichiarati di sfida e di aggressione del potere esecutivo al giudiziario, di un ministro della Giustizia al Presidente della Repubblica, del Primo ministro italiano al Parlamento europeo, del conflitto di interessi dell'attuale titolare del potere contro gli interessi di tutti i cittadini. Sono "la corruzione più grande nella storia della Repubblica", definizione testuale di questo regime in una recente sentenza italiana.

Dunque contare "gli errori altrui", in questa Italia, è parte preliminare e indispensabile del programma politico di una opposizione che non sia da cortile.

Vuol dire che il primo punto, il più solenne e drammatico e cruciale sarà: mai più un Italia così. Dire e ripetere e denunciare ciò che questo governo e la sua maggioranza stanno facendo è impegno politico ma anche intento organizzativo ed emblema di identità dell'opposizione.

Vuol dire: "noi siamo qui, in un'Italia civile e in armonia con l'Europa che non ha niente a che fare con l'immagine losca e screditata che Berlusconi ha impresso sul nome dell'Italia".

* * *

Ma proprio nella serie di limiti e rimproveri che Folli propone ad un Ulivo che gli appare capace solo di censurare, ci sono spunti utili che intendiamo raccogliere, aggiungendo alcune riflessioni.

1- Scrive Folli: "Al momento, la futura alternativa di governo ha solo una faccia, quella di Romano Prodi. È possibile costruire tutta una prospettiva elettorale sull'effetto mediatico di una sola persona?".

Sarebbe facile rassicurare Folli, ricordandogli i casi di Kennedy (John e Robert), Carter, Clinton, intere epoche storiche americane costruite a partire dalla faccia di alcune persone.

Chi ha visto Prodi con Schroeder a Verona, circondato da una folla di cittadini che stavano ritrovando fiducia e orgoglio, ma soprattutto un rassicurante senso di normalità, ha capito due cose: la prima è che la faccia di Prodi rappresenta una garanzia, che, per un Paese che ha trascorso due anni di catastrofi, delusioni e brutte figure, non è poco. Anzi è già un punto essenziale di impegno elettorale. La seconda è che quell'uomo serio, normale e rispettato, accanto a Schroeder, ci ricorda il nostro diritto - per ora umiliato e perduto - di stare alla pari tra i Paesi fondatori dell'Unione, ponendo fine all'immagine malavitosa che adesso ci distingue, come in un brutto film costruito con i peggiori cliché del passato. Infatti Berlusconi è la rappresentazione viva e attiva di tutti i peggiori luoghi comuni sull'Italia. Vedere all'improvviso in una piazza italiana un'immagine pulita, onorevole e apprezzata nel mondo, cancella quel cliché, lascia intravedere la immensa differenza tra il penoso presente italiano e il nostro possibile futuro. Quella faccia è - di per sé - un clamoroso annuncio politico.

2- "L'Ulivo - dice l'editoriale di Folli - rischia di ripetere il passato e gli italiani lo sanno". Viene voglia di chiedere al nuovo direttore del Corriere della Sera, come mai dedichi toni tanto mesti al "passato dell'Ulivo". Era il tempo in cui l'Italia era parte autorevole e rispettata in Europa, nelle alleanze internazionali, il tempo in cui i suoi ministri non facevano ridere il mondo con la storia dei dazi, e non mettevano in allarme partner e alleati, con i riti volgari, le frasi pericolose, gli atti politici indecenti della Lega. Il "passato dell'Ulivo" è l'ingresso in Europa, prezzi stabili, inflazione inesistente, Italia in crescita, sensate riforme in corso (soprattutto la riforma dello Stato), e un federalismo graduale e bene organizzato che non faceva leva sui sentimenti peggiori e sulla caccia ossessiva agli immigrati.

Pur con tutti i suoi limiti, le sue imprese incompiute o, sfortunatamente, non iniziate, il passato dell'Ulivo è talmente più rassicurante, per ogni categoria di cittadini, che non si vede come o in base a che cosa il direttore del Corriere della Sera ritenga quella evocazione un pericolo. Di certo provoca, per confronto, un senso di nostalgia e di rimpianto. A quei tempi non c'era un primo ministro considerato pericoloso "come le carestie e il buco dell'ozono" (definizione dedicata a Berlusconi dalla televisione pubblica americana la sera del 18 agosto). A quel tempo non c'era un ministro della Giustizia che rifiuta tenacemente la definizione comune del reato di razzismo, accettata da tutti gli altri ministri europei. A quel tempo gli impegni internazionali dell'Italia venivano discussi alla luce del sole, e accettati da tutti a testa alta, senza finzioni, menzogne e servilismi.

Bisogna stare attenti a evocare confronti. Fanno diventare subito chiaro - anche agli occhi dei più scettici - il clima di emergenza in cui adesso è immersa l'Italia.

3- L'editoriale del Corriere della Sera ammonisce: "L'Ulivo dica la sua sulle pensioni". L'ha già detta. L'impegno dell'Ulivo è di non fare rimbalzare ondate di panico su chi lavora e sui pensionati, ogni volta che il capo del governo perde il filo e non ha sottomano un buon argomento sulle malefatte dei "comunisti".

4- "Dia, il centrosinistra, un'idea compiuta della società", incalza il nuovo direttore del Corriere della Sera. Eccola. Nella società compiuta, pensata dal centro sinistra esce per sempre il conflitto di interessi che infetta, nello stesso tempo, la politica e il mercato, come ha detto con implacabile chiarezza il settimane finanziario inglese The Economist.

Esce perché saranno ineleggibili coloro che ricevono danaro attraverso le concessioni dello Stato e non possono (ma ora lo fanno) andare al governo e concedere licenze di concessione a se stessi, oltre a incrociare in modo indecente ogni interesse personale con ogni decisione di governo.

In una società pulita la legge è uguale per tutti, nessuno si può sottrarre al suo giudice naturale, nessuno può fermare i propri processi, nessuno è escluso a vita da ogni responsabilità penale, passata e futura, solo perché è in grado di imporre una legge apposita.

In una società democratica i poteri sono separati, i magistrati sono indipendenti, gli impegni con i cittadini si prendono in Parlamento, non sono scene teatrali organizzate da dipendenti di partito in uno studio televisivo riservato ad uso esclusivo di uno dei protagonisti del confronto politico, e in cui è vietato l'ingresso agli altri protagonisti e perciò è impossibile il dibattito.

In una società normale i capi di governo non hanno il potere e la faccia per licenziare dalla televisione di Stato un grande giornalista come Enzo Biagi, con la specifica accusa di avere intervistato il grande attore Roberto Benigni che ha osato ridere di colui che è adesso primo ministro. In una società normale i capi di governo non possono impedire ad un celebre conduttore della televisione pubblica come Michele Santoro di continuare nel suo lavoro solo perché non apprezzato dai coimputati del presidente del Consiglio. In una società normale il capo del governo non può, utilizzando tutte le leve di pressione persuasione del conflitto di interessi, pretendere di ricevere in poche ore le dimissioni del direttore del Corriere della Sera. Ma in Italia si può fare, ed è stato fatto.

* * *

Credo che si rivolga a noi dell'Unità il presidente della Camera, quando, nel discorso di Rimini ai giovani di Comunione e Liberazione, auspica che - come contributo alla pace comune e alla convivenza istituzionale - l'opposizione si liberi dalla "ossessione berlusconiana". Infatti questo giornale non abbandona mai l'argomento e insiste tenacemente e con passione, anche quando altri, nel centrosinistra, trovano più prudente o più opportuno mollare la presa.

Comprendiamo le ragioni che hanno motivato l'auspicio del presidente Casini. Ma pensiamo di avere detto e documentato con chiarezza ciò che pensiamo di questo momento politico: l'Italia non sta attraversando una normale alternanza politica destra-sinistra, il tipico fenomeno democratico che Arthur Schlesinger ha definito "teoria del pendolo".

L'Italia è in preda ad una convulsione istituzionale che è iniziata quando un uomo potente e ricchissimo, in fuga dalla giustizia, che lo stava cercando per questioni della sua vita privata, ha fatto irruzione in politica proclamando di essere perseguitato dai comunisti. Da allora ha mobilitato immense ricchezze, ha sequestrato tutta l'informazione, governa tra minacce, aggressioni, persecuzioni e commissioni di inchiesta contro l'opposizione tanto ridicole quanto estranee alla Costituzione.

Si può fare politica in Italia prescindendo da Berlusconi? Credo che la proposta apparirà insensata prima di tutto a coloro che a Berlusconi dedicano venerazione. Essi, tutti, ripetono il rosario di lodi del capo, un rosario recitato a turno, con la dovuta devozione, non solo da Bossi - che a Berlusconi deve tutto - ma persino da Fini, che prima di Berlusconi ha avuto una sua rispettabile esistenza politica.

Tutti costoro sostengono, e ci ripetono a tempo pieno, che la loro vita politica (e anche personale) dipende da Berlusconi, che decide Berlusconi, che risolve Berlusconi, che provvede Berlusconi. E ognuno di essi non esita a dire che - senza Berlusconi - la loro coalizione cesserebbe all'istante di esistere.

Dunque è chiaro. L'ossessione berlusconiana nasce a destra. È una destra che, come osserva con le sue pesanti accuse The Economist, non è destra, non è liberale, non assomiglia a niente nel mondo. È berlusconismo. Vuol dire conflitto di interessi, interessi privati, uso privato dello Stato e invasione nel campo degli altri poteri su cui si fonda la democrazia. Tutto ciò non si può eliminare senza battere Berlusconi.

* * *

Ci dicono, con ammonimento saggio, di non drammatizzare. Ma il dramma è nelle cose. A meno di volere far finta di niente, come richiede il regime, è evidente a tutti (certo a tutti gli europei e a molti americani) che in Italia è in corso un vasto attentato alla Costituzione che rischia di sradicare il Paese legale. Le prossime elezioni sono l'ultima stazione. Il programma, fatalmente, dovrà essere: chiudere l'emergenza Berlusconi, rimettere a posto le leggi e la Costituzione là dove sono state brutalmente manomesse, tornare ad essere un normale e rispettato membro dell'Unione Europea, tornare ad una amicizia adulta, in chiaro e senza servilismi con gli Stati Uniti, tornare alla nobile e seria e rispettabile politica estera che è stata del centrosinistra, riprendere il percorso umano ma anche efficace della legge Turco-Napolitano sull'immigrazione, risanare la Sanità lungo il percorso dignitoso e moderno impiantato da Rosy Bindi e proseguito da Veronesi, ridare alla Giustizia piena garanzia di autonomia come vuole la Costituzione e come esigono i principi fondanti della democrazia, dedicare tutta l'attenzione, la competenza, i legami internazionali, le capacità tecniche alla ripresa dell'economia, sapendo che si ricomincia dai diritti del lavoro e dal ruolo delle imprese, né blandite né abbandonate. Si ricomincia dai punti di raccordo che sono l'interesse dei cittadini, l'interesse nazionale, il destino europeo.

Sarebbe penoso fingere di non vedere la dominante del disastrato paesaggio italiano: l'emergenza Berlusconi, la cui clamorosa anomalia ci viene spiegata ogni giorno sia dai veri credenti (Bondi, Schifani, Taormina, Baget Bozzo) sia dalla stampa del mondo. Ha detto Giorgio Vittadini, l'uomo di punta della "Compagnia delle Opere" intervistato al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione (TG 3, 27 agosto): "Possiamo parlare di tutto, ma dobbiamo farlo a cominciare dal problema che ci riguarda senza distinzione di schieramento politico: il declino dell'Italia".

Ha ragione. È la chiave di lettura di tutto perché ci dà la misura dello stato di emergenza in cui siamo stati spinti. C'è forse un declino della Francia, della Germania, della Svezia, dell'Irlanda? La risposta è ovvia: il problema è qui, enorme. La campagna elettorale si svolgerà intorno a questo problema. Per la liberazione e la ricostruzione di un Paese perbene.

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