FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3829007
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Unità: Ricerca, la Cina è già lontana

Unità: Ricerca, la Cina è già lontana

Pietro Greco

07/12/2006
Decrease text size Increase text size
l'Unità

Con 136,30 miliardi di dollari spesi nel 2006, la Cina ha superato il Giappone (127,8 miliardi) ed è diventato il Paese che investe di più al mondo in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (R&S, o R&D per dirla all’inglese) dopo gli Stati Uniti d’America. Anche se gli Usa sono, per ora, irraggiungibili coi loro 320 miliardi spesi nel 2006, su scala continentale l’Asia, con il 35,6% della spesa planetaria, ha superato il Nord America (34,4%) ed è diventato la regione al mondo che investe più quattrini in R&S. L’Europa, col 23,6% della spesa globale, è nettamente distaccata.

Pur tenendo conto di un certo margine di errore dovuto alla difficoltà di calcolo a parità di potere di acquisto, non c’è dubbio alcuno che, dalla lettura del «Global R&D report 2006» pubblicato di recente dalla società americana Battelle editrice della rivista «R&D Magazine», emerge che un’intera epoca è cambiata. L’epoca in cui la scienza era, quasi esclusivamente, una partita giocata tra le due sponde dell’Atlantico settentrionale. Ormai oltre il 75% della spesa mondiale in ricerca si verifica nei Paesi che affacciano sull’Indopacifico (Asia, Americhe, Australia). Mentre meno del 57% della spesa globale si verifica nei Paesi che affacciano sul Nord Atlantico (America settentrionale, Europa).

Ciò che è sbalorditivo, per usare un aggettivo usato dagli esperti della Battelle, è la rapidità del cambiamento. Gli investimenti mondiali in R&S stanno aumentando a un ritmo sostenuto (intorno al 4%) e quest’anno per la prima volta hanno superato i mille miliardi di dollari (1.015 per la precisione). Nei Paesi con una storica vocazione alla ricerca - Stati Uniti, Giappone, Unione Europea - gli investimenti sono aumentati in media del 4 o 5% annuo: una velocità davvero sostenuta. Eppure, il treno cinese della ricerca da ben dodici anni sta correndo a una velocità quattro volte superiore. In questa dozzina d’anni gli investimenti di Pechino in R&S sono cresciuti alla media altissima del 17% annuo. E negli ultimi quattro anni l’accelerazione è persino aumentata: gli investimenti della Cina in R&S crescono ormai a un ritmo che supera il 20% e sfiora addirittura il 25%.

Una simile velocità di crescita è, appunto, sbalorditiva. Forse non è mai stata conosciuta nella storia della scienza e della tecnologia. E, con ogni probabilità, non rallenterà nei prossimi anni. Pechino ha già annunciato di voler toccare al più presto quota 3% nel rapporto tra investimenti in R&S e prodotto interno lordo (Pil). Oggi il rapporto è all’1,6% (contro l’1,9% dell’Unione europea; il 2,6% degli Usa e il 3,2% del Giappone). Era solo dello 0,6% nel 1992.

Ma la Cina non è che la vistosa punta di un iceberg su cui poggia l’intera Asia meridionale e orientale. Con 38,9 miliardi di dollari spesi nel 2006 in R&S, infatti, l’India ha superato per investimenti assoluti la Gran Bretagna (37,4 miliardi di dollari), pressa da vicino la Francia (42,0 miliardi) e già dichiara di voler minacciare il quarto posto assoluto della Germania (60,0 miliardi). Mentre la piccola Corea del Sud, con 28,4 miliardi investiti, spende quasi quanto Italia (19,6 miliardi) e Spagna (12,8) messe insieme, pur producendo una ricchezza che è quasi un terzo di quella prodotta complessivamente dai due paesi europei.

Già, l’Italia. Ormai non è solo l’ultima del G8. Ma, essendo stata superata anche dal Brasile, oltre che da Cina, India e Corea, è scesa al dodicesimo posto al mondo per investimenti assoluti in R&S. Con l’1,0% di investimenti in ricerca rispetto al Pil, l’Italia spende la metà di quanto non si faccia in media al mondo (2,0%); un po’ meno della metà di quanto non si faccia nell’Unione Europea (1,9%) e nell’Asia (1,8%), molto meno della metà di quanto non si faccia nelle Americhe (2,3%).

Quali sono le conseguenze di questi cambiamenti che stanno modificando in profondità la geopolitica della conoscenza e che vedono il nostro paese ai margini? In primo luogo vi sono gli effetti economici immediati. Grazie alla crescita spettacolare degli investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico la Cina è diventata il secondo produttore al mondo di beni ad alta tecnologia e l’Asia è già il primatista assoluto tra i cinque continenti. E poiché quello dell’alta tecnologia è il settore economico al mondo più remunerativo, non solo la ricchezza, ma anche la competitività dei paesi dell’Asia meridionale e orientale cresce a ritmi sconosciuti in altri continenti. Nel medesimo tempo la società in Cina e nell’intera Asia è in una fase di tumultuoso cambiamento. Centinaia di milioni di contadini si spostano dalla campagna alla città, dando vita a un fenomeno di migrazione interna senza precedenti. I loro figli trovano impiego nelle industrie (spesso hi-tech) e nei servizi (spesso avanzati), dando vita a un fenomeno di mobilità sociale che per rapidità ha pochi precedenti nella storia: tra indiani e soprattutto cinesi ci sono almeno quattrocento milioni di ex poveri che in pochi anni sono entrati a far parte della classe media globale, omogenea per livello di reddito ma soprattutto per stili di vita.

Una riprova che gli investimenti in conoscenza non hanno solo effetti economici contingenti. Hanno anche effetti sociali di lungo periodo. Per esempio, come ha ricordato qualche giorno fa l’economista Massimo Marrelli nella prolusione inaugurale dell’anno accademico presso l’Università Federico II di Napoli, la fiducia che un paese mostra nella conoscenza e, in particolare, la qualità del suo sistema di formazione e l’ammontare della spesa pubblica in istruzione sono direttamente correlati alla mobilità sociale.

Ebbene, l’Italia spende meno di altri paesi nella formazione scolastica e in particolare universitaria (oltre che in R&S). E questo è uno dei motivi per cui negli ultimi anni l'immobilità intergenerazionale, ovvero il fatto che i figli restano nella medesima classe di reddito dei genitori, è drasticamente aumentata. La nostra è diventata la società più cristallizzata dell'intero occidente. La mobilità tra i ceti è ridotta al minimo, mentre cresce più che altrove la disuguaglianza sociale. Ormai, tra Europa e Nord America, solo in Messico, Turchia, Polonia, Stati Uniti e Portogallo si registra una maggiore differenza di reddito tra le classi più ricche e le classi più povere.

La finanziaria del governo Prodi ha iniziato un percorso virtuoso per uscire dallo stallo economico e diminuire le disuguaglianze sociali. Ma se dopo la finanziaria l’Italia non si muoverà più rapidamente nella direzione della società democratica della conoscenza, se non mostrerà di credere davvero in un modello di sviluppo fondato sulla ricerca e l'alta formazione, difficilmente i nostri figli potranno guardare al futuro con la stessa speranza che i nostri padri hanno regalato a noi.


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33
Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL