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Unità-Titanic University-di N.Tranfaglia

Titanic University di Nicola Tranfaglia Fa una certa impressione a chi non lavora nell'Università assistere alle dimissioni istantanee date ieri a Roma dai Rettori Magnifici (l'attributo stor...

11/12/2002
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l'Unità

Titanic University
di Nicola Tranfaglia

Fa una certa impressione a chi non lavora nell'Università assistere alle dimissioni istantanee date ieri a Roma dai Rettori Magnifici (l'attributo storico dato a loro suona stonato in una simile e drammatica circostanza) di 62 atenei mentre si attendono le altre dieci Università che stanno riunendo gli organi di governo aggiungersi nelle prossime ore al grido di dolore che parte da tutte le aule universitarie.
Mai, nella storia dell'Italia unita, era venuta una tale manifestazione, così aperta e unanime, di disagio e di contrarietà alla politica del governo e della maggioranza parlamentare da parte dei massimi rappresentanti, eletti democraticamente da centinaia e a volte da migliaia di docenti e ricercatori, sostenuti compattamente in questa azione dai rappresentanti degli studenti, dai consigli di amministrazione e dai senati accademici che, con il rettore, governano tutti gli atenei. Hanno deciso di lasciare subito il proprio incarico rettori che dal punto di vista politico e personale, rappresentano, si può dire tutto lo schieramento parlamentare e nazionale, senza distinzioni tra chi si riconosce nel centrodestra e chi, invece, nel centrosinistra.
Nell'ordine del giorno comunicato alle televisioni e ai giornali, hanno denunciato al governo, al Parlamento e alla pubblica opinione la condizione "di estrema difficoltà in cui si trovano gli atenei" e "l'impossibilità di garantire per l'anno 2003 i servizi essenziali alla formazione e alla ricerca degli atenei e il diritto allo studio dei propri studenti".
A nulla sono valse finora le lettere inviate al capo del governo sulla situazione ormai ingestibile né gli interventi del presidente della Repubblica Ciampi che ha ricordato che l'Università è il motore dello sviluppo socio-economico del paese né i moniti dei presidenti delle due Camere nella medesima direzione.
Eppure, come ho già ricordato qualche giorno fa su questo giornale, le cifre sono assai eloquenti. Il fondo di finanziamento ordinario alle Università che l'anno scorso era stato di 6.209 milioni di euro quest'anno sarà di 6.020 milioni proprio dopo che le Università dovranno pagare gli aumenti stipendiali e salariali decisi dal governo. Una curiosa concezione questa dell'autonomia che costringe le Università a sborsare somme maggiori decise a Roma senza che il governo se ne faccia carico!
Accanto alla soluzione di questo problema urgente c'è la situazione drammatica del reclutamento dei ricercatori e dei docenti che sono in un rapporto assai peggiore rispetto agli studenti confrontati con gli altri paesi europei. E la diminuzione costante dei fondi per la ricerca scientifica che colloca l'Italia agli ultimi posti del continente mentre la percentuale del Pil investita nella formazione universitaria è dello 0,63% di fronte all'1,04% della Germania, all'1,13% della Francia e all'1,11% della Gran Bretagna.
C'è, insomma, una situazione complessiva di attacco all'istruzione superiore, che si accompagna ai tagli pesanti sulla scuola, ai buoni scuola per le famiglie che scelgono gli istituti privati, e che configura in ogni sua parte un vero e proprio smantellamento dell'istruzione in netta controtendenza a quella che fanno tutti i paesi europei più vicini all'Italia, indipendentemente dal fatto che siano governati dal centrosinistra come la Germania o dal centrodestra come la Francia.
Tutto questo conferma la natura populista del governo Berlusconi e la volontà di affossare i diritti costituzionali degli italiani ad accedere sempre più e sempre meglio agli studi e contribuire così alla formazione delle nuove classi dirigenti. Ma segna, nello stesso tempo, il declino a cui è condannato il paese proprio mentre va avanti la costruzione dell'Europa unita.
C'è da chiedersi, di fronte ad una simile politica, che cosa succederà nei prossimi mesi. Già i rettori dimissionari hanno detto con grande chiarezza che non intendono accettare il ricatto del governo che, negando i fondi necessari, li spingerebbe ad aumentare le tasse agli studenti, già cresciuta per altro negli ultimi anni.
Ora è chiaro che se i rettori resteranno fermi in questa scelta che è l'unica possibile per non trasformare gli atenei di fatto in istituzioni private aperte solo agli studenti più agiati, resterà l'unica alternativa di non preparare i bilanci preventivi e di navigare a vista fino alla chiusura quando non ci saranno più risorse.
Ma un simile esito significherebbe un danno incalcolabile per le nuove generazioni di fronte all'ulteriore declino della ricerca scientifica e alla conseguente ancora maggiore fuga dei cervelli nei paesi in cui non si fa tale politica.
Ma ci troviamo davvero di fronte a una decisione drastica di azzeramento della formazione universitaria e di affossamento puro e semplice della ricerca scientifica? E come giustificano il govenro e il ministro dell'Università e dell'Istruzione una così forte deriva, del tutto contraddittoria rispetto ai programmi elettorali della Casa delle Libertà? E il Parlamento non ha niente da dire di fronte a quel che accade? Per gli italiani è accettabile una politica così gravemente lesiva dei diritti fondamentali dei cittadini?
Vedremo nelle prossime settimane che cosa avverrà nelle Università italiane ma fin d'ora si può dire che le dimissioni dei rettori rischiano di indicare un punto di non ritorno rispetto alla fiducia che qualcuno ancora nutriva nei confronti di questo centrodestra.


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