FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3770417
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità-STANNO RUBANDO IL NOSTRO FUTURO.di Andrea Ranieri Bruno Trentin

Unità-STANNO RUBANDO IL NOSTRO FUTURO.di Andrea Ranieri Bruno Trentin

09.2002 Stanno rubando il nostro futuro di Andrea Ranieri Bruno Trentin Il sistema della scuola, dell'università, della ricerca vive un momento di fortissima preoccupazione per il proprio futur...

23/09/2002
Decrease text size Increase text size
l'Unità

09.2002
Stanno rubando il nostro futuro
di Andrea Ranieri Bruno Trentin

Il sistema della scuola, dell'università, della ricerca vive un momento di fortissima preoccupazione per il proprio futuro. Nelle scuole le scelte improvvisate e controriformatrici del ministero stanno creando un senso di incertezza per gli studenti e le famiglie, tale da generare - come avverte un recente sondaggio - un clima di disaffezione verso il proprio lavoro e la propria funzione sociale nella maggioranza dei docenti; la ricerca pubblica è messa sotto tiro da una linea che contrappone assurdamente - e in controtendenza con tutti i Paesi sviluppati - il privato al pubblico, la ricerca applicata a quella di base, i risultati a breve sul mercato alle prospettive a medio e lungo termine del lavoro scientifico; nell'università si tende a rimescolare le carte della riforma appena varata e a rimettere in discussione la stessa autonomia degli atenei.
Su tutto grava il pericolo di ulteriori tagli delle risorse, derivanti dalla percentualizzazione dei fabbisogni del sistema a una previsione, da parte del governo, di crescita del Pil del tutto immaginaria, e alla priorità tremontiana della riduzione della pressione fiscale rispetto ad ogni altro obiettivo di crescita sociale e civile del Paese.
Aumenta visibilmente l'insoddisfazione degli operatori del sistema, che comincia a manifestarsi in forme di straordinaria unità e maturità politica, come quella che ha visto come protagonisti gli scienziati italiani nella manifestazione al Cnr del 10 settembre.
Ma stenta a crescere la consapevolezza generale, nei partiti della sinistra, nel sindacato dei lavoratori, negli stessi movimenti di opposizione, dello stretto collegamento fra questi temi e lo scontro in atto sul modello di sviluppo e sui diritti dei lavoratori e dei cittadini.
Il libro bianco di Delors, i patti sociali italiani del 1993 e del 1998, indicavano la crescita di qualità dei prodotti, dei processi, dei servizi come la via maestra per tenere insieme competitività e coesione sociale nel nuovo spazio economico dell'economia globale.
L'affermarsi della società e dell'economia della conoscenza, erano lì indicati, come l'alternativa praticabile alla deregolazione liberista, a una competizione trainata dalla semplice riduzione del costo del lavoro e dal dumping sociale basato sulla riduzione dei diritti.
Investire in ricerca, formazione, scuola e Università, era indicata come la condizione di base per mantenere ed ampliare, riformandolo, lo spazio sociale europeo, per ridefinire su basi nuove lo stesso rapporto fra Stato e mercato.
Il disinvestimento su questi terreni da parte del governo di centrodestra, la destrutturazione organizzata degli spazi pubblici della formazione e della ricerca, sono l'altra faccia della medaglia di una linea che punta a recuperare competitività tagliando le spesa pubblica, comprimendo salari, mettendo in discussione diritti.
Una linea oltretutto suicida, come sembrano cominciare ad avvertire le stesse imprese, soprattutto quelle che operano alle frontiere dell'innovazione, che avvertono come la contrazione degli investimenti su questo terreno riduca pesantemente un fattore di base strutturale per la competitività presente e futura della nostra economia.
La sinistra politica e sociale ha su questo terreno un'occasione decisiva per esplicitare compiutamente una propria idea alternativa di sviluppo, in cui tenere insieme competitività e diritti sociali, le ragioni dell'economia e quelle dell'affermazione del diritto al sapere come imprenscindibile diritto di cittadinanza e di libertà.
Su questo terreno sono grandi e profondi i ritardi dell'Italia, nonostante i segnali di inversione di tendenza della stagione riformatrice del centrosinistra. Ritardi sia sul terreno della ricerca e della formazione di eccellenza, che su quello della scolarizzazione di base e dell'educazione degli adulti.
Per questo non basta difendere l'esistente, ma è necessario riproporre una nostra strategia di cambiamento, che sappia partire dai punti alti della esperienza riformatrice italiana ed europea, per rielaborarli e ridefinirli come elementi centrali di una proposta strategica alternativa al liberismo illiberale che ci governa. Nel nostro Paese, e da subito in una prospettiva più vasta, come punto di riferimento fondamentale dello stesso dibattito in corso sull'Europa.
Diventeranno sempre più pressanti nei giorni che verranno le spinte a rimettere in discussione il Patto di stabilità dell'Unione Europea.
Le destre governanti, in primo luogo quella italiana, spingono e spingeranno verso deroghe al Patto che coprano la loro incapacità di far fronte alle promesse fatte agli elettori, e, più in profondità, l'incapacità delle politiche liberiste e deregolatorie di conseguire gli obiettivi economici e occupazionali per cui erano state promosse.
Qualcuno comincia a pensare che la guerra all'Iraq potrebbe essere una straordinaria coperta sotto cui nascondere gli sforamenti ai tetti concordati del rapporto fra debito e Pil, la ragione fondamentale per un nuovo patto, questa volta davvero scellerato, di liberazione dai vincoli del risanamento.
Fanno bene Ciampi, Prodi, e tutti gli altri padri fondatori della nuova Europa, a rivendicare il valore economico, politico, morale, di assunzione di responsabilità fondamentale verso le nuove generazioni, che le politiche di risanamento portano con sé, e a sottolineare, in questa fase, il carattere eversivo per la stessa tenuta dell'Unione Europea che avrebbe la disinvolta messa in discussione del Patto di stabilità.
Ma se è vero che la tenuta della economia e della coesione sociale europea staranno sempre più nella sua capacità di percorrere la strade dell'innovazione e della qualità, un piano straordinario di investimenti, coordinato a livello europeo e articolato nelle nazioni e nei territori, sulla ricerca - a partire da quella di base - sulla formazione, e sulla costruzione di un sistema europeo dei trasporti e delle telecomunicazioni, potrebbe superare i limiti di puro contenimento che ha avuto fino ad oggi il Patto di stabilità, permetterne una gestione aperta e flessibile, proprio perché finalizzata a rilanciare le basi di fondo della "stabilità".
Insomma, se la questione di un nuovo patto di stabilità è destinato ad essere all'ordine del giorno nella agenda politica dell'Europa e della nazioni, anche dopo il superamento di questa fase di bassa crescita e di ripresa dell'inflazione sarebbe bene che la sinistra italiana ed europea affrontasse, in futuro, la trasformazione del Patto di stabilità in vero "patto di stabilità e di sviluppo", con una propria ipotesi non puramente difensiva dello stato di cose presente.
Una flessibilizzazione dei vincoli del Patto che partisse dalle priorità europee della ricerca, della scuola, dell'Università e delle infrastrutture delle comunicazioni, può essere, in futuro, l'alternativa più seria e credibile a chi chiederà le deroghe per coprire politiche economiche dissennate, o a chi si appresta a farlo attendendo il rullare dei tamburi di guerra.


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33
Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL